È stato presentato a Palermo il 21 ottobre scorso il Rapporto Sud di Utilitalia e Svimez, documento nel quale vengono esposte le valutazioni degli impatti economici e occupazionali del settore delle utility (ambientale, idrico ed energetico) nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, questa quarta edizione contiene una valutazione sulle principali sfide che il comparto dovrà affrontare nei prossimi anni.
UTILITY DEL SUD: VETTORI ECONOMICI DEL PAESE
La dimensione economica delle utility meridionali è quantificabile nel 11,5 miliardi di euro (2023), quindi all’incirca il 24% del valore aggiunto realizzato dall’intero comparto italiano. Considerando il contributo offerto dalle imprese che operano sull’intera filiera delle utility, si sale a circa 16,1 miliardi, pari al 4,7% del prodotto interno lordo (Pil) del Mezzogiorno. Rispetto alle altre filiere, nel meridione quella delle utility si contraddistingue per una marcata vocazione industriale, infatti le imprese estrattive e manifatturiere realizzano oltre il 52% del valore aggiunto complessivo.
FARE RETE PER PROMUOVERE LO SVILUPPO INDUSTRIALE
Il sistema delle imprese dei servizi di pubblica utilità, in sostanza, riveste una posizione centrale rispetto ai temi della crescita economica, dell’accessibilità ai diritti essenziali, del cambiamento climatico e dell’autonomia strategica sulle forniture energetiche. Dunque, ai fini del superamento delle criticità residue, promuovendo lo sviluppo industriale, un esempio positivo giunge dalle reti d’impresa. Lo scorso luglio è stato firmato da nove utilities del Mezzogiorno il Contratto di Rete che ha costituito la Rete Sud, iniziativa attraverso la quale le imprese associate a Utilitalia hanno deciso di fare squadra allo scopo di migliorare i servizi offerti ai cittadini e affrontare congiuntamente le principali sfide operative, finanziarie e regolatorie del momento. «Attraverso questa iniziativa – ha illustrato il presidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – la Federazione ha voluto fornire un contributo concreto per un maggiore sviluppo dei servizi pubblici al Sud, che soffrono una eccessiva frammentazione e una ancora troppo diffusa presenza di gestioni in economia. Fare rete tra i gestori è un passo importante per rafforzare il sistema delle imprese dei servizi pubblici secondo una logica industriale, un percorso obbligato per migliorare i servizi forniti ai cittadini e per generare impatti positivi sull’occupazione e sull’indotto locale».
SFIDE E PROPOSTE
Le sfide per le utility del Sud e le proposte di Utilitalia e Svimez: transizione energetica, economia circolare e adattamento ai cambiamenti climatici: sono questi i pilastri su cui si fondano le sfide e le azioni per rilanciare l’economia delle utility nel Mezzogiorno. «Le utility assumono un ruolo decisivo nel supportare i segnali di ripresa dell’economia meridionale – ha evidenziato Luca Bianchi, direttore generale della Svimez -, favorendo la trasformazione strutturale che i sistemi economici territoriali dovranno avviare per contrastare e vincere le sfide legate al cambiamento climatico e ai nuovi equilibri economici globali. Il rapporto fa emergere il ruolo effettivo e potenziale del settore delle utility nell’attivare e qualificare le connessioni economiche locali, attirare investimenti e migliorare i servizi per cittadini e imprese, in un’ottica evolutiva per cui è necessario partire dalle vocazioni produttive territoriali per sostenere i processi di sviluppo, ammodernamento e diversificazione».
FONTI RINNOVABILI: IL POTENZIALE DEL SUD ITALIA
Il Sud Italia, del resto, ha il maggiore potenziale su scala nazionale di produzione da fonti rinnovabili (eolico e solare). Oggi il Mezzogiorno gioca un ruolo decisivo nel settore fotovoltaico, contribuendo per circa il 35% della capacità totale installata, che è in crescita in tutte le regioni del Sud: per raggiungere i target del Fit for 55, la capacità fotovoltaica addizionale (53,6 GW) prevista entro il 2030 si concentrerà per il 61% nel Mezzogiorno. Tra le misure suggerite dalla Federazione per implementare il settore figurano l’integrazione verticale della filiera, lo sviluppo di soluzioni integrate per offrire servizi innovativi, l’incoraggiamento dell’autoproduzione e il ricorso a investimenti in digitale e tecnologie innovative.
IL «GAP» NEL SETTORE DEI RIFIUTI
In tema di rifiuti il Sud Italia sconta ancora un importante gap dal punto di vista impiantistico, per cui è difficile chiudere il ciclo ed evitare l’export verso altre regioni o l’estero nonché il conferimento in discarica. Per quanto riguarda i rifiuti indifferenziati, per centrare i target europei al 2035 sull’economia circolare, il fabbisogno impiantistico a livello nazionale e principalmente concentrato nelle regioni centro-meridionali è stimato da Utilitalia in 2,5 milioni di tonnellate; migliore è la situazione per quanto concerne i rifiuti organici, grazie ai numerosi impianti recentemente attivati o in costruzione, grazie anche ai finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Per implementare la circolarità delle risorse è necessario promuovere strategie regionali e locali sviluppate in conformità con le direttive del governo centrale. Lo sviluppo e il monitoraggio dell’applicazione dei sistemi di responsabilità estesa del produttore andrebbero estesi anche ad altri flussi di rifiuti. L’introduzione di meccanismi strutturali come i Certificati di efficienza economica circolare, ma anche di una chiara e incisiva normativa sul fine vita dei rifiuti, incoraggerebbero l’innovazione del settore e ridarebbero slancio all’economia circolare nel meridione.
VULNERABILITÀ DEL SISTEMA INFRASTRUTTURALE IDRICO
La siccità degli anni 2023 e 2024 che ha colpito il Sud Italia e sta interessando ancora duramente la Sicilia, pone in risalto le vulnerabilità del sistema infrastrutturale idrico. Per uscire dalle logiche emergenziali e rendere il settore più resiliente agli effetti dei cambiamenti climatici in corso, è necessario superare alcune criticità dal punto di vista della governance e delle infrastrutture. Sono ancora troppe le gestioni in capo agli enti locali nelle regioni del Sud Italia che, con una bassissima capacità di investimento (appena 11 euro per abitante nel 2022, contro una media nazionale di 70 euro), non consentono una rapida attuazione degli interventi necessari. Bisogna dunque incentivare la crescita orizzontale e verticale dei gestori, per migliorare la capacità gestionale anche attraverso il controllo degli enti di governo d’ambito. Con il fine di garantire una maggiore disponibilità idrica, bisogna ridurre drasticamente le perdite di rete, manutenere gli invasi e puntare sulla differenziazione degli approvvigionamenti, incoraggiando anche la realizzazione di impianti di dissalazione e puntando sul riutilizzo delle acque reflue depurate.