a cura di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria membro del Direttorio della NATO Defense College Foundation – «Abbiamo avuto un’ottima conversazione», ha dichiarato Trump giovedì scorso, esprimendo ottimismo sulla guerra commerciale in atto con la Cina Popolare, che ha visto il susseguirsi di un’escalation di dazi e negoziati. L’inquilino della Casa Bianca ha affermato di essersi scambiato con Xi inviti per visite ufficiali e che il leader comunista cinese intende accettare l’offerta. «Mi ha invitato a Pechino e io l’ho invitato qui. Abbiamo accettato entrambi, quindi andrò lì con la first lady e lui verrà qui, si spera, con la first lady», ha dichiarato ai giornalisti durante la conferenza stampa nello Studio Ovale.
ARMONIOSI SENSI
Prima di queste visite, i team commerciali di entrambe i Paesi s’incontreranno nuovamente per negoziare un accordo. Ad aprile, gli Stati Uniti avevano aumentato i dazi sui prodotti cinesi portandoli al 145%, spingendo Pechino a rispondere con misure analoghe pari al 125 per cento. Una tregua temporanea ha poi portato a una sospensione di novanta giorni di queste tariffe e ora si prevedono nuovi colloqui. «C’era un chiaro mandato e un’intesa tra i due presidenti e ci aspettiamo che l’incontro decisionale si svolga entro sette giorni», ha dichiarato al riguardo Peter Navarro, consigliere senior per il commercio e la produzione del presidente americano. Trump ha riferito che il colloquio telefonico si è concentrato principalmente sugli aspetti commerciali, tuttavia, una versione di esso successivamente resa nota da Pechino include un avvertimento di Xi relativo alla gestione della questione dell’indipendenza della Repubblica di Cina-Taiwan, che a suo avviso andrebbe fatta «con prudenza allo scopo di evitare conflitti».
IL NODO TAIWAN
Inoltre, nel corso della conversazione è stato affrontato il tema degli studenti cinesi negli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato ha recentemente annunciato l’intenzione di revocare (forse troppo aggressivamente) i visti concessi a questi cittadini sino popolari attivi in settori critici, oltreché per coloro che hanno legami con il Partito comunista cinese. Si è trattato di un gesto repressivo che ha irritato Pechino. La versione cinese della questione è che l’argomento era stato sollevato dai due leader e che gli studenti sarebbero stati i benvenuti negli Stati Uniti. «Gli studenti cinesi arriveranno, nessun problema. Vogliamo avere studenti stranieri, ma vogliamo che siano controllati», aveva sottolineato Trump sempre giovedì. Quest’ultimo si era recato in visita ufficiale nella Repubblica popolare cinese nel 2017 durante il suo primo mandato presidenziale e aveva incontrato Xi Jinping nel corso di una cena ufficiale nella capitale cinese.
PECHINO CHIEDE PRUDENZA
La parte del colloquio in cui Xi chiede «prudenza» nella politica agli Usa riguardo al futuro di Taiwan lascia una notevole incertezza. Molti analisti della materia considerano l’approccio cinese come un «non escludere» una potenziale invasione armata dell’isola di Formosa. Al riguardo, alcuni funzionari statunitensi hanno da tempo indicato nel 2027 l’anno in cui Xi Jinping sarebbe pronto a sferrare un attacco militare a Taiwan. Una intenzione aggressiva che trasparirebbe anche da una dichiarazione dello stesso XI, quando ha citato gli obiettivi di modernizzazione militare legati al centesimo anniversario dell’Esercito Popolare di Liberazione. Trump, pur riconoscendo che una futura invasione cinese sarebbe «catastrofica», fino a ora è stato volutamente poco chiaro relativamente al fatto che gli Stati Uniti d’America avrebbero difeso Taiwan in un simile scenario.
WORST CASE SCENARIO
«Non faccio mai commenti su questo», ha dichiarato interpellato dai giornalisti, dopo che gli era stato chiesto quali fossero i suoi piani nel caso in cui la Cina Popolare avesse attaccato Taiwan con le armi. «Non voglio commentare perché non voglio mai mettermi in quella posizione» è stata la risposta del presidente. Nel frattempo da Taiwan nelle ultime settimane giungono notizie dell’intensificazione degli sconfinamenti sino popolari attorno a Taiwan, mentre da Pechino la propaganda promuovere fermamente la causa della riunificazione cinese e il Partito aumenta la spesa per la Difesa portandola al 7,2% del Pil. La legge anti-secessione cinese, autorizza esplicitamente l’uso della forza militare qualora Taiwan dichiarasse l’indipendenza «o se la riunificazione pacifica diventasse impossibile».
ARMI E COLLOQUI
Sempre da Pechino è pervenuta la (non) velata minaccia di Zhu Fenglian, portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo della Cina Popolare, che ha commentato l’annuncio in cui il presidente taiwanese William Lai aveva reso noto che intendeva incrementare il bilancio della Difesa del suo paese a oltre il 3% del Pil. «Che si tratti del 3% o anche del 10% del Pil, l’aumento della spesa militare non proteggerà Taiwan che, al contrario, si trasformerà in una polveriera». Se la visita di Donald Trump nella Cina Popolare verrà confermata la questione Repubblica di Cina–Taiwan” sarà sicuramente al centro dei colloqui tra i due leader.