GIUSTIZIA, digitalizzazione. I pro e i contro del processo telematico

In una fase oltremodo critica, la Giustizia italiana potrebbe rinvenire l’occasione di superare alcune criticità grazie al complessivo processo di digitalizzazione della Pubblica amministrazione che dovrebbe venire realizzato anche e soprattutto in virtù dei finanziamenti europei. Tuttavia, al riguardo sussistono dubbi e interrogativi, insidertrend.it ha cercato di porvi risposta interpellando due giuristi esperti della materia, gli avvocati Giuseppe Rossodivita e Roberto De Vita

Risale a martedì scorso il vertice convocato dal ministro della Giustizia, il primo in assoluto per la nuova titolare del dicastero di via Arenula, con i capigruppo in Commissione Giustizia. Ella ha delineato – si afferma nei resoconti giornalistici dell’evento – il quadro relativo alle priorità da perseguire nella propria azione di governo ed è stata posta in essere una interlocuzione con il Parlamento sul metodo di lavoro da adottare al fine di perseguire gli obiettivi.

Massi per il momento da parte gli aspetti che potrebbero assumere profili di divisività (quale ad esempio la materia relativa al processo penale, ma anche gli altri argomenti politicamente delicati come la prescrizione dei reati, la riforma del CSM e le intercettazioni), dalla dottoressa Marta Cartabia si attendono dunque quelle che saranno le linee programmatiche.

Il messaggio inviato all’esterno è stato quello del «ristabilimento della centralità del Parlamento della Repubblica in vista di una fase di riforme», inclusiva di quelle dei processi penale e civile.

Una fase di mutamenti epocali

Avviate ormai le attività del Governo Draghi, il vertice di martedì è stato l’argomento con il quale è stato aperto il dibattito sulla Giustizia e la sua attesa digitalizzazione, organizzato da insidertrend.it grazie alla collaborazione di due insigni giuristi esperti della materia, l’avvocato Giuseppe Rossodivita (presidente della Commissione Giustizia del Partito Radicale e già consigliere alla Regione Lazio) e l’avvocato e professore Roberto De Vita (direttore del Dipartimento Giustizia dell’Eurispes e membro del gruppo di lavoro “Giustizia 2030”).

L’interrogativo di fondo che ha dominato il dibattito è stato quello relativo alle reali capacità del sistema Giustizia italiano di riformarsi da sé, traendo quindi in sé stesso i necessari punti di forza.

La fase attuale è epocale e vede mutare tutti i paradigmi precedentemente validi. Conseguentemente, i cambiamenti da apportare non potranno prescindere dal fatto che un ritorno alla normalità precedente alla pandemia di Covid sarà impossibile, o comunque non auspicabile.

Una occasione di cambiamento

La tragedia che sta vivendo il Paese si pone dunque come una occasione per imprimere finalmente una radicale accelerazione del processo di modernizzazione del sistema giudiziario.

Se la Giustizia, al pari di numerose altre branche della Pubblica amministrazione, viene annoverata tra le criticità del sistema-paese, essa viene comunque ritenuta in grado di esprimere le proprie potenzialità, che andrebbero attualizzate seguendo una visione strategica che conduca a soluzioni non settoriali che la trasformino da ostacolo a leva positiva.

Nel citato Libro Bianco della Giustizia 2030 si suggeriscono una serie di riforme che «si riducano all’ennesimo intervento sul Codice o a una salvifica, spesso richiamata, digitalizzazione».

«Strade inflazionate nelle loro promesse di soluzione – si aggiunge -, in realtà mai praticate per davvero e prive di risultati apprezzabili e risolutivi».

Digitalizzazione della Giustizia

«Digitalizzazione», un termine che, assieme a «resilienza» e «ripresa» è divenuto il mantra di questi ultimi, tristi, mesi di pandemia. Un vero e proprio tormentone, che tuttavia indica quella modalità di organizzazione ed esecuzione del lavoro che dovrebbe porsi al centro del nuovo sistema.

È evidente come gli effetti della pandemia abbiano accelerato il moto in direzione del ricorso sempre più spinto e capillare a strumenti di semplificazione digitale, tuttavia, di fronte al destino di un essere umano che si trova a essere giudicato da una corte di Giustizia perché imputato di un reato penale, l’impiego di tali strumenti risulta vieppiù delicato, poiché di mezzo potrebbe andarci la libertà e il futuro di una persona.

La diffusione dei contagi hanno riproposto prepotentemente il tema della digitalizzazione dei processi, poiché la trattazione delle cause in collegamento “da remoto”, decise dal precedente ministro di Giustizia Alfonso Bonafede, hanno limitato gli accessi ai tribunali, in quanto luoghi di assembramento.

Concreta praticabilità della digitalizzazione

Riguardo alla concreta efficacia del processo di digitalizzazione delle attività giudiziarie sono stati sollevati dei dubbi. I detrattori affermano che esso verrebbe messo in discussione dall’enorme mole di procedimenti penali attualmente pendenti, inoltre, giocherebbe a sfavore anche la carenza di personale addetto a inserire (caricare) le pratiche nel sistema informatico.

Al contrario, i fautori giungono, con sottile malignità, ad affermare che la de-materializzazione della Giustizia penale è temuta perché porterà alla graduale evanescenza di alcune figure di operatori della Giustizia.

Fatto sta, che il rito telematico civile è una realtà, seppure a volte claudicante, dall’inizio degli anni 2000, mentre invece il rito penale telematico praticamente è ancora “al palo”.

Sempre i detrattori argomentano che il procedimento da remoto comporta degli svantaggi per le parti poiché in un processo l’oralità risulta di fondamentale importanza. Ma quanti sono, in realtà, i processi penali veramente in presenza?

Alcuni dati

Se i processi celebrati in Corte di assise sono necessariamente in presenza, il 60% dei processi penali avvengono invece in assenza degli imputati.

La «cartolarità» la fa dunque da padrona, poiché buona parte dei processi ha luogo in camera di consiglio, dove l’oralità non è necessaria e si ricorre a rilievi di natura tecnica sulla base di atti, documenti e memorie, con decisioni pronunciate nei termini di trenta, sessanta o novanta giorni dal momento della discussione.

Nel 40% dei casi – si pensi ai procedimenti in Corte di appello celebrati in camera di consiglio – gli avvocati si «riportano» ai motivi scritti. Ovviamente, tutti quei processi che risultano incompatibili con uno svolgimento in modalità digitale dovranno essere celebrati necessariamente in presenza.

Infatti, sempre con riferimento ai processi a ruolo presso le Corti di appello, nell’80% dei casi gli avvocati si «riportano ai motivi», il 10% sono oggetto di patteggiamento allargato con il Procuratore generale della Repubblica, mentre il restante 10% viene discusso in assenza delle parti e dei testimoni.

La materia è stata affrontata nel dettaglio nel corso del dibattito organizzato da insidertrend.it, del quale di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio audio integrale (A307)

A307 – GIUSTIZIA, DIGITALIZZAZIONE DEI PROCESSI: DUBBI E SPERANZE RIPOSTE NEL RITO TELEMATICO. In una fase oltremodo critica, la Giustizia italiana potrebbe rinvenire l’occasione di superare alcune criticità grazie al complessivo processo di digitalizzazione della Pubblica amministrazione, che dovrebbe venire realizzato anche e soprattutto in virtù dei finanziamenti europei.
Tuttavia, al riguardo sussistono dubbi e interrogativi, insidertrend.it ha cercato di porvi risposta interpellando due giuristi esperti della materia, gli avvocati GIUSEPPE ROSSODIVITA (presidente della Commissione Giustizia del Partito Radicale e già consigliere alla Regione Lazio) e l’avvocato e professore ROBERTO DE VITA (direttore del Dipartimento Giustizia dell’Eurispes e membro del gruppo di lavoro “Giustizia 2030”).
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