SALUTE, Coronavirus. L’epidemia si batte «comprando il tempo: anticipare le ferie estive e lavorare ad agosto», la proposta choc

Quando una società si trova ad affrontare scenari inediti, o quanto meno “ritenuti” inediti, talvolta in soccorso viene la fantascienza

Articolo di Alberto Baldazzi pubblicato da “L’Eurispes” il 5 marzo 2020 – Quando una società si trova ad affrontare scenari inediti, o quanto meno “ritenuti” inediti, talvolta in soccorso viene la fantascienza.

La suggestione di un film del 2012 (per altro non un capolavoro) dal titolo “In Time”, i cui protagonisti per sopravvivere e conquistare una quasi-immortalità, devono «comprare il tempo» della loro vita, in qualche misura si attaglia ad un mondo globalizzato in lotta da un paio di mesi contro il Coronavirus.

Abbandonando la suggestione e scendendo nel che fare delle prossime settimane per arginare gli effetti di un contagio di per sé non letale, ma in grado di far saltare gli equilibri dei sistemi sanitari e di sconvolgere le nostre abitudini, si evidenzia comunque che “comprare il tempo” sarebbe la ricetta giusta per limitare i danni. In che senso? Vediamo.

La diffusione del contagio non preoccupa in sé, ma in quanto la percentuale di contagiati che necessitano di cure ospedaliere (terapia intensiva, rianimazione) – pur essendo assai limitata (5%?) – nel caso in cui il numeratore aumenta esponenzialmente, finisce con il generare numeri assoluti non gestibili dalle strutture sanitarie dei singoli paesi. Sarebbe auspicabile, dunque, non tanto azzerare i contagi (obiettivo impossibile da raggiungere), ma fare in modo di diluirli in un tempo più dilatato.

Quanto più i sistemi sanitari si mostrano attrezzati, tanto minore risulterà il numero dei decessi. Gli ospedali, dunque, devono poter lavorare “oltre l’emergenza”, e attrezzarsi a seguire l’andamento dell’epidemia nel medio periodo (6-12-18 mesi?). Si manifesta, dunque, l’esigenza di dotarsi di ulteriori unità di terapia intensiva e di un numero più elevato di operatori sanitari (infettivologi, internisti, pneumologi, assistenti sanitari). Per questo, anche iniziando immediatamente «ci vuole tempo».

Il “tempo” è poi una dimensione essenziale all’interno della quale il virus (qualsiasi virus) perde di “virulenza” (sostantivo che proprio da esso deriva) a causa dei miliardi di successive repliche e della creazione dell’immunità di gregge, legata alla sua progressiva colonizzazione di noi umani e/o di altri animali.

Il “tempo” è, inoltre, condeterminante nella lotta contro il Coronavirus anche dal punto di vista meteorologico. Più si procede verso la buona stagione, con conseguente innalzamento delle temperature, minore sarà, probabilmente, l’incidenza dei contagi, più facilmente “respinti” da organismi in migliore salute.

Ma come si fa a guadagnare, a «comprare» tempo e conseguentemente a diluire l’avanzare dei contagi? Quarantene, zone rosse, categorie di cittadini invitati a restare a casa, diluizione dei rapporti sociali: questi gli strumenti al momento (e provvisoriamente) attuati che, certo, hanno ridotto l’ampliarsi del contagio, ma non come nelle migliori aspettative.

Così, a soli quindici giorni dalla scoperta del primo “contagiato” in Italia, il Coronavirus ha toccato più di 2.500 concittadini e, vista la progressione degli ultimi giorni, con ogni probabilità non si fermerà molto presto. In alcuni ospedali lombardi si manifestano le prime saturazioni dei reparti in grado di curare i pazienti più seri.

Se i volumi raddoppieranno, triplicheranno e, non si voglia, decuplicheranno, il Sistema sanitario nazionale andrà in tilt.

È questo il rischio reale. Non è a rischio la vita di milioni di italiani, ma quella di alcune centinaia (o migliaia) di cittadini più severamente colpiti e/o con patologie pregresse. È responsabilità di tutti assicurare a questi cittadini il massimo delle cure. Per far questo, dobbiamo ridurre ora il numero dei nuovi contagiati.

Dobbiamo «acquistare tempo». Le azioni per ridurre le occasioni di contagio hanno già stravolto la vita di tutti i cittadini delle zone rosse, e poi anche di quelli delle zone arancione. È realistico ritenere che stravolgerà la vita di tutti gli italiani. È bene metterlo in conto, per non essere travolti da una prospettiva che non ci deve terrorizzare, bensì responsabilizzare. Non rimanendo contagiati noi, non rischiamo di passare il contagio ai più deboli di noi.

La politica, le Istituzioni, il buon senso collettivo devono armarsi di rigore e di realismo, evitando che ci venga “imposto” quello che sarebbe meglio programmare e accettare, certo non di buon grado, ma almeno come “male minore”.

Se vogliamo «comprare tempo» dobbiamo farlo ora, superando l’inerzia legata a tradizioni, a routine del tutto legittime, che però dobbiamo mostrarci in grado noi di modificare e stravolgere, senza che ciò ci sia imposto dall’esterno.

Qualche esempio? Proviamo a farlo.

In queste ore il Governo ha deciso di chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado fino a metà marzo, a valle di un lungo dibattito tra pro e contro. E se non bastasse? Che cosa facciamo, il tira e molla? Non sarebbe meglio «comprare più tempo» e decidere che nel 2020 le vacanze scolastiche saranno da metà marzo a fine aprile, con l’aggiunta di una quindicina di giorni ad agosto, mentre a luglio e a settembre tutti a scuola?

Si tratta, ovviamente, di uno sconvolgimento, ma è meglio programmarlo piuttosto che farselo imporre dal Coronavirus.

Interi piani dei Palazzi di giustizia negli ultimi giorni vengono sgombrati e sanificati. Non sarebbe opportuno “decidere” di ridurre al minimo l’attività dei tribunali da subito e per un congruo numero di settimane, recuperando il lavoro non svolto in quella che sarebbe stata la chiusura estiva?

Questioni tecnicamente assai complesse, ma anche in questo caso meglio accettare sacrifici oggi – nella fase in cui è più utile «comprare tempo» – che navigare a vista.
I circa ventitré milioni di italiani occupati, spaziano e operano in settori tra loro assai diversi. Che in queste settimane vada per quanto possibile privilegiato il telelavoro, è già stato detto. Con un intervento esplicito il Governo dovrebbe sdoganare questa possibilità.

Ma oltre a ciò, perché non pensare a stabilimenti industriali che si organizzano per anticipare le ferie in primavera, e recuperare in estate?

Ad esempio la ex-Fiat che chiude ad aprile invece che ad agosto, è solo una boutade?

Siamo pienamente consapevoli che ogni soluzione che esuli dalle routine consolidate rappresenta un problema. Dobbiamo solo decidere in quali gradini della scala gerarchica dei problemi collocare il Covid-2019.

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