LIBANO, disordini. Dal carovita al cambiamento dell’assetto costituzionale

«In mezzo ai manifestanti si infiltrano agenti provocatori». A insidertrend.it parla Misbah Adbah, ex parlamentare fatto segno di colpi d’arma da fuoco nel corso di una protesta di piazza a Tripoli

Secondo Misbah Ahdab, laico originario della regione settentrionale di Tripoli a maggioranza sunnita e già deputato al parlamento di Beirut, l’equazione politica del Paese dei cedri è relativamente semplice: «Gli iraniani “gestiscono” gli sciiti, i sauditi i sunniti e i cristiani cercano di trovare una forma di sopravvivenza dividendosi tra filo-iraniani e filo-sauditi».

In questi giorni tumultuosi di fatto starebbe mutando il complesso e bilanciato assetto costituzionale libanese.

Ma non solo, poiché secondo lo stesso esponente della società e della politica libanese, degli agenti provocatori si sarebbero infiltrati tra i dimostranti pacifici per creare incidenti.

Prova ne sarebbe l’attacco di cui è rimasto vittima nella città settentrionale di Tripoli: «Noi (i parlamentari rimasti coinvolti nei conflitti a fuoco) siamo stati accusati di avere sparato sulla folla scesa in piazza, ma non è vero. Ci sono dei gruppi che si spostano a bordo di motociclette sul modello dei bassij iraniani che si infiltrano nelle manifestazioni per farle degenerare in violenza, agenti provocatori tollerati dallo Stato».

 

Il messaggio di Nasrallah. Alla spallata della piazza tesa a un cambio al vertice dello Stato – i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del presidente Aoun e del premier Hariri -, la risposta del leader della forza politica e militare preponderante nel Paese (Hezbollah) Hassan Nasrallah è stata che «il presidente non cambierà, ma può cambiare il governo».

Il movimento sciita possiede la “golden share” dell’esecutivo di Beirut e appoggia direttamente il vecchio generale cristiano-maronita insediatosi ormai da anni nel palazzo presidenziale di Baabda.

Il problema attuale è dunque quello di come trovare un nuovo modus vivendi che consenta al Libano di interfacciarsi dialetticamente con Hezbollah, ma fino a oggi su questo dirimente aspetto ancora nulla è chiaro.

Hezbollah si oppone alle dimissioni del governo e, mentre gli oppositori dell’esecutivo in carica organizzano nuove manifestazioni, dalla sua roccaforte nella periferia sud della capitale, l’influente leader sciita Hassan Nasrallah è apparso dagli schermi della televisione al-Manar per ribadire la posizione espressa dal suo movimento.

«Le richieste di dimissioni dell’attuale governo di unità nazionale sono una perdita di tempo – ha affermato -, dal momento che gli stessi gruppi politici stanno trattando per la formazione di un nuovo esecutivo. Non vogliamo le dimissioni del governo se le dimissioni significano che poi non ci sarà nessun governo e quindi i libanesi devono lavorare insieme».

Nasrallah ha quindi messo in guardia i manifestanti sulla rivalità politica, ammonendo che avrebbe fatto fallire il loro progetto, aggiungendo che «i politici che si sottraggono alle loro responsabilità lasciando il governo mentre l’economia crolla dovrebbero essere messi sotto processo», infatti, «formare un nuovo governo – ha concluso – potrebbe essere molto complicato e potrebbe bloccare nuovamente la politica per mesi».

 

Precari equilibri politici. Il premier Saad Hariri è stato confermato nella carica lo scorso gennaio, a nove mesi di distanza dalle elezioni, dopo lunghe trattative.

Il sistema politico libanese deve necessariamente tenere conto del delicato equilibrio tra le principali confessioni religiose e delle etnie presenti nel Paese. L’impianto costituzionale in vigore dopo la fine della lunga e sanguinosa guerra civile prevede che i seggi del parlamento vengano equamente divisi tra i musulmani (circa il 45% della popolazione) e i cristiani (il 55 %), che il presidente della repubblica debba essere sempre un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del parlamento un musulmano sciita.

È anche per questa ragione che Hariri – sunnita il cui potente clan è originario della zona di Sidone e il cui padre Rafiq venne assassinato su ordine dei servizi segreti siriani – ha ottenuto nuovamente la carica nonostante il suo partito avesse perso alle elezioni.

Una coalizione di unità nazionale – sostenuta della maggior parte dei partiti politici libanesi tra i quali anche Hezbollah – che si è trovata a dover affrontare una situazione economica critica, dimostrandosi però non in grado di porvi rimedio.

Il Libano è gravato da uno dei più alti debiti pubblici del mondo e il governo di Beirut, nel disperato tentativo di ottenere prestiti dall’esterno, ha pensato di ridurre il deficit di bilancio previsto per il prossimo anno fiscale attraverso l’imposizione di misure impopolari.

Ulteriore austerità imposta quale condizione all’erogazione degli undici miliardi di dollari bloccati dai donatori internazionali.

L’impennata del debito pubblico, pari a oltre il 150% del Pil, forma un pericoloso combinato composto con la flessione della crescita economica libanese, anche conseguenza diretta degli otto anni di devastante guerra nella confinante Siria.

Nel suo discorso al paese pronunciato ieri sera, il premier Hariri ha affermato che «le riforme economiche non significano necessariamente nuove tasse», rivolgendo contestualmente una richiesta alle forze politiche per ottenere entro lunedì un accordo che consenta il varo delle riforme nel programma dal governo.

 

Le tappe dell’escalation. Le proteste su vasta scala che hanno preso di mira l’intera classe politica del paese bloccano il paese da giovedì scorso e, anche oggi, i manifestanti si sono radunati per protestare contro gli aumenti delle tasse e la corruzione e chiedere la radicale revisione del sistema politico libanese.

I dimostranti hanno praticamente bloccato l’intera città, giungendo a presidiare anche il Gran Serail, palazzo del primo ministro, dove sono stati poi bloccati dalla polizia e dallo schieramento dei militari dell’Armée libaneise.

Barricate sono state erette sulle strade principali e autostrade della capitale, anche sulla Airport road, nel settore sud della città, banlieu popolata in maggioranza da sciiti dov’è insediato da decenni anche un campo profughi palestinese.

Gli eventi della notte sono stati innescati da una tassa fino a sei dollari al mese imposta sulle telefonate via Internet effettuate con WhatsApp o altre applicazioni del genere come Facebook Messenger e FaceTime.

A nulla è valsa la successiva diffusione della notizia che il ministro delle telecomunicazioni Mohammed Choucair aveva revocato il provvedimento a causa delle massive proteste di piazza.

Si è trattato del detonatore delle più partecipate e violente proteste della storia recente del Libano, che in pochi giorni hanno fatto vacillare il governo Hariri.

Nella giornata di ieri le proteste si sono estese agli altri maggiori centri del Libano, in particolare a Tripoli, importante città settentrionale a maggioranza sunnita che negli anni scorsi è stata interessata da scontri armati che hanno registrato anche la partecipazione di formazioni jihadiste.

La partecipazione alle manifestazioni è cresciuta improvvisamente quando in rete ha iniziato a circolare un video che mostrava la scorta di un ministro sparare in aria per allontanare dei manifestanti.

Ieri le proteste si sono ripetute, migliaia di persone di ogni orientamento politico vi hanno preso parte pacificamente e fino a sera non si sono verificati incidenti, tuttavia, all’imbrunire gruppi di manifestanti violenti hanno ingaggiato tafferugli con le forze dell’ordine, danneggiando negozi ed erigendo barricate nelle strade.

Nei quartieri sunniti i manifestanti hanno defisso i poster di Hariri strappandoli, mentre in quelli a maggioranza sciita è stato contestato Nabih Berri, storico leader del partito Amal attualmente presidente del parlamento, la cui popolarità è sempre stata alta. Anche le zone controllate da Hezbollah sono state interessate da incidenti.

Al mattino il centro di Beirut era disseminato di vetri rotti, cestini ribaltati e resti di pneumatici bruciati, con le banche, i ristoranti e i negozi che non hanno aperto al pubblico.

di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista con Misbah Ahdab registrata da Beirut

 

A197 – LIBANO, DIVAMPA LA PROTESTA: dal problema della crisi economica e del carovita alla possibile modifica dell’impianto costituzionale. A insidertrend.it parla MISBAH AHDAB ex parlamentare laico fatto segno di colpi d’arma da fuoco nel corso di una protesta di piazza a Beirut.

Un resoconto dei perché dell’esplosione della protesta di massa nel Paese dei cedri, che vedono la partecipazione di magliaia di manifestanti pacifici infiltrati, però, da agenti provocatori.

La critica situazione del governo di unità nazionale presieduto da Saad Hariri non è altro che il riflesso di una situazione economica disastrosa. Senza riforme strutturali e contenimento del deficit pubblico i donatori internazionali non erogheranno gli aiuti finanziari che al momento restano bloccati.

Ma, a permanere bloccato è anche il complesso e delicato assetto costituzionale uscito da anni di sanguinosa guerra civile.

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