Una nota di spirito iniziale che sdrammatizzando prelude alla introduzione di un argomento estrememente serio, quello relativo al potenziamento dello strumento difensivo dei vari Stati membri dell’Unione europea, il cosiddetto “Rearm Europe”, del quale si è trattato ampiamente nell’interessante convegno organizzato dall’associazione Omnia Nos, che ha avuto luogo nel pomeriggio di ieri presso il Circolo Ufficiali delle Forze armate a Roma, e del quale insidertrend.it rende disponibile la registrazione audio integrale (A709-01APR25).
IL CONVEGNO DI OMNIA NOS AL CIRCOLO UFFICIALI DELLE FORZE ARMATE
Alla discussione hanno preso parte militari (tra questi il capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano, Carmine Masiello, politici, docenti universitari e giornalisti. Tema di fondo: le dinamiche geopolitiche e gli scenari continentali in relazione a possibili percorsi evolutivi della Difesa europea. Alla vigilia del giorno in cui da Washington tutto il mondo attende le decisioni del presidente degli Stati Uniti d’America in ordine ai dazi commerciali dei quali egli si dice intenzionato a imporre, il confronto nella elegante sala di Via XX Settembre a Roma ha preso avvio da una serie di interrogativi: quali forme potrà rivestire una Difesa comune europea alla luce delle politiche isolazioniste (e marcatamente imperialiste) di Donald Trump? Che ne sarà di questa Unione europea, che finora ha sempre agito di rimessa in reazione alle dinamiche avviate dagli americani (non ultima quelle conseguenti ai disimpegni militari di Washington da vari teatri di crisi)?
IL GRANDE SOGNO
In effetti, quello della Difesa comune europea è sempre stato un grande sogno mai divenuto realtà, dunque oggi, di fronte ai mutamenti epocali che stanno portando al cambio di paradigma (la NATO reggerà il colpo oppure no? Se sì in che modo?), non pochi sostengono con convinzione che quella del riarmo europeo sia una occasione da non perdere al fine di conseguire finalmente l’agognato obiettivo. Tutto davvero stimolante, tuttavia, come sottolineato in alcuni interventi nel corso della discussione, bisogna prestare molta attenzione «ai canti delle sirene», poiché potrebbero ammaliare l’opinione pubblica con parole magiche quali «investimenti», «crescita», «conversione industriale», «occupazione» e via discorrendo, mentre il risultato potrebbe invece essere quello di una voragine spesa (a debito) a copertura di acquisizioni di sistemi d’arma, magari in buona parte prodotti proprio in quell’America di Trump che tanto disprezza l’Europa lasciandola al suo destino.
ATTENZIONE ALLA SEMANTICA
In questi casi la comunicazione, così come le operazioni psicologiche, riveste un’importanza fondamentale, tuttavia, sulle parole ci si soffermerà brevemente richiamando un intervento essenziale di ieri e rinviando alla registrazione integrale audio dell’evento (A709-01APR25) per una trattazione maggiormente esauriente. Attenzione alla semantica nella spiegazione dei perché di una spesa del genere alla base di un processo di riarmo nell’azione di promozione di esso agli occhi dell’opinione pubblica, ad esempio nel fare ricorso a termini quali «deterrenza»: nei confronti di chi? Come? In quale termine? Breve? Medio? Lungo? E inoltre (anche questa una vecchia storia), parlare di conversione industriale in questa fase di crisi profonda può indurre molti imprenditori a impegnarsi in costoose (per il contribuente soprattutto) avventure dagli esiti spesso scarsamente produttivi. Infatti, così come nelle arti e nei mestieri, anche nell’industria non tutti sanno fare tutto, e non ci si inventa eccellenze tecnologiche del settore armiero dall’oggi al domani soltanto perché si dispone di una officina.
PRODOTTO NAZIONALE LORDO
Non è così facile. Inoltre ci sono gli atavici, radicati, inattaccabili protezionismi. Legittimi, per carità, ma che sulla falsa riga del passato, anche nel caso del Rearm Europe remano in senso contrario a una razionale allocazione comune delle risorse disponibili. In sostanza: ogni industria nazionale (e ce ne sono molte) vorrà realizzare il suo prodotto e in questo verrà sostenuta dal suo Stato di riferimento. Esattamente l’opposto di quanto si dovrebbe fare con risorse scarse (ottenute a debito) che imporrebbero oculatezza e prudenza per il loro impiego. E qui, un ulteriore rischio di sprechi deriva dalla velocità dei processi di sviluppo e acquisizione, necessari, sì, a fronte della disponibilità di sistemi tecnologicamente avanzati i cui tempi di obsolescenza si misurano in pochi mesi, mentre gli iter burocratici di acquisizione delle amministrazioni pubbliche sono di molto più lunghi, e il cui snellimento delle procedure presenta non poche incognite.
CONDIZIONARE L’EROGAZIONE DEI FINANZIAMENTI
Certo, il decisore politico in sede comunitaria dovrebbe addivenire a presupposti fondamentali alla base del finanziamento dei programmi di riarmo europeo, condizionando l’erogazione dei finanziamenti soltanto a fronte di programmi di sviluppo comuni. A maggior ragione in una fase critica come quella attuale, caratterizzata da incertezze sui piani economico e industriale e dalla instabilità dei mercati finanziari. Per uno stato fortemente indebitato come l’Italia l’acquisto di armi a debito per centinaia di miliardi di euro è una operazione che potrebbe rivelarsi disastrosa, dunque prima di porla in essere è necessario riflettere a fondo sui suoi possibili effetti. Non è chiaro cosa accadrà nei prossimi mesi oltre Atlantico, se divamperà una guerra commerciale e valutaria l’Europa dovrà tenersi stretta la sua moneta comune e fare di tutto per mantenerla stabile, evitando quindi avventurismi nei termini dell’esposizione debitoria, già di per sé monstre. Eppoi, rimane sempre il peccato originale…
PERMANE, TUTTAVIA, IL PECCATO ORIGINALE
Chi deciderà se fare guerra o meno muovendo le armate europee verso Oriente? Chi a Bruxelles? O, chissà, a Mons, grazie a qualche strana alchimia di cui non è dato immaginare? Già, poiché si potranno anche spendere mille miliardi e comprare un Godzilla corazzato invulnerabile, ma il peccato originale del Vecchio Continente non risulterà mondato in alcun lavacro di nuovi vertici istituzionali (politici) comuni di comando. Infatti, a differenza di quanto avvenuto per il commercio e la moneta, gli Stati membri dell’Unione europea non hanno ancora delegato a un livello decisionale comune la Difesa. Si tratta di un vulnus formidabile, date le inesorabili condizionalità derivanti da interessi nazionali a volte (meglio: frequentemente) divergenti, culture strategiche e situazioni politiche diverse, oltreché differenti strutture istituzionali facenti capo ai vari Stati membri.
DEFICIT DI LIVELLO APICALE
E poiché le guerre vengono scatenate dai vertici politici degli stati, va preso in debita considerazione l’aspetto non indifferente che questi vertici politici perseguono ognuno obiettivi diversi, magari, dalla distruzione del nemico (debellatio), bensì di natura, appunto, propriamente politica. Al riguardo basterà ricordare come andò la vicenda dell’attacco nel 1999 NATO alla Jugoslavia, quando per intervenire, la forza necessitava del consenso espresso dagli (allora sedici, poi in seguito sarebbero aumentati) Stati membri, rappresentati in seno al Consiglio Atlantico. Che, però, ogni volta che un bombardiere doveva decollare per una missione sui Balcani, imposero le più diverse condizionalità di natura politica, che trovarono applicazione dopo una discussione e la loro approvazione da parte degli ambasciatori, una macchinosità tale che ridusse l’efficacia dello strumento militare impiegato. È facile immaginare cosa accadrebbe nel malaugurato caso di una crisi con la Federazione Russa.
DOVE METTERE LE MANI PER COMINCIARE
Ma, allora: in quali termini è concepibile un concreto sviluppo di una Difesa comune? Nel corso del convegno di Omnia Nos al Circolo Ufficiali di Roma la risposta più o meno univoca è stata quella della gradualità, in vista di una sempre più completa interoperabilità, preludio di una vera e propria Difesa comune europe, magari partendo dal nucleo originario formato dai maggiori Stati membri. Ma questo, sempre in attesa della costituzione di un vero Stato europeo, cioè del livello decisionale politico.