STRATEGIA, scenari. La NATO deve indossare la mascherina? Da quale «prossimo virus» dovrà proteggersi?

Secondo il generale Giuseppe Morabito sarebbero tre gli elementi di preoccupazione sui quali si dovrebbe dedicare maggiore attenzione: la Difesa europea, il futuro dell’Afghanistan e l’espansionismo della Repubblica Popolare cinese

di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria e analista presso la NATO Defense College Foundation – Nelle settimane precedenti alcuni analisti hanno affermato di essere preoccupati del fatto che, per un insieme di errori di calcolo, compiacenza, opportunità e crescente pressione su Mosca, potessero crearsi le condizioni per un’altra guerra a sorpresa in un’Europa paralizzata dal virus di Wuhan e addormentata dal sole di agosto (vedasi agosto 2008 in Georgia).

Nulla avviene, per il momento, tuttavia, sotto gli ombrelloni o passeggiando tra le fresche colline o sulle montagne con la mascherina al seguito, bisognerebbe iniziare o continuare a riflettere su tre argomenti: la Difesa europea, il futuro dell’Afghanistan e l’espansionismo della Repubblica Popolare cinese.

Difesa europea. Il motivo di preoccupazione è la decisione del presidente Donald Trump di ritirare e spostare 12.000 militari statunitensi dalla Germania. Una decisione che vuole essere un messaggio chiaro e forte sia agli amici sia ai potenziali nemici.

Il Segretario americano alla Difesa Mark Esper, per chiarire meglio il “concetto” ha poi dichiarato che «gli Stati Uniti stanno semplicemente …seguendo il nostro confine est, dove sono i nuovi alleati».

Al momento, la Polonia ha accettato di finanziare il quartier generale del V Corpo dell’US Army, nonché le infrastrutture e la logistica necessarie per una base in grado di ospitare 4.500 soldati e un’ulteriore migliaio di truppe rotazionali.

Lunedì scorso Esper ha dichiarato che l’accordo sottoscritto da Varsavia e Washington «incrementerà la nostra deterrenza contro la Russia, rafforzerà la NATO, rassicurerà i nostri alleati e la nostra presenza proiettata in Polonia sul nostro fianco orientale, migliorerà la nostra flessibilità strategica e operativa».

La mossa accorcerà sicuramente la distanza del centro di gravitazione delle forze statunitensi in Europa e il confine orientale della NATO, ma non è chiaro se l’obiettivo che si sono posti gli americani sia davvero rafforzare la deterrenza nei confronti di Mosca spostando la gravitazione.

In altre parole, l’interrogativo è se Trump stia usando le sue forze armate come uno strumento di negoziazione in un gioco di scacchi ad alto rischio con la cancelliera tedesca Angela Merkel, una partita nella quale la capacità di difesa dell’Europa è la “posta” principale.

Il messaggio fatto giungere da Washington alla Germania è assolutamente chiaro: se la Germania e altri Paesi europei non riescono a spendere abbastanza per la propria difesa, perché la difesa dell’Europa dovrebbe essere a carico degli americani?

La «mascherina di protezione» americana per l’Europa costa almeno il 2% del Pil nei bilanci della Difesa dei singoli Paesi alleati.

Ma, in tempo di restrizioni economiche causate dal Covid-19 sarà difficile far accettare questo alle opinioni pubbliche europee, seppure non si debba fare passare inascoltato il «portiamo i nostri ragazzi a casa», cioè quello slogan che Trump ha spesso ripetuto e che incontra il favore dell suo elettorato repubblicano, anche in chiave afghana.

Afghanistan. Molti correttamente sostengono che le basi per una “NATO globale” e meno legata ai principi per la quale venne costituita, cioè quelli relativi a un’alleanza di natura strettamente difensiva, siano state stabilite molto tempo fa.

Infatti, da più di un decennio l’Alleanza opera in Afghanistan, dove guida la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF).

In tale contesto assume una enorme rilevanza la decisione che i colloqui di pace tra il Governo afghano e i talebani potrebbero iniziare nel giro di pochi giorni, a seguito della dichiarazione ufficiale diffusa dagli insorti, che affermano di essere disposti a sedersi intorno a un tavolo una volta che avrà avuto luogo la liberazione di un gruppo finale di combattenti.

Si tratta del destino di quattrocento “studenti islamici” prigionieri, che ha costituito un ostacolo cruciale ai colloqui tra le parti, impegnatesi però in passato a completare uno scambio prima che i negoziati potessero iniziare. Ora che tutto è stato definito parrebbe dunque che il problema sia risolto.

All’inizio del mese di agosto migliaia di afgani hanno approvato il rilascio al termine di una loya jirga protrattasi per tre giorni, un tradizionale raduno afghano di anziani tribali e altri soggetti interessati che spesso ha luogo per decidere su questioni controverse. «La nostra posizione è chiara: se il rilascio del prigioniero è completato, allora saremo pronti per i colloqui intra-afghani entro una settimana», questo ha affermato all’Afp il portavoce dei talebani Suhail Shaheen.

La televisione di stato afgana ha riferito che i colloqui avranno inizio il giorno ​​16 agosto, seppure nessuna data sia stata confermata con certezza e, comunque, il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Javid Fasial ha tenuto a precisare che «il governo di Kabul inizierà a rilasciare i talebani prigionieri entro due giorni».

Shaheen ha reso noto che il primo round di colloqui si terrà a Doha, in Qatar, dove l’anno scorso è stato concluso un accordo tra Usa e talebani.

Lo scambio di prigionieri è stato una parte fondamentale di quell’accordo, raggiunto nel mese di febbraio, quando Washington aveva accettato di iniziare a ritirare le sue forze armate dal Paese centroasiatico in cambio dell’impegno assunto degli insorti di tenere colloqui di pace con il governo di Kabul.

Se i colloqui avranno buon esito – ma molti dubbi permangono sulla loro riuscita – e porranno quindi fine a un conflitto che si protrae da quasi due decenni e che è costato decine di migliaia di vite, anche i più scettici ammetteranno (al di là delle chiusure ideologiche) che almeno si vede una possibilità concreta di un sostanzioso giustificato ritiro di tutte unità NATO impegnate nella missione ISAF.

Un ritiro già in parte iniziato, e che sarà sicuramente ”targato Trump, in funzione della campagna elettorale per le presidenziali del prossimo novembre.

Quindi, la “mascherina modello ISAF” contro i terroristi talebani forse non si dovrà più indossare. Forse.

La Cina. L’atteggiamento espansionistico di Pechino e il conseguente stimolo indotto nell’amministrazione Trump a mostrare una maggiore attenzione alla Repubblica Popolare cinese stanno generando dei mutamenti nel pensiero militare globale.

La NATO, sicuramente l’alleanza militare di maggior successo nella storia, si sta lentamente ma costantemente avvicinando a considerare la Cina come un/il vero concorrente militare.

In precedenza l’Occidente aveva evitato di coinvolgere la NATO nel contrasto del Grande Paese comunista asiatico mentre questo si trovava in fase di ascesa, ma la spinta dell’amministrazione Trump ha poi fatto in modo che la NATO abbia ricalibrato le sue priorità.

Ci stiamo gradualmente muovendo verso una NATO più globale, con interessi estesi oltre la sua classica area di responsabilità, cioè l’Europa, che ora vede la crisi sulla sua capacità di difesa, sconfinando nella regione indo-pacifica.                                                           Le forze navali della NATO sono state tra le prime a contrastare il fenomeno della pirateria attraverso l’operazione “Ocean Shield” lungo la costa dell’Africa orientale nel 2008.

Con il passare degli anni non sono venute meno le missioni di addestramento militare e le attività accademiche, che sono state un elemento comune del coinvolgimento della NATO in Medio Oriente.

L’Alleanza, con spirito unitario, continua, malgrado le differenti vedute interne e la posizione non chiara della Turchia su questo specifico aspetto, a rispondere anche al terrorismo, alle minacce informatiche e alla disinformazione. Inoltre, gode di partnership speciali (di natura consultiva) con Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud, Giappone e Mongolia.

Tuttavia, l’ascesa militare ed economica della Cina comunista, con il suo progetto della Belt and Road Initiative (BRI) e il crescente appetito negli oceani Indiano e Pacifico evidenziati dagli attentati alle democrazie di Hong Kong, adesso, e Taiwan, minacciata in un futuro purtroppo prossimo, hanno portato Pechino, nell’ultimo decennio, in netta opposizione con Washington.

In particolare, aprendo una finestra su cosa sta avvenendo a Taiwan, gli ultimi giorni non sono incoraggianti.

La Cina, come detto, sta provando a trasformare la democratica Taiwan in un’altra Hong Kong.

Questo è l’allarme del ministro degli Esteri di Taipei Joseph Wu, lanciato nell’incontro avuto con il segretario alla Salute americano Alex Azar, il più alto funzionario Usa a essersi mai recato nell’isola dal 1979, anno in cui Washington avviò le relazioni diplomatiche con la Cina a sfavore di Taipei.

«La Cina continua a fare pressione su Taiwan perché accetti le sue condizioni politiche, condizioni che trasformerebbero Taiwan nella prossima Hong Kong», ha affermato Wu.

Di queste ore la notizia che proprio in concomitanza con la visita di Azar dei cacciabombardieri cinesi hanno varcato la linea meridiana dello Stretto di Taiwan per rimarcare il monito di Pechino contro la visita. Un’altra provocazione in puro “nuovo stile cinese”.

Aggressività di Pechino. L’arroganza di Pechino potrebbe far si che la NATO si trovi a dover giocare un ruolo più importante negli affari eurasiatici, il che significherebbe assumere una posizione più dura nei confronti di Pechino attraverso lo sviluppo di una nuova visione per il suo vecchio modello euro-atlantico-centrico.

Questa evoluzione nel pensiero si riflette nella dichiarazione congiunta dei leader della NATO, rilasciata a chiusura del Vertice londinese dello scorso dicembre, che, senza tuttavia fare dei cinesi un avversario, hanno affermato: «Abbiamo riconosciuto che la crescente influenza della Cina così come il suo coinvolgimento nelle politiche internazionali presentano sia opportunità, sia sfide sia dobbiamo affrontare insieme come Alleanza».

Le ragioni di questo cambiamento trovano fondamento nel costatare che il budget ufficiale cinese per la Difesa di 260 miliardi di dollari potrebbe mascherare un potere d’acquisto molto maggiore, raggiungendo potenzialmente fino al 70% del budget della difesa degli Usa.

La cooperazione militare della Cina con la Russia continua a crescere e ora copre l’Asia centrale, il Mediterraneo, il Golfo Persico e persino il Mar Baltico.

Inoltre, le crescenti capacità di forniture di armi nucleari da parte di Pechino può ora anche raggiungere l’Europa, il che, nel pensiero della NATO, richiede un ripensamento del suo approccio al gigante comunista asiatico.

Più doloroso per l’alleanza è la consapevolezza che la Cina ha compiuto passi significativi nel mercato della Difesa europeo. Recentemente, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha annunciato l’acquisto da parte del suo paese di sei droni da combattimento CH-92A (UCAV) di fabbricazione cinese. Ciò renderà le forze armate di Belgrado le prime in Europa a utilizzare i droni da combattimento cinesi.

Anche economicamente, l’ascesa della Cina in Europa è visibile nella sua cooperazione legata alla BRI con il nostro paese, nell’acquisto di porti in Grecia, nelle ampie non chiare relazioni con una Turchia ormai democraticamente fuori controllo e nell’istituzione del meccanismo 17+1, che coinvolge gli Stati dell’Europa centrale e orientale.

A questo punto è possibile sostenere che è stata la Cina a entrare nell’area di responsabilità della NATO e non il contrario.

Pechino potrebbe infatti divenire il motore per la coesione all’interno dell’Alleanza, che negli ultimi anni ha registrato attriti interni tra i suoi Stati membri.

La NATO è stata creata per contrastare l’Unione Sovietica sulla terraferma europea, ma ora deve confrontarsi la nuova realtà cinese. Dovrà quindi mutare la sua portata geografica e i propri metodi operativi.

Sebbene questo cambiamento di pensiero stia avvenendo all’interno della NATO, alcuni Stati membri permangono ancora attaccati alla loro visione e desiderano evitare di considerare la Cina come un vero e proprio nemico militare.

Tale mancanza di unicità di vedute lascia aperta la possibilità di cooperazione, come attestano le dichiarazioni del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg. In alcune recenti interviste, egli ha infatti dichiarato che «la NATO non vede la Cina come il nuovo nemico» e che «non si tratta di spostare la NATO nel Mar Cinese Meridionale, bensì di tenere conto del fatto che la Cina si sta avvicinando a noi, nell’Artico e in Africa, investendo molto nelle nostre infrastrutture in Europa e nel cyberspazio».

La Cina non rappresenta una minaccia militare diretta in questo momento ed è improbabile che cambi presto, ma c’è un’inevitabile dimensione geopolitica nell’ambito della quale Pechino è divenuta più attiva nell’Artico, nel continente africano e nella regione indo-pacifica, iInoltre sta negoziando un gigantesco trattato di cooperazione commerciale ed economica con Teheran, che le conferirà la capacità di posizionarsi nel Mar Arabico, una delle principali arterie per le sue forniture di petrolio.

Tutto ciò richiederà maggiore coordinamento e coesione all’interno della NATO. Stoltenberg ha rilevato la necessità che l’Alleanza assuma un ruolo politico più importante negli affari mondiali e persino di aiutare le nazioni dell’Indo-Pacifico a competere con l’ascesa della Cina.

Si tratterebbe di indossare una mascherina politico-diplomatica che sia un’evoluzione di quella usata contro il virus di Wuhan, “prodotto” cinese di esportazione e tuttora portatore di morte in tutto il pianeta.

Allo specifico riguardo, lo stesso Stoltenberg ha dichiarato: «Mentre guardiamo al 2030 dobbiamo lavorare ancora più a stretto contatto con paesi che la pensano allo stesso modo come Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud per difendere le regole e le istituzioni globali che ci hanno tenuto al sicuro per decenni, per stabilire norme e gli standard nello spazio e nel cyberspazio, sulle nuove tecnologie e sul controllo globale degli armamenti».

Che mascherina indossare per proteggersi? Stiamo per assistere a una mutazione che vedrà la NATO più globale, che definirà una sua agenda di sicurezza dell’Alleanza sempre meno centrata sull’Europa e il Nord America, un processo che a detta degli esperti avrà una durata di almeno un decennio.

Un cambiamento nella visione della NATO significherà anche che Mosca e le sue attività in Eurasia verranno considerate a un livello di minaccia inferiore.

La NATO dovrà spostare il proprio centro di gravità verso Oriente. Ciò non significherà necessariamente dislocare installazioni militari permanenti o personale in tutta l’Asia, però sicuramente una maggiore attenzione alle attività di qualsiasi genere che abbiano la paternità cinese, così da avvicinarsi all’Asia, in particolare all’indo-pacifico.

Serve una «mascherina tecnologica», deterrente e riutilizzabile per dieci anni, ma soprattutto fortemente condivisa.

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