TURCHIA, crisi con gli Usa. S-400 ed F-35, Washington «strappa» da Ankara e giunge a ipotizzare sanzioni

Erdoğan è dunque fuori dal programma di sviluppo del jet da combattimento. Il suo paese, membro della Nato, sta ricevendo le prime batterie di sistemi antiaerei e antimissile dalla Russia, con le evidenti incompatibilità di natura politica e tecnica del caso. Tutto questo non sarà certamente a costo zero, ma nel frattempo ad Ankara torna a profilarsi l’intervento militare in Siria contro i curdi dello Ypg

«Invitiamo gli Stati Unti a correggere questo errore, che è destinato a infliggere un danno irreparabile alle nostre relazioni strategiche».

Così si è espresso il ministero degli esteri turco mediante una nota ufficiale diffusa a seguito della decisione assunta da Washington di escludere Ankara dal programma di sviluppo dei cacciabombardieri F-35 della Lockheed Martin, causata dal perfezionamento dell’acquisto del sistema missilistico russo di difesa antiaerea S-400 da parte della Turchia.

Il 12 luglio erano stati consegnati ai militari turchi le prime componenti dell’hardware del sistema missilistico a lungo raggio S-400, le consegne proseguiranno nei prossimi mesi e le batterie antiaeree e antimissile dovrebbero divenire operative nl marzo del prossimo anno.

I rapporti bilaterali si sono talmente deteriorati al punto  di condurre ai prodromi di una vera e propria crisi.

La Casa Bianca ha infatti annunciato la cancellazione della partecipazione di Ankara al programma F-35 e la definitiva sospensione delle consegne dei velivoli all’aeronautica militare di Ankara e l’ordine di rientro in Turchia entro il 31 luglio dei tecnici e dei piloti turchi attualmente negli USA allo scopo di addestrarsi sul nuovo velivolo da combattimento.

Oltre alla fondamentale questione politica, esisterebbero comunque delle incompatibilità tecnica tra gli F-35 e il sistema di difesa antiaereo e antimissile di produzione russa che è in fase di consegna ai turchi.

Una volta immessi in linea gli S-400 e in assenza della fornitura dei codici di identificazione da parte americana (ovviamente a questo punto al Pentagono se ne guardano bene) i turchi avrebbero rischiato l’abbattimento dei loro F-35 poiché non identificati, inoltre gli stessi americani vogliono evitare che le caratteristiche del radar installato sugli F-35 divengano note ai russi.

Insomma, se si fosse addivenuti a un binomio del genere la Nato avrebbe rischiato la divulgazione di informazioni sensibili sui propri sistemi d’arma al proprio avversario.

Washington aveva già interrotto le consegne di componenti del velivolo, del suo supporto ad Ankara e della manualistica necessaria al personale destinato alla presa in carico degli F-35, un lotto di 116 macchine delle quali le prime due formalmente consegnate alla Turchia, ma attualmente bloccate sulla pista della base statunitense di Luke.

La Turchia finora ha investito 1.400.000.000 di dollari nello sviluppo del programma Joint Strike Fighter, del quale vi prende parte da venti anni attraverso una decina di proprie imprese specializzate nel settore aerospaziale.

Gli Usa ora dovranno rimpiazzare le imprese fornitrici turche precedentemente impegnate nel progetto, una operazione che imporrà dei costi di natura economica e non soltanto, dato che l’intero programma di sviluppo del cacciabombardiere subirà gli effetti negativi della decisione americana e con esso anche la Nato.

Quale sarà se ci sarà la risposta di Recep Tayyip Erdoğan all’esclusione dal programma degli F-35? Inibirà all’Usaf le basi aeree situate in territorio turco? Sarebbe un bel problema, poiché da lì negli ultimi anni sono partiti gli attacchi americani contro i loro nemici in Medio Oriente, da ultimi i seguaci del “califfo” al-Baghdadi, senza contare poi che in strutture come quella di Inçirlik gli americani hanno stoccato numerose testate nucleari.

Da parte di Washington potrebbero venire applicate alla Turchia quelle sanzioni economiche tanto richieste dal Congresso, attualmente valutate dall’amministrazione Trump.

Intanto ad Ankara viene riesplorata l’ipotesi di un intervento militare in Siria settentrionale contro le milizie curde delle Unità di protezione del popolo (Ypg), che per qualche tempo era stata «congelata» proprio a causa della querelle sugli S-400.

I turchi stanno rinforzando la loro presenza militare lungo il confine con la Siria, aspetto che farebbe ritenere a una imminente operazione oltre la linea di frontiera.

Un’area dove attualmente ci sono contingenti di truppe americane e sono attesi quelli di Francia e Gran Bretagna , oltre a quelli emiratini e sauditi.

Ankara lamenta da sempre il sostegno fornito da Washington allo Ypg, che i turchi riconducono direttamente (in qualità di branca siriana) al Pkk, considerandoli dunque una minaccia a tutti gli effetti alla propria sicurezza nazionale, malgrado i curdi abbiano contribuito alla sconfitta di Islamic State nella regione.

Le sanzioni minacciate da Trump causa dell’acquisizione degli S-400 potrebbero quindi indurre i turchi all’ennesima incursione in Siria.

Qualora Donald Trump dovesse temporeggiare nell’imposizione delle sanzioni alla Turchia, quest’ultima potrebbe parallelamente ritardare il proprio intervento in Siria, ma se Erdoğan forzasse la mano ordinando l’attacco a est del fiume Eufrate andrebbe a compromettere ulteriormente il suo già molto critico rapporto con gli americani.

Ma il presidente turco ha preso l’impegno col suo elettorato di «sradicare lo Ypg dalla Siria settentrionale» nonostante la presenza militare statunitense, una mossa che però provocherebbe un preoccupante coinvolgimento diretto dei soldati americani nei combattimenti, se non altro nelle forme del sostegno alle milizie curde impegnate contro le forze armate turche.

Tuttavia nessuno è in grado di escludere l’evenienza di un incidente che veda coinvolti militari turchi e americani, un fatto che sarebbe inaccettabile per Washington.

La polveriera potrebbe esplodere. Anche nel Mediterraneo orientale, dove le forze aeronavale di Ankara hanno rafforzato il loro dispositivo nel quadro del contenzioso con Cipro avente a oggetto i diritti di esplorazione di idrocarburi.

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