ENERGIA, petrolio. Saras: quando il greggio italiano dà fastidio

La materia prima estratta da Islamic State sarebbe finita nella raffineria cagliaritana della società controllata al 40% dalla famiglia Moratti, questo almeno secondo l’impianto accusatorio elaborato dalla magistratura sarda. Sulla vicenda si è espresso Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, che ha concesso un’intervista alla testata online “L’Indro”, affermando che: «È evidenza oggettiva che si voglia colpire il sistema petrolifero nazionale»

La notizia della perquisizione degli uffici della Saras risale a pochi giorni fa. Gli inquirenti stanno seguendo le tracce lasciate dal petrolio del sedicente «califfato», materia prima energetica che, attraverso una serie di oscuri passaggi, dai siti estrattivi controllati da Islamic State (IS) sarebbe finito negli stabilimenti cagliaritani della Saras, la società controllata per il 40% della famiglia Moratti. Un caso divenuto noto all’opinione pubblica italiana a seguito della pubblicazione, avvenuta la scorsa settimana, di un articolo di stampa da parte del quotidiano “La Repubblica”.

Di petrolio dell’ISIS in Italia non se ne parlava da un po’. Tema ben conosciuto da chi si occupa di terrorismo jihadista, che non scatena alcuna grande sorpresa in chi sa come l’ISIS è stato tra i gruppi terroristici che meglio hanno saputo strutturare e far funzionare l’ingranaggio interno dell’autofinanziamento.

La vicenda giudiziaria è stata poi ripresa anche da Jeta Gamerro, redattrice della testata giornalistica online “L’Indro”, che il 14 ottobre scorso l’ha approfondita attraverso una ricostruzione dei fatti e il successivo commento espresso da Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia.

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a cura di Jeta Gamarro – Dobbiamo tornare indietro in pieno 2015, quando nelle raffinerie di Sarroch, arrivarono venticinque navi cariche di greggio, materia prima ufficialmente proveniente dall’Iraq giunta in Sardegna attraverso la Turchia.

Triangolazioni. Sulla base dei documenti di cui è venuto in possesso il quotidiano “La Repubblica”, a muovere il carico dalle zone di estrazione sarebbe stata la Petraco Oil Company, società avente la propria sede legale a Londra e la sua principale filiale operativa a Lugano.

«Dagli atti risulta che la società acquistò gli oli minerali dalla Edgwaters Falls, società delle Isole Vergini, che a sua volta aveva comprato il carico da un’impresa turca, che, a sua volta lo aveva acquistato in Iraq, ma non è chiaro dove».

Edgewater era dunque una società off shore di comodo di proprietà della stessa Petraco. Inoltre, ricostruendo il tragitto del carico, si appurò che esso non era mai transitato attraverso la Turchia come invece si leggeva sui documenti, poiché era arrivato a destinazione direttamente dall’Iraq, prima per iniziativa dei curdi e successivamente per quella degli jihadisti di Daesh.

I pubblici ministeri che stanno conducendo l’inchiesta affermano che «all’epoca il Kurdistan, approfittando del conflitto scatenato da Daesh in Siria e in Iraq, aveva dato corso alla commercializzazione del greggio estratto dai propri giacimenti in assenza di autorizzazione da parte del governo di Baghdad».

L’inchiesta. I movimenti bancari tracciati dalla Guardia di Finanza hanno evidenziato percorsi che, sempre secondo i magistrati, «parlerebbero chiaro».

Saras bonifica circa quattordici miliardi in favore della Petraco Oil Company, ma da qui i soldi iniziano a dematerializzarsi, secondo l’impostazione dell’accusa al fine di farne perdere le tracce.

Vengono effettuati bonifici verso una serie di società gemelle, inclusa la  citata Edgewaters, con le cifre importanti che prendono tuttavia altre strade, come quella che porta al pagamento di quattro miliardi in favore del Governo federale curdo, per la precisione al ministero dell’economia e delle risorse naturali, poiché il petrolio commercializzato era il loro.

Poi, però, qualcosa cambia, perché i pozzi finiscono sotto il controllo delle milizie islamiste e, da quel momento, sarà il Daesh a muoverlo.

Il greggio del «califfato». «Dalla documentazione acquisita presso la filiale tedesca di Unicredit – affermano gli inquirenti – è emersa un’operazione di storno di sessanta milioni effettuata dalla Edgewaters al Governo curdo. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare, seppure siano in corso i necessari approfondimenti, che la restituzione del denaro sia dipesa dal fatto che il controllo del greggio in quella fase non era fosse più appannaggio dei curda ma di Islamic State».

A sostegno di questo impianto accusatorio la Procura della Repubblica di Cagliari fornisce un’ulteriore elemento, quello relativo alle risultanze dei conti della Edgewaters, dai quali risulta l’esistenza di altri bonifici per 3,6 miliardi di dollari, senza indicazione del reale beneficiario. «Verosimilmente – affermano al riguardo i magistrati – perché era inconfessabile».

Perquisizioni e accuse. Grazie a questo affare Saras avrebbe successivamente «ammazzato il mercato», acquistando petrolio a prezzi molto vantaggiosi e frodando il fisco per 130 milioni.

Il 30 settembre scorso, la Procura distrettuale antiterrorismo di Cagliari ha fatto perquisire gli uffici della società dei Moratti a Cagliari e a Milano, rendendo contestualmente oggetto di ipotesi di reato il Cfo della Saras Franco Balsamo, e il capo dell’ufficio commerciale Marco Schiavetti, gravati delle accuse di riciclaggio, falso e reati tributari.

La Saras ha immediatamente negato tutti gli addebiti, rigettando fermamente ogni accusa per bocca del proprio presidente Massimo Moratti.

«Il nostro gruppo – ebbe infatti a sottolineare Moratti – ha una storia di creazione di valore basata su responsabilità, correttezza e trasparenza dell’operato delle proprie persone sia nel territorio in cui è radicata l’attività industriale sia a livello mondiale, dove sviluppa i rapporti commerciali».

Secondo la società, le indagini condotte dalla Magistratura cagliaritana sarebbero «il naturale seguito di notizie riferite già da tempo attraverso trasmissioni televisive, sui contenuti delle quali Saras ha tempestivamente agito ottenendo il riconoscimento delle proprie ragioni da parte degli autori. Saras ha fornito agli inquirenti e continuerà a fornire ogni forma di cooperazione all’accertamento dei fatti che, siamo certi, si sono svolti senza irregolarità di sorta».

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Tra le pochissime voci in difesa della Saras si è sollevata quella di Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, che ha diffuso una nota nella quale, tra l’altro, sostiene che la raffineria in questione «è una delle più importanti d’Europa, e in Italia dà lavoro a molte aziende dell’indotto, oltre a produrre raffinati di ottima qualità grazie al ciclo di raffinazione e ai diversi tipi di greggio lavorati nei suoi impianti.

Nel 2015 fummo noi di FederPetroli Italia a diramare un comunicato dove si escludeva qualsiasi rapporto tra i depositi e le raffinerie italiane con il Daesh e le altre organizzazioni non ufficiali e terroristiche. Ci sorprenderebbe dunque apprendere di operazioni diverse. Seguiamo con attenzione le prossime fasi dell’indagine, sperando quanto prima che la magistratura possa chiudere positivamente questa triste pagina del comparto energetico italiano».

«Manifestiamo la massima vicinanza alla Saras, al management e alle sue controllate – ha aggiunto nella sua prolusione Marsiglia -, nonché la stima alla famiglia Moratti».

L’Indro – Presidente Marsiglia, lei esclude qualsiasi rapporto delle raffinerie italiane con Daesh?

Michele Marsiglia – FederPetroli Italia non è un organo di controllo come l’Agenzia delle Dogane, la Guardia di Finanza o altri preposti a questo, né tantomeno è nostro interesse farlo, però è anche vero che il Daesh, o qualsiasi altra organizzazione terroristica, non ha né partita Iva né tantomeno biglietto da visita o carta intestata.

I flussi petroliferi in arrivo e in partenza, in particolare quelli nello scarico di raffineria, sono super controllati. Senza tralasciare il fatto che, anche un carico su una petroliera prima di arrivare a destinazione passa attraverso i numerosi controlli delle autorità competenti. Far viaggiare 100.000 tonnellate di greggio di contrabbando penso sia un’utopia. Poi qui non stiamo parlando del piccolo deposito di Marghera o di Civitavecchia, puri esempi di snodo petrolifero costiero, bensì parliamo della Saras, una delle più grandi raffinerie d’Europa.

Qualche anno fa si è assistito al trasbordo di petrolio libico nelle acque a largo di Malta, un carico che aveva la sua destinazione finale in Sicilia. Quella venne riconosciuta come attività di contrabbando, ovviamente correlata all’evasione di imposta, ma stiamo parlando di quantitativi da bettoline, le imbarcazione che riforniscono le attività di bunkeraggio.

Ma, allora ipotizza una volontà di colpire il sistema petrolifero italiano?

Nessuna ipotesi: si tratta di un’evidenza oggettiva. È cosa certa, infatti, che il nostro settore dell’Oil & Gas, principalmente in Europa, si sta attenendo a direttive che porteranno alla transizione energetica attraverso attività di business maggiormente sostenibili, però questo non vuol dire, e non mi stancherò di ripeterlo, che il petrolio sia morto, tanto meno l’industria petrolifera.

Tuttavia in Italia per numerosi Stati esteri si pone un problema, poiché il Paese possiede tra le più grandi industrie petrolifere del mondo: Eni, Saipem e anche Saras, per non citare tutte quelle altre medie aziende che contrattualizzano e lavorano a importanti progetti internazionali. Evidentemente a qualcuno tutto questo dà fastidio.

Sono note le sue posizioni ritenute molto vicine a Eni, Gruppo con i cui vertici si è schierato in momenti difficili, mentre ora sta sostenendo i Moratti e la Saras: non teme di rischiare di apparire come un aprioristico difensore del sistema petrolifero italiano?

E inoltre, ritiene davvero che quest’ultimo sia tutto perfettamente pulito?

Ho spiegato più volte il perché della mia vicinanza a Eni. Io sono nato in Eni, anzi, in Agip Petroli. Quello è il mio luogo di nascita. Conosco l’Eni dalla testa ai piedi e conosco anche la rigidità della sua struttura. Non ho difeso nessuno, anche perché non ho competenza forense, ho però manifestato vicinanza ai vertici nei momenti difficili. Poi, se l’obiettivo è quello di farmi parlare di Claudio Descalzi, oltre alla stima e all’ammirazione, posso aggiungere che per me rappresenta un punto di riferimento professionale, data la sua esperienza maturata nel mondo degli idrocarburi. Descalzi è una persona per la quale nutro una forma di affetto e di particolare riconoscenza, ma si tratta esclusivamente di aspetti personali.

La vicinanza è quella che abbiamo ritenuto opportuno manifestare con FederPetroli Italia, anche se da noi non tutti la pensano nello stesso modo, perché ci sono imprese pro-Eni e aziende contro. L’abbiamo fatto perché viviamo anche con Eni, lavoriamo con le nostre aziende in diversi progetti comuni e la stessa cosa si verifica con Saras.

Provate immaginare quante nostre aziende lavorano con una delle raffinerie più grandi d’Europa, e quanto questi incidenti di percorso portino a possibili perdite, oltre ovviamente ai danni recati a tutti i risparmiatori che posseggono titoli azionari che, per momentanee indagini giudiziarie che il più volte si sono risolte con un «…per non aver commesso il fatto», si ritrovano con i propri risparmi volatilizzati in una giornata di Borsa.

Difendo? Direi che ci pronunciamo mediante parole di supporto laddove siamo a conoscenza dell’operato di un’impresa, altrimenti tacciamo. Ma conosciamo sia Eni che Saras.

Lei mi chiede se ritengo che il sistema sia perfettamente “pulito”: assolutamente no, ma questo lo sanno tutti. Non è soltanto il nostro di ambiente a non esserlo, lo sono anche tanti altri.

Negli ultimi mesi abbiamo avuto modo di imparare che più si va avanti e più si scoprono sistemi marci e sporchi. Come quello che pochi avrebbero immaginato, messo alla luce dal recente caso del Consiglio Superiore della Magistratura. Peccato che alcune volte siamo stati giudicati e condannati da chi era più marcio di noi, ma il tempo è signore.

Qualche giorno fa Saras ha firmato con i sindacati un piano di cassa integrazione che interesserà un migliaio di lavoratori. La società della famiglia Moratti quale primo motivo ha citato il calo dei margini di raffinazione: quale è la situazione?

In questo periodo un’azienda che non aderisce alla Cig vuol dire che ha qualche problema. Il mondo ha cambiato verso con questa pandemia. Sono Cig, si spera, momentanee. Anche in altri momenti i margini di raffinazione sono stati in perdita, però nessuno ha licenziato o attivato procedute di mobilità sociale. Tuttavia, oggi il calo dei margini di raffinazione va interpretato diversamente, in maniera complementare alla fase di diffusione dei contagi  di Covid-19 che si sta attraversando.

Bisogna considerare che in Italia molte raffinerie hanno subìto un processo di conversione «green» e che altre non raffinano più, perché sono diventate grandi depositi logistici di stoccaggio. Saras è una delle poche ad avere topping (distillazione del petrolio nel processo di raffinazione) di grande quantità, se dobbiamo preoccuparci di crisi aziendali, Saras è l’ultimo nei nostri pensieri.

Gian Marco Moratti, un uomo tanto amato e al tempo stesso anche tanto odiato, viene associato alla figura del petroliere avido. Il cognome Moratti, ancora fa rumore.

Il suo cognome fa rumore perché è un cognome importante nell’industria e nella finanza, non solo italiana. Rispondo con un po’ di emozione per un “signore” che è scomparso poco tempo fa. Ho conosciuto il dottor Gian Marco nel suo ufficio appartamento di Milano, un “signore” di altri tempi, una persona elegante che ormai non se ne trovano più.

Certo, anche una figura di “petroliere per eccellenza”, che però già anni or sono guardava all’era «green». Mi ricordo con grande emozione che parlammo di quanto teneva alla Sardegna e all’Italia, delle origini petrolifere con il suo papà e la cosa che pochi sanno, era che già anni fa aveva nel cassetto un progetto per la cattura del CO₂, quell’anidride carbonica che tutti oggi criminalizzano.

Quali saranno i danni che questa vicenda arrecherà al sistema delle impresee che lei rappresenta?

Una fuga di notizie nei media fa rumore soltanto il giorno che viene diffusa, oltreché sulle quotazioni borsistiche qualora dovesse continuare. I danni si possono vedere presto. Certamente la Giustizia deve fare il suo corso, però anche le aziende dell’indotto devo venire tutelate. Ci sono commesse avviate, nuovi lavori e nuove occasioni di business, quindi non possiamo permetterci, specialmente oggi, di perdere terreno e competitività, e neppure fatturato.

Quindi è convinto che l’Isis per il petrolio italiano è solo un lontano nemico?

Sono dell’idea che il Medio Oriente sia la principale location petrolifera, sicuramente l’attenzione dell’indotto per l’approvvigionamento del prodotto deve essere alta. Ormai tutto fa inchiesta, tutto fa rumore. Spero solo che certe inchieste si concludano al più presto.

Dario Scaffardi, l’amministratore delegato della Saras, oltre a essere un gran signore è anche un top manager. Sono certo che in questo m omento si trovi a scalare e discendere piccole montagne russe alle quali è però abituato. Come ho avuto modo di dire più volte a San Donato Milanese, «ho stima e ammirazione: bisogna tenere duro». Ma comunque stiamo parliamo di fuoriclasse del management petrolifero che sanno bene quale è la strada da seguire. La mia vicinanza personale è scontata e ormai risaputa.

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