GIUSTIZIA, investigazioni e frontiere. La Corte Suprema dei Paesi Bassi e l’utilizzabilità all’estero dei dati Sky-ECC e Encrochat

Le numerose indagini internazionali a cui hanno condotto le attività investigative guidate dalla polizia francese su Encrochat e Sky-ECC hanno ripetutamente evidenziato il tema della utilizzazione di strumenti investigativi esteri in procedimenti nazionali. Da un lato viene in rilievo l’attendibilità dei risultati delle indagini e il sindacato su di essi da parte delle difese e dei giudici, dall’altro quello della legalità e della compatibilità dello strumento investigativo con il giusto processo

a cura del professor avvocato Roberto De Vita e dell’avvocato Marco Della Bruna, pubblicato su “De Vita Law” https://www.devita.law/paesi-bassi-utilizzabilita-sky-ecc-encrochat/ La questione è stata riproposta di fronte alle Autorità Giudiziarie olandesi, giungendo al vaglio della Corte Suprema dei Paesi Bassi (Hoge Raad) sotto forma di questioni pregiudiziali, decise con la sentenza n. 913 del 13 giugno 2023.

LA FATTISPECIE

Nei casi in discussione, le prove prodotte dalle Procure olandesi sono basate prevalentemente sulle comunicazioni (de)criptate scambiate dagli imputati su telefoni forniti dai servizi Encrochat e Sky-ECC. Poiché entrambi i servizi si avvalevano di server in Francia , le autorità di quest’ultimo Paese hanno avviato delle attività di intercettazione delle comunicazioni in tempo reale degli utenti (decine di migliaia di persone), nell’ambito di una investigazione congiunta (tramite l’istituzione di joint investigation teams, JIT) che ha coinvolto anche le Forze di Polizia dei Paesi Bassi. All’esito delle attività di indagine, le comunicazioni intercettate sono state condivise con le altre autorità estere che avevano partecipato direttamente o che (come la Germania) si sono interessate solo successivamente allo sviluppo delle investigazioni. Come già accaduto in Italia o in Germania, i difensori degli intercettati coinvolti in procedimenti penali nei Paesi Bassi hanno sollevato la questione relativa alla verifica della legalità delle attività svolte in Francia ed alla loro attendibilità e affidabilità. Infatti, le modalità tecniche con cui i dati sono stati ottenuti dalle autorità francesi sono vincolate dal Segreto di Stato e, pertanto, non sono state e non possono essere condivise con gli altri Paesi cooperanti, tantomeno conoscibili da parte delle difese.

UN VINCOLO CHE È UN OSTACOLO

Tale vincolo ha posto, ancora una volta, un ostacolo estremamente rilevante alla pienezza del diritto di difesa e, in particolare, all’esercizio del contraddittorio sulle modalità di formazione della prova. Il metodo di acquisizione dei dati – non conoscibile per gli imputati – diventa così impossibile da contestare per le parti ed è sottratto anche alla verifica di legalità da parte del Giudice. Sotto questo punto di vista, tanto nei Paesi Bassi quanto in altri Paesi, la posizione della pubblica accusa si basa sull’applicazione del principio di fiducia reciproca tra Stati nell’ambito delle indagini svolte tramite Joint Investigation Teams, che renderebbe superfluo ogni ulteriore approfondimento di metodo e di merito.

LE DOMANDE PREGIUDIZIALI

Alla luce di tale complessità, il Tribunale Distrettuale dei Paesi Bassi settentrionali e il Tribunale Distrettuale di Overjssel hanno rivolto una domanda pregiudiziale alla Hoge Raad, volta a comprendere se i dati estratti dalla polizia francese con un metodo non conoscibile possano essere utilizzati come prove nei procedimenti olandesi sulla base del principio di fiducia interstatale. La procedura seguita per giungere alla pronuncia della Corte è la domanda pregiudiziale prevista dall’art. 553 comma 1 del codice di procedura penale olandese, secondo cui una questione di diritto può essere sottoposta alla Hoge Raad ogni qualvolta la risoluzione sia, al tempo stesso, necessaria per decidere nel merito del procedimento e oggetto di un interesse che esula dal caso concreto e, pertanto, rilevante per più fattispecie penali. Deve trattarsi, dunque, di una questione di interesse trasversale, che possa interessare anche casi di altri Tribunali oltre a quello in trattazione innanzi al rimettente. Il tema di maggiore importanza affrontato dai Giudici supremi riguarda l’utilizzabilità dei risultati di indagini svolte in altri Stati in procedimenti nazionali olandesi da un JIT di cui abbiano fatto parte i Paesi Bassi, sulla base del citato principio di fiducia interstatale; se, dunque, il riconoscimento da parte dell’ordinamento olandese di quello estero consenta di ritenere che le procedure investigative previste e seguite da quest’ultimo siano garanzia di un risultato affidabile e compatibile con il “giusto processo”.

LA (IR)RILEVANZA DELLE DIRETTIVE 2002/58/CE e 2016/680 (UE)

Altra questione sottoposta alla Suprema Corte riguarda l’applicabilità ad indagini di questo genere delle previsioni di cui alle direttive 2002/58/CE (relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche) e 2016/680 (UE) (relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, e sulla libera circolazione di tali dati). La sentenza risolve la questione in senso negativo. Infatti, la direttiva 2002/58/CE impone obblighi di conservazione dei dati relativi alle comunicazioni elettroniche (ad esempio dati sul traffico o sulla localizzazione) per poterli mettere a disposizione delle autorità nazionali. Tuttavia, citando la Corte di Giustizia dell’Unione europea, la Corte olandese ha chiarito che qualora gli Stati membri utilizzino misure che violino la riservatezza delle comunicazioni elettroniche, senza avvalersi di obblighi di trattamento imposti alle società fornitrici dei servizi, la direttiva in questione non è applicabile. Peraltro, la natura stessa del servizio offerto da Sky-ECC o da Encrochat comportava che non venisse trattato alcun dato personale degli utenti, i quali non dovevano mai rivelare alcun dato personale per potersi avvalere delle piattaforme. Laddove, invece viene riconosciuta potenziale rilevanza alla disciplina della Direttiva 2016/680 (UE), la Corte ha liquidato la questione della sua applicabilità ritenendola irrilevante ai fini della sola risoluzione delle questioni pregiudiziali sottoposte al suo giudizio.

I LIMITI POSTI DAI GIUDICI ISTRUTTORI OLANDESI

Tuttavia, in tema di tutela dei soggetti interessati, è utile fare un cenno alle precauzioni adottate in alcuni dei casi nazionali menzionati dalla sentenza. Nell’ambito di una delle operazioni sulle chat Sky-ECC, condotta invece dalle autorità dei Paesi Bassi su utenti olandesi, quando i giudici istruttori (l’equivalente del Gip italiano) hanno dovuto autorizzare attività di intercettazione, hanno ritenuto di limitare in modo stringente l’uso dei dati estratti secondo un test di proporzionalità a tutela della privacy dei soggetti coinvolti e finalizzato a evitare «spedizioni di pesca» [sic]. In particolare, le informazioni raccolte e decriptate potrebbero essere oggetto di indagine solo utilizzando delle query preventivamente sottoposte al giudice, tra cui: informazioni sugli utenti provenienti dalle indagini in corso su organizzazioni criminali; keyword o immagini che di per sé siano indicative di gravi attività criminali in un contesto organizzato. L’indagine per query, inoltre, deve essere realizzata in modo da poter essere ripetibile e verificabile per il giudice e per la difesa ottenendo i medesimi dataset di ricerca, consentendo di vedere quali dati sono stati utilizzati e resi disponibili per lo svolgimento dell’indagine. Successivamente, i risultati dell’attività devono essere sottoposti al giudice istruttore per la verifica del contenuto e della portata, nonché della effettiva sussistenza di indizi di reato. Particolare tutela viene garantita alle comunicazioni privilegiate, ad esempio con i difensori, che devono essere attivamente filtrate il più possibile. Il giudice istruttore, per di più, deve avere accesso alle decisioni giudiziarie estere (in questo caso francesi) sottostanti alla raccolta dei dati. Infine, le informazioni raccolte possono essere messe a disposizione della Procura o della polizia giudiziaria per ulteriori indagini solo previa autorizzazione del giudice istruttore e solo per reati particolarmente gravi o delitti commessi con finalità di terrorismo.

LA DECISIONE

La pronuncia della Corte, secondo un percorso argomentativo chiaro, ma mortificante nei confronti dei diritti dell’imputato, ha seguito un criterio di particolare favore nei confronti del principio di fiducia interstatale. Infatti, la sentenza limita fortemente la possibilità di un vaglio del Giudice nazionale nei confronti delle attività di indagine condotte all’estero (sotto la responsabilità di un’Autorità giudiziaria estera) i cui risultati siano confluiti all’interno di un procedimento domestico. In particolare, il giudice di merito non può effettuare una valutazione di conformità delle indagini con la normativa nazionale estera di riferimento per tale tipologia di attività, poiché un vaglio di questo genere rappresenterebbe una violazione della sovranità del Paese terzo. Peraltro, qualora lo svolgimento concreto di un’indagine sia avvenuto in violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, l’indagato sarebbe tutelato dalla possibilità di proporre un ricorso ex art. 13 CEDU  nel Paese in cui sono state svolte le indagini. Difatti, la Corte ritiene che le decisioni delle autorità giudiziarie estere su cui si basano le indagini vadano rispettate e vi sia una presunzione di legittimo svolgimento delle relative attività. L’unica eccezione a tale principio è rappresentata dall’eventualità che nel medesimo Stato sia intervenuta nel frattempo una decisione irrevocabile che abbia accertato la sussistenza di modalità investigative difformi rispetto alla normativa applicabile. Solo in questo caso il giudice olandese avrà facoltà di valutare se vi siano ripercussioni sull’utilizzabilità dei relativi esiti nel procedimento nazionale, considerando la gravità della violazione e il concreto detrimento ai diritti dell’indagato.

I DIRITTI DELL’INDAGATO

Apparentemente, la motivazione della Corte si preoccupa dei diritti dell’indagato e rinvia alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo per ricordare che la CEDU non preclude l’utilizzo di risultati di indagini estere in un procedimento penale, purché non sia in conflitto con il diritto a un giusto processo ex art. 6  e il Giudice di merito ne garantisca la «correttezza complessiva». Tuttavia, l’attenzione che il magistrato decidente dovrebbe prestare nei confronti della legalità dell’indagine appare meramente formale e astratta, una valutazione di pura legittimità che non indaga in concreto l’affidabilità dei risultati prodotti, a meno che non vi siano «concreti indizi contrari», anche evidenziati dalla difesa. Pertanto, per il solo fatto di provenire da Paesi che partecipano alla cooperazione giudiziaria europea, le attività di indagine apparentemente e formalmente compatibili con l’ordinamento interno non meriterebbero alcun approfondimento; una presunzione forse azzardata in concreto, considerate le geometrie variabili tanto delle garanzie nei confronti dei diritti degli imputati quanto dell’indipendenza della magistratura all’interno di Stati della stessa Unione europea.

DIRITTI «ASSOLUTI» E GIUSTO PROCESSO

Naturalmente, nel caso in cui sussistano elementi di dubbio sull’attendibilità dei risultati delle indagini, è possibile per il Giudice effettuare un accertamento sulle garanzie osservate in concreto, ad esempio, nel caso dell’estrazione di dati informatici, rispetto all’affidabilità, tracciabilità e integrità degli stessi. Tuttavia, è lecito domandarsi come possa una difesa individuare indizi concreti di inattendibilità su modalità di svolgimento delle indagini a cui non abbia accesso in ragione di norme e provvedimenti (pur legittimi) dello Stato estero, come nel caso dell’apposizione del Segreto di Stato francese sulle modalità di estrazione dei dati criptati. A tal proposito, non convince la motivazione della Corte quando, nell’affermare la natura fondamentale del giusto processo e la parità delle armi tra accusa e difesa nel contraddittorio (sia nel merito sia su aspetti riguardanti la procedura), sostiene al tempo stesso che il diritto alla conoscenza delle prove non sia un diritto assoluto, ma che vada contemperato con gli eventuali interessi concorrenti, quali la sicurezza nazionale, la tutela dei testimoni a rischio di ritorsioni o la segretezza dei metodi di indagine della polizia giudiziaria.

ARCHIVI INFORMATICI RACCOLTI NEL PROCEDIMENTO

A parere della Corte, infatti, per valutare se la difesa possa far entrare nel processo determinati atti e averne conoscenza, devono essere valutati i seguenti elementi: se la pubblica accusa abbia messo a disposizione tutti gli archivi informatici raccolti nel procedimento, in che misura tali atti possano avere rilevanza nel processo specifico e la liceità (valutata come sopra) dell’iter investigativo nei limiti dell’ambito di valutazione consentito al giudice olandese. Al di là del tema della rilevanza, è chiaro che la mera  disponibilità dei dati raccolti dalla Procura olandese non sia sufficiente per sindacare i metodi di ottenimento degli stessi e la limitazione posta alla valutazione del giudice nazionale impedisce qualsiasi effettiva verifica ulteriore. Ed infatti, la sentenza chiosa precisando come non possa che essere rigettata qualsiasi richiesta di acquisizione di documenti o di approfondimento su cui un Tribunale olandese non possa pronunciarsi.

UNA PREMESSA ASTRATTA

Alla luce delle argomentazioni della sentenza in commento, di cui si vedranno le ripercussioni sulle decisioni adottate dai giudici di merito, appare preoccupante il modo in cui principi di diritto di rango costituzionale, cristallizzati anche nella Convenzione EDU, vengano utilizzati come premessa astratta e poi privati di significato al momento dell’applicazione concreta. Nonostante altra giurisprudenza nazionale(ad esempio italiana) si sia rivelata più cauta in passato, ciò che dovrebbe suscitare seria preoccupazione è che diverse Corti di legittimità domestiche si possano lasciar indurre in tentazione rispetto alla necessità di salvare importanti operazioni internazionali di polizia, sacrificando sistematicamente sull’altare di un presunto interesse nazionale superiore i diritti fondamentali degli imputati, svuotando il giusto processo e subordinando l’ordinamento processuale non allo Stato di Diritto ma alla ragion di Stato.

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