BALCANI, Kosovo. Incremento della tensione: i serbi bloccano le strade e Pristina rinvia il provvedimento sulle targhe

Una vicenda che complica il quadro della situazione, ma c’era da aspettarselo. L’auspicio è che il tutto non degeneri, magari a causa dell’azione di chi, defilato, ha tutto l’interesse ad alimentare la crisi in una regione tanto importante dal punto di vista strategico quanto delicata su quello etnico e politico. Le forzature del governo kosovaro e la possibile «quinta colonna» dei russi nelle municipalità a maggioranza serba. Intanto i militari della NATO sono tornati a pattugliare le strade

Pristina ha rinviato di un mese, al primo settembre, il divieto dell’uso di documenti serbi nelle regioni del nord a maggioranza serba, divieto che sarebbe dovuto entrare in vigore nella giornata di oggi.

ESCALATION ASSOLUTAMENTE NON CAUSALI E OLTREMODO  PERICOLOSE

L’adozione del provvedimento aveva scatenato le violente reazioni della minoranza serba, innalzando nuovamente la tensione nella regione. I manifestanti serbo-kosovari hanno bloccato le strade che conducono ai valichi di confine di Jarinje e Bernjak, obbligando le autorità a deciderne la chiusura, una protesta originata dalla promulgazione della nuova legge che impone anche ai serbi del Kosovo e della Metodia l’uso esclusivo di carte d’identità e targhe kosovare. Dopo la guerra del 1999 e fino a oggi, in Kosovo era stato tollerato l’uso di targhe emesse dallo Stato serbo nelle quattro municipalità del nord a maggioranza serba, spesso usate in modo alternativo a seconda di dove i veicoli circolavano (le targhe serbe e kosovare venivano di volta svitate e riavvitate agli autoveicoli) ma la nuova normativa ha reso invece obbligatorio l’uso di targhe recanti la sigla «Rks» (Repubblica del Kosovo).

RIALIMENTATA LA TENSIONE

La controversia ha riacceso le tensioni tra Pristina e Belgrado che, malgrado anni di relativa calma, continuano a covare sotto le ceneri di un’apparente normalità. La Serbia non riconosce comunque l’indipendenza della sua (ex) provincia autonoma a maggioranza etnica albanese, della quale ha perduto il controllo a seguito del conflitto che vide contrapposti da un lato l’allora Jugoslavia di Milošević e dall’altro la NATO e gli indipendentisti albanesi dell’Uçk. Dal canto suo, da Belgrado il presidente serbo Aleksándr Vučić, parlando alla televisione ieri si era detto fiducioso: «Spero che la riduzione dell’escalation avvenga se non stasera, almeno domani, e che avremo il tempo di prepararci per un colloquio e cercare di trovare una soluzione di compromesso e mantenere la pace». Oggi la risposta di Pristina, che ha disposto un rinvio dell’entrata in vigore della legge, passo che ha ridotto le tensioni.

NORMALIZZARE LE RELAZIONI

Facendo riferimento all’incremento della tensione in quella delicata parte dei Balcani occidentali, attraverso un proprio tweet, l’Alto Rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, ha commentato con favore la decisione di procrastinare l’introduzione delle misure su targhe e documenti all’inizio del mese di settembre, aggiungendo che «ora ci si attende che tutti i blocchi stradali vengano rimossi immediatamente» poiché «le questioni aperte dovrebbero essere affrontate attraverso il dialogo facilitato dall’Unione europea e l’attenzione va concentrata sulla normalizzazione globale delle relazioni tra Kosovo e Serbia, essenziali per i loro percorsi di integrazione nell’UE». I media locali hanno inoltre riferito che i militari della forza multinazionale a guida NATO (KFOR) in missione nel Kosovo stanno pattugliando le strade.

UNA FORZATURA DA PARTE DI PRISTINA

La questione relativa alle targhe e ai documenti d’identità non rappresenta affatto qualcosa di casuale, poiché essa va letta nella sua strumentalità ai fini della creazione di un precedente. Dunque, non soltanto un aspetto di natura esclusivamente simbolica (l’uniformità delle targhe e dei documenti sull’intero territorio del Kosovo), ma anche la conseguenza, qualora i serbi avessero accettato tale provvedimento, di un precedente importante, un’ulteriore stato di fatto che Pristina si sarebbe potuta giocare sui tavoli del negoziato in futuro allo scopo di avvalorare la sua cementata autorità. Tuttavia, questa dinamica assume i contorni della prova di forza, una imposizione assolutamente non digerita dalla componente etnica serba, che in un contesto come quello attuale (conflitto in Ucraina, tensioni secessioniste nella Srpska Republika in Bosnia, eccetera, eccetera), potrebbe anche favorire chi i Balcani in questo particolare momento ha interesse a destabilizzarli, o perlomeno a dimostrare che è in grado di farlo.

I MILITARI DELLA NATO IN PATTUGLIAMENTO

Non va infatti dimenticato che quella parte d’Europa si trova in un punto nevralgico, snodo strategico e potenziale spina nel fianco della NATO, che in Kosovo è tuttora presente a distanza di decenni dalla guerra, ma che (e lo dimostrano i fatti di queste ultime ore) si vede costretta a fare intervenire nuovamente in armi nelle strade le unità le suo ormai ridotto dispositivo multinazionale, del quale fa parte un cospicuo contingente militare italiano, attualmente è presenti in Kosovo il personale in forza al Reggimento Artiglieria a cavallo di Vercelli (le Voloire un tempo di stanza a Milano). In ogni caso la NATO dispone di una forza di reazione rapida pronta a rischierarsi in zona di operazioni qualora la situazione degenerasse, si tratta della cosiddetta OTHF (Over The Horizon Force) alla quale contribuisce anche l’Italia. Al momento, di questo servizio viene incaricato il LXII Reggimento di Fanteria di stanza a Catania, che in caso di emergenza verrebbe celermente trasferito in zona di operazioni.

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