AEROSPAZIO, Difesa. F-35, americani e israeliani affinano procedure e tattiche nel corso di un’esercitazione congiunta

Impiegati i velivoli da combattimento di recente immissione in linea. Intanto prosegue la «querelle» sulla cessione di essi ad alcune forze aeree arabe del Golfo Persico

Usaf e Iasf (Israel Air and Space Force) hanno recentemente condotto una esercitazione militare congiunta impiegando propri velivoli da combattimento F-35.

Si è trattato della terza edizione della “Enduring Lightning”, che ha avuto luogo all’interno dello spazio aereo dello Stato ebraico, una denominazione derivata direttamente da quella del moderno aereo prodotto dalla Lockheed Martin, appunto l’F-35 Lighting II (noto anche come Joint Strike Fighter, JSF).

Entrambe le esercitazioni di questa serie che hanno preceduto quella dei giorni scorsi, si erano svolte nel corso di quest’anno, la prima il 20 marzo e la seconda il 2 agosto.

Cooperazione Usaf-Iasf. Si tratta della quarta attività operativa di questo genere che registra la storica stretta cooperazione in campo militare tra Washington e Gerusalemme, infatti, nel giugno dello scorso anno i piloti israeliani avevano avuto modo di addestrarsi assieme ai colleghi statunitensi e britannici (anche la Royal Air Force schiera in linea gli F-35) nella “Tri-Lighttning”.

Nella forza aerea dello Stato ebraico gli F-35 (denominati F-35I Adir) sono stati immessi in linea nel 116th Squadron, unità stanziata sulla base aerea di Nevatim (dove ha sede anche il 140th Squadron) che ha conseguito la propria capacità operativa con questo velivolo da combattimento nello scorso mese di agosto.

Fra i temi principali dell’esercitazione figurava quello del combattimento aereo integrato e dell’attacco a obiettivi di superfice, il tutto, ovviamente, con un focus centrato sulla particolare minaccia rilevabile nella specifica regione del MENA (Medio Oriente e Nord Africa).

Supremazia tecnologica. Gerusalemme ha pianificato l’immissione in linea di un massimo di settantacinque velivoli di questo tipo, caccia di quinta generazione stealth che installano numerosi apparati tecnologicamente avanzati e di sistemi d’arma di produzione nazionale, questo nello sforzo profuso per il mantenimento della supremazia tecnologico-militare con gli avversari (potenziali e attuali) della regione, una posizione di vantaggio da sempre garantita dall’alleato americano (anche sulla base di leggi), sulla quale, tuttavia, in Israele si inizia a nutrire alcuni timori.

Al netto della propaganda e della disinformazione è però evidente come gli sviluppi politici e diplomatici degli ultimi mesi, che proprio grazie all’azione dell’amministrazione Usa hanno visto lo stesso Stato ebraico riallacciare relazioni con alcuni paesi del Golfo Persico, siano in grado di alimentare desideri in facoltosi possibili clienti dell’industria degli armamenti statunitense.

Non costituisce infatti un segreto per nessuno il fatto che sia gli Emirati Arabi Uniti che il Qatar abbiano richiesto a Washington la fornitura degli F-35, un business affatto irrilevante, con i primi che nella “lista della spesa” hanno inserito anche i velivoli da guerra elettronica e anti-radar E/A-18G Growler.

Clienti arabi ed elettronica meno sofisticata. Per il momento Israele mantiene la sua supremazia tecnologico-militare sui Paesi arabi che la circondano ed è, almeno per il momento, l’unico Stato del Medio oriente a possedere l’F-35, però non è detto che questa situazione di vantaggio possa perpetuarsi all’infinito nel tempo, anche alla luce dell’atteggiamento di Washington allo specifico riguardo, che non ha fatto mistero del contrario, rendendo noto di essere in ogni caso in grado di fornire questa garanzia indipendentemente dalla cessione dei moderni velivoli a clienti arabi.

Ed ecco che Usa ed Eau raggiungere un’intesa di massima riguardo alla vendita degli aerei in questione, che prevede una definizione dei termini della cessione per il prossimo mese di dicembre, forse il giorno 2, ricorrenza della festa nazionale per gli emiratini.

Rendere meno «furtivi» i caccia da vendere ad Abu Dhabi potrebbe rappresentare una soluzione alla complessa faccenda, in questo modo si manterrebbero in relativo vantaggio le difese aeree israeliane grazie alla supremazia dei loro apparati di radar sugli F-35 arabi.

Al momento non vi è nulla di certo, se non che il ministro della Difesa dello Stato ebraico Michael Biton si sia in ogni caso  pronunciato nel senso di una «sempre possibile preservazione del vantaggio relativo israeliano anche qualora gli Eau si dotassero degli F-35.

I «nuovi amici» nel Golfo Persico. Sono anni che gli emiratini premono su Washington allo scopo di ottenere il sofisticato velivolo della Lockheed Martin, posticipando per questo l’acquisizione di un nuovo caccia, Rafale o Eurofighter che fossero.

Ora lo scenario è sostanzialmente mutato per effetto della politica dell’amministrazione Trump e dell’inasprirsi del confronto con l’Iran.

È oltremodo evidente come americani e israeliani stiano implementando la loro politica di contenimento della Repubblica Islamica degli ayatollah facendo perno sulle petromonarchie del Golfo Persico.

Il recenti avvio di relazioni diplomatiche tra Gerusalemme e Abu Dhabi ha rafforzato e velocizzato questo processo, aprendo spiragli anche all’eventuale cessione degli F-35 in versione depotenziata all’aeronautica militare degli Eau, un po’ come accadde in passato nel caso degli F-15 venduti all’Arabia Saudita.

Nell’eventualità di sopravvenute criticità nei rapporti con Israele e gli Usa questi paesi arabi, che non fanno parte della Nato e non hanno né accesso a parti di rispetto e all’integrazione in situazioni operative e neppure le capacità tecniche e industriali di sopperire ai propri fabbisogni in questo specifico campo, si troverebbero nelle mani degli aerei ultramoderni ma praticamente inutilizzabili in teatri bellici che rinvenissero avversari nelle forze aeree statunitensi o israeliane.

Doha l’iperattiva. Anche il Qatar vorrebbe gli F-35, un “desiderio proibito” che aveva incontrato l’iniziale diniego da parte di Washington. E così, i ricchi qatarini, tra i più importanti acquirenti di materiali d’armamento della regione, si sono rivolti ai sempre presenti francesi, che non hanno certo indugiato nel vendergli i loro Rafale, ventiquattro macchine più altre quarantotto in opzione, con le quali Doha ha formato un primo squadrone schierandolo sulla nuova Tamim Air Base di Dukhan, nel sud del Paese. Ma il Qatar ha acquistato anche Eurofighter Typhoon ed Hawk.

Ma non solo, poiché alla metà dello scorso mese di aprile la Boeing ha reso nota l’effettuazione del primo volo di prova del nuovo F-15QA (Qatari Advanced), velivolo del quale era prevista la consegna all’aeronautica qatarina. Si tratta di una variante avanzata dell’F-15E Strike Eagle, primo esemplare di trentasei ordinati da Doha, per un affare del valore di 6,2 miliardi di dollari, derivante da un accordo risalente al  2017 che non includeva l’addestramento e la manutenzione, aspetti regolati da un contratto stipulato successivamente, nel 2019.

Ma in questo caso per Israele le cose sono diverse, dato che il Qatar – seppure rappresenti un paese di fondamentale importanza per l’alleato statunitense, e al riguardo si pensi soltanto ai negoziati con i talebani per la «pace» in Afghanistan – è lo Stato che al momento forma una stretta alleanza con la Turchia e, aspetto dirimente, finanzia sistematicamente l’organizzazione islamista palestinese Hamas, che è al potere nella striscia di Gaza ed è in guerra (seppure tenti disperatamente di mantenere lo stato di tregua) con Israele, che nel suo programma politico si aspira a distruggere.

Uno sguardo sul medio-lungo periodo. In passato qualcuno ha affermato che «nel lungo periodo saremo tutti morti», conseguentemente certe previsioni di ampio respiro strategico assumono sovente e forme di un elegante esercizio di retorica, tuttavia è proprio in questa prospettiva che è necessario guardare per evitare guai nel futuro.

Ed è proprio in questo senso che Israele continuerà a opporsi alle cessioni degli F-35 ai paesi arabi, almeno ufficialmente.

La ragione è evidente: è difficile che le cessioni di tali sofisticati sistemi d’arma possano provocare impatti negativi immediato per la sicurezza dello Stato ebraico, ma questo non significa però che non accada sul lungo termine, magari a fronte di uno  sconvolgimento degli equilibri in campo strategico nella regione che ponga in discussione la sua posizione di supremazia militare sui suoi nemici attuali e potenziali.

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