CULTURA, cinema. Clint Eastwood il libertario, torna a graffiare il potere

Se volete approfondire il perché del consenso a Donald Trump da parte di larghi strati della popolazione americana, abbandonate la lettura dei giornali e andate al cinema a vedere Richard Jewell. Si tratta dell’ultimo film di Clint Eastwood, il quale, a dodici anni da Gran Torino, è tornato a realizzare un film politico.

Il protagonista della storia è quello del titolo. Uno strambo cittadino del sud degli Stati Uniti che, probabilmente, sa di non poter mai essere John Wayne, l’eroe cinematografico a tutto tondo di Iwo Jima, deserto di fuoco, che è citato in una video cassetta.

COME JAMES STEWART

Piuttosto sembra vicino ai personaggi interpretati al cinema da James Stewart, il quale se nella vita reale fu veramente un eroe nella seconda guerra mondiale, al cinema incarnò l’uomo medio ostaggio delle circostanze che è chiamato a vivere.

Il James Stewart che appare sul piccolo schermo televisivo della casa di Jewell, potrebbe provenire da un film come Il Pistolero di Don Siegel, il regista dal quale Clint Eastwood ha appreso molto nella scrittura e nella messa in scena cinematografica.

Oppure da Sono un agente FBI, un film di propaganda sull’origine e le attività del bureau, voluto dal fondatore Edgar J. Hoover, già al centro di una pellicola di Eastwood.

O, ancora, uscire da L’uomo che uccise Liberty Wallace, pellicola di John Ford, che ci racconta come sin dai tempi del west, sui giornali, “se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”. In buona sostanza che le fake news accompagnano l’invenzione della stampa.

DA EROE AD ATTENTATORE

Nel film, Jewell è un cittadino medio bianco statunitense. Vive con la madre, va a caccia ed ha una casa piena di armi, si nutre nei fast food, è tutto legge e ordine ed ha un sacrosanto rispetto per le regole e chi si impegna a farle rispettare, tanto che vorrebbe essere anch’egli un poliziotto.

Jewell però dovrà accontentarsi di un contratto a tempo per vigilare sulla sicurezza dei giochi olimpici del 1996 ad Atlanta, Georgia. Negli Stati Uniti di Bill Clinton, allora impegnato nella campagna elettorale per il secondo mandato.

Una bomba trovata per caso, ne faranno prima l’eroe che evita una strage nella piazza dove si svolgeva l’intrattenimento popolare durante le Olimpiadi, poi, il presunto colpevole dello stesso attentato.

UN FILM GARANTISTA

Eastwood costruisce un perfetto film di “sinistra”, impegnato nella difesa dei diritti civili, del habeas corpus, sull’assurda logica di coloro che, senza remore morali, intendono sbattere il mostro in prima pagina. La trama di un film italiano di denuncia degli anni ’70/’80, virata però in direzione “libertaria”, in cui ci viene ricordato che la giustizia può essere ingiusta con chiunque, non solo con le minoranze.

Eastwood affresca in pochi tratti la società del sud degli States, con il protagonista, il quale, accusato di aver messo la bomba per essere poter essere celebrato poi da eroe, ritiene più importante difendersi dall’ipotesi di essere considerato omosessuale.

Un atteggiamento peraltro simile a quello alle femministe americane, risentite con Eastwood per la giornalista che concede favori sessuali in cambio di notizie, invece di guardare al suo ruolo di attiva partecipante alla “macchina del fango”.

STEREOTIPI RIBALTATI

Eastwood si serve di stereotipi per ribaltarli, riuscendo, in un colpo solo, a farsi nemici: donne arriviste, FBI e mass media, che infatti si sono offesi, anche perché gli spettatori sono indotti a tifare per Jewell, l’onesto cittadino che gli ingranaggi perversi della giustizia e dell’informazione vorrebbero “friggere” sulla sedia elettrica.

Provando ora a trasferire i “nemici” di Jewell nella contemporaneità politica statunitense, il parallelo al quale alludevamo all’inizio si completa.

L’ESTABLISHMENT  VS. L’AMERICANO MEDIO

In una lettura in filigrana del film, i nemici di Jewell sono l’establishment che si oppone a Donald Trump. Ovvero, l’insieme di coloro che non sono riusciti ad impedirgli di vincere la corsa alla Casa Bianca e di ipotecare un secondo mandato, grazie proprio al voto dell’america profonda che i media non sanno raccontare. Cosa che a Clint Eastwood, invece, riesce perfettamente.

Il film, infine, ci mette in guardia circa il giudizio dei media può raggiungere chiunque e rendercelo simpatico o sgradevole: un semplice cittadino, come il presidente degli States.
Potrebbe apparire decisamente troppo, se la storia raccontata non fosse, ahimè, vera e se il regista non fosse un vispo e lucido novantenne al quale il cinema deve molto. Anche questo piccolo grandissimo film.

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