ENERGIA, Arabia Saudita. Le conseguenze degli attacchi contro gli impianti petroliferi: Michele Marsiglia, «un segnale molto mediorientale»

In un’intervista rilasciata a Margherita Peracchino e pubblicata ieri sul sito Online d’informazione “l’Indro” il presidente di FederPetroli Italia analizza la situazione all’indomani del rientro del picco dei prezzi del greggio sui mercati. «Questo attacco alla Saudi Aramco dovrebbe far ragionare tutti: forse una quotazione che nessuno vuole, un bucare le ruote prima ancora di partire».

L’Indro – Presidente, alcuni nel Golfo ipotizzano che gli attacchi alle centrali petrolifere saudite possano innescare un conflitto regionale; Trump ha detto che gli Usa sono “pronti e carichi”; Netanyahu è tutto concentrato sul voto e però non manca di paventare attacchi a Israele. A lei non pare che tutto questo grande chiasso, sia un cane che abbaia ma con ben poca voglia di attaccare? Non c’è tanta tattica in tutto questi toni così alti?

Michele Marsiglia – È certo che lo stravolgimento regionale in gran parte del Medio Oriente c’è ed è evidenza oggettiva.

La fotografia che osserviamo è da interpretare e studiare con attenzione. I proclami del Presidente Trump stanno reggendo il lancio per qualche secondo sui media internazionali, ma il giorno dopo vediamo che qualche membro dell’esecutivo Usa lascia o per far vedere un gioco duro, si lascia interpretazione che sia stato licenziato o allontanato.

L’immagine Usa è debole oggi ed anche Israele avverte questa carenza di leadership, una volta internazionale.

Oggi si vede un’America che non ha il fiato per nuotare ed attraversare quella parte di oceano per arrivare all’Europa e di conseguenza al Medio e Vicino Oriente. L’abbiamo visto con le sanzioni europee, con il Venezuela e lo stiamo vedendo in continuo con l’Iran.

Israele è ad un bivio, o con l’America o con il resto del mondo. Questo è comprensibile anche dalle posizioni dei candidati alle Elezioni che si stanno svolgendo in questi giorni.

Un Paese arabo, un Paese conteso tra territori arabi, israeliani ed in parte, per chi riesce ad intravedere queste dialettiche: territori europei. Abbiamo detto arabi, perché Israele ha bisogno del Medio Oriente, necessita di andare aldilà della religione e di definire un equilibrio politico e sociale, previa l’isolamento generale.

Però la tattica oggi lascia il tempo che trova, le armi di oggi sono le strette di mani e non i tweet, ed in questa forma vecchia e nostalgica, forse le antiche popolazioni del Medio Oriente sono più aggiornate…. e lasciano i social confinati ad altri.

 

   Due giorni fa Lei ha fatto notare che: «Mesi fa avevamo annunciato possibili attacchi al centro nevralgico del petrolio mondiale, l’Arabia Saudita», «… non abbiamo nessun metodo ad oggi di valutazione in un Medio Oriente imprevedibile», «con questo attacco si mettono in discussione le tratte del petrolio internazionale». Le chiedo: quanto ritiene essere centrale negli ultimi eventi del Golfo, il fatto che l’Arabia Saudita, come tutti gli altri Gulf Cooperation Council stiano da tempo lavorando a una strategia per l’uscita dalla dipendenza del petrolio, pressati da calo del prezzo del petrolio, incremento demografico, disoccupazione, eccetera. Forse l’obiettivo nel “Medio Oriente imprevedibile” è una “pace per necessità economiche” tra sunniti e sciiti per far fronte comune a problemi comuni? E magari c’è la necessità di arrivarci senza dichiararlo troppo apertamente, per tanto si mettono in atto “azioni di abbaglio”, diversivi? Come potrebbe essere diversivo questo attacco…

Proprio dalle pagine de “l’Indro” qualche tempo fa, a seguito di alcuni dossier redatti con FederPetroli Italia, annunciammo e manifestammo una forte preoccupazione di attacchi e cambiamenti geopolitici e militari nella Penisola Arabica.

La politica economica-industriale dell’erede al trono saudita Mohammed bin Salman, oltre ad essere ben criticata in tutto il Medio Oriente e da persone vicine al monarca, non è altro che una diversificazione imprenditoriale di settore, in questo caso energetico, ma vediamo anche su altri settori una verticalizzazione di segmenti prima sconosciuti all’indotto industriale in Arabia Saudita.

A mio avviso, l’interpretazione più corretta è quella che il mondo sta assistendo, attraverso questo giovane e per tanti inesperto monarca, a un cambiamento e a uno svecchiamento incisivo e violento di uno dei paesi del Medio Oriente più ortodossi e radicali.

L’Arabia Saudita è sempre stato un Paese ricco di idrocarburi, ma è anche vero che le tecniche di estrazione, le infrastrutture di raffinazione e gran parte di quello che si chiama Oil & Gas proviene dall’esterno, basti pensare che per quest’ultimo catastrofico evento di attacco alle raffinerie Saudi Aramco, sono in lista per la ricostruzione ed ingegneria degli impianti diverse aziende, italiane e straniere, tutte non saudite, questo vuol dire che il know-how non è interno.

Questo stato di “dipendenza tecnica” ha portato oggi l’Arabia Saudita a voler fare quel passo in avanti per essere vista come modello di sviluppo, lontano da etichette religiose e commerciali legate a leggi fuori da un mercato globale.

L’energia alternativa o le nuove fonti energetiche in fase di sviluppo nella regione, fanno parte di un processo industriale e di sfruttamento a 360 gradi di quelle che sono le potenzialità di un paese.

Attenzione, è banale precisare che non stanno abbandonando il Petrolio, stanno solo ricavando ancora più business da quel mix energetico, questo dovremmo farlo anche in Europa, principalmente in Italia.

Altro punto fondamentale e non da poco è la prossima quotazione in Borsa dell’azienda energetica di stato, Saudi Aramco, ed è anche questo un passaggio che dovrebbe far ragionare tutti su questo attacco, forse una quotazione che nessuno vuole, un bucare le ruote prima ancora di partire.

Oggi tutte le compagnie petrolifere, almeno le top players, devono essere strutturate e fondate sulla parola energia, con questo voglio dire che per compagnia energetica oggi, si intende energia in tutte le sue forme, non come quarant’anni fa.

Possiamo vedere Eni che da tempo ha investito nella green line, BP, per non parlare di Anadarko e altre. Certamente il business resta il petrolio.

L’attacco non è un diversivo, l’attacco è un segnale che il resto del Medio Oriente ha voluto dare, ovvero “ci siamo anche noi”. Se l’attenzione mediatica è stata diretta solo ed esclusivamente al Qatar, all’Iran, come più volte detto, il Medio Oriente oggi ha voglia di contare ma non rappresentato da un unico stato leader, bensì tutti nella loro parte.

Stiamo assistendo a quello che è stato negli anni un processo di sviluppo industriale e che oggi, ormai consolidato, ha reso forti diversi paesi che prima erano localizzati solo nelle economie primarie ancora non sviluppate.

 

   Gli Usa hanno avviato trattative con gli Houthi, in questo momento il loro interesse pare essere mettere fine alla guerra nello Yemen. Ma pare essere anche l’interesse dell’Arabia Saudita. Allora, sarebbe assurdo ragionare sull’ipotesi che dietro gli attacchi non ci siano gli Houthi ma neanche l’Iran? E sarebbe altrettanto assurdo ragionare sul fatto che forse questi attacchi potrebbero perfino accelerare l’approdo alle trattative Usa-Iran, se non senza pre-condizioni almeno con pre-condizioni di facciata?

La situazione che lascia più scettici è proprio quella falsata che gli Stati Uniti d’America ancora non sono in grado di decifrare e confermare chi abbia attaccato o da dove provengono i droni o altro tipo di strumentazione bellica che è stata usata.

Rispondo con una piccola conoscenza acquisita solo e unicamente perché spesso il confronto mi porta a interloquire, specialmente per una questione di sicurezza personale ed aziendale in alcuni territori, con riferimenti dell’Intelligence sia italiana che straniera.

Un air-strike viene individuato subito e decifrato in ogni sua parte, voglio dire che è la fase più elementare riconoscere, anche se in un secondo momento, la provenienza delle strutture di impatto, le rotte percorse e le basi di lancio.

È strano che oggi, gli Usa sembrano giocare alle tre carte, forse è stato l’Iran, forse lo Yemen o forse l’Iraq, agli occhi di alcune diplomazie internazionali il tutto è ridicolo.

In tutto questo però vediamo un’amministrazione americana prudente e ragionevole, cosa che non si è mai visto con riferimenti presidenziali repubblicani, per di più un’America che a seguito di questi ultimi attacchi alla Saudi Aramco non ha allungato la mano all’Arabia Saudita ma ha voluto prendere tempo, come per dire “sentiamo le varie campane e poi decidiamo il da farsi”.

Sicuramente da tutto questo e da quello che è accaduto negli ultimi mesi nello Stretto di Hormuz con l’attacco e il sequestro di petroliere battenti diversa bandiera, ne è uscita un’America debole ed allo sbaraglio sul territorio mediorientale, dove tutte le minacce ad alcuni Paesi del Golfo nei mesi passati sono state interpretate solo come elemento di attenzione e di propaganda mediatica a cui nulla è seguito.

Oggi l’Iran non è più quello di dieci anni fa, oggi si presenta un Iran forte e che sfida. Un Paese dove le sanzioni sono state più penalizzanti per gli altri che per l’intero Paese e, che oggi sullo scacchiere internazionale si trova ad essere ago della bilancia per la produzione e l’approvvigionamento petrolifero.

 

   A questo punto, ci stiamo forse avviando ad una fase in cui il petrolio inciderà sulla politica molto meno che in passato? Molto meno che l’acqua, insomma? 

Non è solo Michele Marsiglia che risponde a tutto questo, ma la reale situazione sulla carta. Già fine anni Cinquanta, inizio Sessanta, Marion King Hubbert con la teorie del “picco petrolifero” cercò invano di convincere e dimostrare che il petrolio sarebbe finito, ma così non è stato e vedo (con piacere) che anche negli ultimi venti anni, così definiti tecnici, luminari e studiosi, hanno purtroppo errato le loro considerazioni sulla fine degli idrocarburi.

Con questo voglio dire che il petrolio è elemento di business, elemento di condizionamento geopolitico ed economico e forte componente della ricchezza di un paese, per di più forte sostentamento alle attività della vita quotidiana ed introito economico per altre attività, potremmo continuare nell’elenco se non infinito ma molto esteso.

Sicuramente inciderà in modo diverso, con una complessità diversa e con un’evoluzione industriale evoluta. Oggi gli Stati sono “connessi” dal petrolio e dal gas e quindi dipendenti l’uno dall’altro in un certo senso.

Pensiamo al Tap (Trans adriatic pipeline) o ad altri gasdotti strategici che operano il loro passaggio su territori diversi ma che ora attraverso un tubo sono dipendenti uno dall’altro e se qualcuno si stacca, è fuori.

L’interconnessione energetica oggi più di un tempo è ricatto, è politica, è strategia, ed una carta che negli anni è diventato un jolly assoluto, è ambita da tutti e lo scarto avviene su carte minori.

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