SOCIETÀ, cultura. Gender e scrittura, i riflessi sulla comunicazione in un mondo che cambia.

Qualunque forma espressiva dell’essere umano viene vissuta, interpretata e descritta diversamente a seconda che a farlo sia un soggetto “di genere” maschile oppure femminile. Ma, allora: la scrittura ha un gender?

Qualunque forma espressiva dell’essere umano viene vissuta, interpretata e descritta diversamente a seconda che a farlo sia un soggetto “di genere” maschile oppure femminile. Tuttavia, nel caso del cinema come della televisione o, ancora, della letteratura, questa tematica assume un estremo interesse, poiché un sentimento universale (ad esempio la gioia o il dolore) può e viene vissuto diversamente a seconda che a farlo sia un maschio o una femmina.

Se ne è dibattuto nel corso dell’incontro tra autori, sceneggiatori, registi e attori “La scrittura ha un gender?”, che ha avuto luogo questa mattina presso l’Auditorium dell’Ambasciata di Finlandia a Roma, un evento promosso e organizzato dal sindacato degli autori Writers Guild Italia nell’ambito del Nordic Film Fest 2019 di Roma, in svolgimento alla Casa del Cinema di Villa Borghese.

Non è casuale, quindi, che, tra gli altri, vi abbiano preso parte anche numerosi esponenti del mondo cinematografico e televisivo scandinavo, oltreché americano, portoghese e italiano.

Scopo dell’incontro è stato quello di affrontare il tema/problema dell’identità della scrittura, non nuovo a dire il vero, che però in una fase di epocali trasformazioni della società complessivamente intesa (globale, quindi, ma con un particolare focus sui mutamenti in atto nell’Occidente) è divenuto tra quelli ineludibili per coloro i quali operano nei settori cinematografico, televisivo, editoriale e politico. Insomma: quali ricadute ha il gender ha nel mestiere di chi scrive?

E inoltre, la scrittura ha un sesso? Il sesso influenza il modo di narrare? Di costruire i personaggi, lo stile e i temi profondi delle storie? A prima vista queste potrebbero apparire come delle domande retoriche, tuttavia non lo sono affatto.

Si tratta di un campo minato, infatti è un argomento che impatta direttamente sulle varie sensibilità individuali e di gruppo, soprattutto al giorno d’oggi che, grazie alla liberazione dei costumi e all’affrancamento parziale dai vecchi schemi, molte più persone al mondo si trovano alla ricerca di un’identità. Non è dunque facile fornire delle risposte agli interrogativi di cui sopra.

Un indefettibile presupposto alla base di un’analisi che investe un’umanità, quella attuale, principalmente tra le giovani generazioni, che non ha una definita consapevolezza di sé stesso, in un «mondo liquido» – per dirla con gli autori sulla scorta di Zygmunt Baumann – laddove i ruoli, in passato precisamente definiti, sono invece in costante trasformazione.

Allora si registra una tensione a tratti esasperata, col non infrequente rifiuto dell’appartenenza a un unico genere, non più sufficiente a esplicare la propria intrinseca identità di essere umano.

Ovviamente tutto ciò si riflette sulla narrazione, intesa in senso lato, non esclusa quella giornalistica (comunque non affrontata nell’incontro di oggi), con i termini soppesati col bilancino e la deontologia professionale a fare da sentinella.

Pur non essendo stati ancora superati i vecchi cliché, tuttavia il processo culturale investe in pieno gli stereotipi e le classiche figure archetipali. Gli autori “filtrano” le storie, che poi racconteranno nei loro libri o nelle loro pellicole, attraverso l’immaginazione oppure la realtà: due approcci differenti che, inevitabilmente, condurranno a conferire maggiore rilevanza (nel primo caso) o minore rilevanza (nel secondo) al punto di vista di genere.

Ma attenzione, non è così facile, non si tratta di innescare un automatismo, poiché, ad esempio, gli occhi di una donna vedranno le persone e le cose diversamente rispetto a quelli di un uomo.

E qui insorge uno dei maggiori problemi per gli autori del nostro tempo: come potrà rapportarsi un’autrice, ad esempio, a un personaggio della levatura di Galileo Galilei o di Leonardo da Vinci? Infatti, essi sono stati fissati nella storia da cronisti e testimoni di sesso maschile, che li avevano osservati con occhi maschili. Lo stesso potrebbe dirsi per un autore o uno sceneggiatore maschio che dovesse rappresentare Giovanna d’Arco. Basterà calarsi esclusivamente nella “voce” del personaggio cercando di obliterare la propria?

Ma il tema del gender pone anche altre “trappole”. Quale è il suo concreto significato? Attualmente le opinioni pubbliche lo percepiscono e lo identificano nel proprio immaginario come razza più che come sesso. È il portato dei tempi, coi suoi sconvolgimenti anche sul piano demografico e migratorio, sia fisiologici che patologici.

Un aspetto che impone una grande attenzione agli operatori della comunicazione, In questo caso la trappola viene tesa dal cosiddetto «politically correct», che è in grado di giocare anche brutti scherzi, conducendo facilmente sullo scivoloso piano inclinato degli eccessi opposti.

Si pensi a quei produttori (è frequente nelle televisioni dei paesi occidentali) che impongono “quote” etniche o di genere nel cast di un film o di uno sceneggiato, dove «ci dovranno essere» un certo numero di donne, di immigrati, omosessuali e portatori di handicap, con il rischio di mettere in difficoltà il racconto snaturandone la sua propria coerenza.

Infatti, tutti gli eccessi sono pericolosi, anche in un mondo in rapida evoluzione che impone di tenere conto dei mutamenti in atto. Il dubbio è amletico: una storia va rappresentata perché «è buona» oppure perché è necessario ricorrere all’inclusione mediante un artificioso bilanciamento, magari di natura etnica o culturale, all’interno della narrazione? Si pensi all’eccessiva inclusione di figure avulse dai particolari contesti storici richiesti dallo specifico argomento trattato, che può portare all’infedeltà rispetto al soggetto.

Un tema controverso e allo stesso tempo appassionante, sul quale insidertrend.it ha interpellato due delle protagoniste del dibattito di oggi, Carla Casalini, di Writers Guild Italia, e Ira Fronten, attrice venezuelana residente da dieci anni in Italia (afrodiscendente, come ci tiene a definirsi).

Le due interviste sono fruibili di seguito (A129 e A130)

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