IRAQ, Kurdistan. «Elementi ostili» colpiscono il bersaglio grosso: attaccato team di forze speciali italiane. Perché?

Cinque i feriti tra i militari del col Moschin e del GOI, due gravemente. La causa probabile è un’esplosione, forse di un IED. Gli italiani erano impegnati nell’addestramento dei Peshmerga kurdi che combattono i jihadisti di quello che fu Islamic State

Cinque militari italiani sono rimasti feriti a seguito di un attentato in Iraq, tre di loro versano in gravi condizioni, per uno di loro si è resa necessaria l’amputazione parziale di uno degli arti inferiori, ma nessuno è in pericolo di vita.

La causa sarebbe stata l’esplosione di un ordigno collocato lungo l’itinerario che stavano percorrendo, con ogni probabilità un IED (Improvised Explosive Disposal), cioè un ordigno esplosivo assemblato ricorrendo a vari materiali ricavati in vario modo come cariche di lancio, proietti di vario tipo, esplosivo ricavato da mine, eccetera.

In un suo scarno comunicato, lo Stato Maggiore della Difesa per il  momento ha reso noto soltanto che «l’attacco è avvenuto in mattinata, quando un IED è esploso al passaggio di un team misto di forze speciali italiane».

Le famiglie dei militari feriti, operanti in Iraq nel quadro della missione “Prima Parthica” (contrasto del Daesh), sono state avvisate.

Quello attaccato era dunque un «team misto», formato da elementi del IX Reggimento col Moschin dell’Esercito e da quelli tratti dal GOI, Gruppo Operativo Incursori della Marina, un’articolazione del Comsubin.

La zona dove è stato compiuto l’attentato non è distante dalla città di Kirkuk, nella quale le forze speciali italiane sono impegnate in una delle missioni di contrasto agli jihadisti di quello che fu il sedicente «califfato», quello Stato Islamico debellato militarmente in campo aperto che, tuttavia, presenta ancora non poche e insidiose ramificazioni operanti sul piano della guerriglia e del terrorismo.

Secondo le notizie ufficiali, il team oggetto dell’attacco di oggi si trovava impegnato in attività di addestramento – secondo la terminologia Nato «mentoring and training» – in favore delle forze di sicurezza irachene.

Immediatamente dopo l’esplosione i cinque militari sono stati soccorsi ed evacuati a mezzo di elicotteri del contingente statunitense facente parte della coalizione, che li ha trasportati in un ospedale Role 3, cioè una struttura sanitaria in grado di esprimere il massimo possibile in un teatro operativo, demandando interventi più complessi soltanto all’unico livello superiore al loro, il Role 4, cioè gli ospedali militari in patria.

Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, una volta messo al corrente dell’episodio dal capo di Stato Maggiore della Difesa, ha immediatamente informato il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio dei ministri.

Duro il commento del Sindacato dei Militari, espressosi per bocca di Luca Marco Comellini, che ha dichiarato che: “Le Forze armate devono essere ritirate da questa inutile missione di guerra”.

Intanto la Procura della Repubblica di Roma ha aperto un fascicolo sull’attentato, l’inchiesta – coordinata dal procuratore aggiunto Francesco Caporale e dal sostituto procuratore Sergio Colaiocco – comporterà una serie di approfondimenti sul posto da parte del Raggruppamento Operativo Speciale dell’Arma dei Carabinieri (ROS).

Al riguardo, i reati ipotizzati sono quelli di attentato con finalità di terrorismo e lesioni gravissime.

La missione Prima Parthica ha preso avvio nell’ottobre del 2014 con l’allestimento in teatro di operazioni di un dispositivo logistico-amministrativo comprendente circa 250 militari.

Il sito web del Ministero della Difesa specifica che il dispositivo nazionale opera in tre sedi, una di esse è Erbil, dove vengono effettuati cicli di addestramento a beneficio dei Peshmerga kurdi.

A essere colpiti – per la prima volta, almeno per quanto se ne sa – non sono state delle “normali” unità appartenenti a un contingente militare inviato in missione in un teatro di crisi, bensì elementi delle forze speciali, per altro nel corso di un’attività svolta “in doppia”.

È vero, bisogna riflettere anche sulla particolarità del momento e su quanto esso possa rappresentare nell’immaginario collettivo, infatti, proprio dopodomani ricorreranno i sedici anni dal sanguinoso attentato di Nasiriyyah, che provocò oltre cinquanta morti dei quali ventitré tra i militari italiani.

Non solo, perché si è anche consumata da poco tempo la debellatio sul campo delle forze di Islamic State e il «califfo» al-Baghdadi è stato eliminato dagli americani grazie a un’operazione condotta da forze speciali.

Ma è bene valutare più accuratamente le poche informazioni al momento disponibili per evitare di pervenire a facili conclusioni.

Questo IED sarebbe stato fatto esplodere mentre gli uomini delle forze speciali percorrevano un itinerario nel corso dell’effettuazione di un controllo.

Voci non confermate diffuse da un lancio in lingua inglese dai un’agenzia stampa estera inizialmente facevano riferimento a un non ben precisato «attacco», termine che può voler dire tutto e niente, in quanto un «attacco» potrebbe configurarsi anche nelle forme dell’imboscata. Uno strano lancio di agenzia dunque.

Gli elementi ostili che hanno colpito gli italiani sapevano chi erano quegli uomini in movimento sul terreno? È legittimo pensare di sì, di un minimo di intelligence dispongono anche le formazioni terroristiche, soprattutto se orfane di strutture efficienti attualmente non più in essere.

Ovviamente si tratta soltanto di una ipotesi, tuttavia nel passato episodi del genere, per così dire “mirati”, si sono verificati. In particolar modo in Iraq, seppure finora in quella specifica zona praticamente non se ne fossero mai registrati.

Qualcuno ha voluto colpire proprio quel genere di militari e non altri? Qualcuno che opera in quell’area ha voluto fargliela pagare magari per un torto precedentemente subito ricorrendo a un attacco con la road bomb?

È un segnale che qualcuno ha lanciato oppure gli elementi ostili hanno voluto far scontare alle forze speciali italiane qualche loro comportamento precedente che non hanno gradito?

Chissà, magari un controllo eccessivamente intrusivo all’interno di un’abitazione o di un altro edificio, oppure un eccessivo transito di militari in zone che si vorrebbe mantenere “tranquille” per potervi effettuare dei traffici illeciti o chissà cosa.

In questo senso le ipotesi esplorabili sono molte. Ma comunque è ancora presto per trarre delle conclusioni, probabilmente in questi stessi istanti neppure nei palazzi di Via XX Settembre a Roma hanno davvero le idee chiare su cosa sia davvero accaduto in Iraq stamattina.

Certo è, comunque, che alcuni fatti verificatisi pochi giorni fa potrebbero anche venire interpretati come dei segnali fatti pervenire. Due giorni fa alcuni razzi sono stati lanciati contro una base aerea di Qayyara, presso Mosul, struttura che ospita anche truppe statunitensi.

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