CRISI ROJAVA 1. Trump si ritira, Erdogan si scatena

All’indomani della decisione di Donald Trump di ritirare le truppe statunitensi dall’area dove erano impegnate a fornire supporto all’YPG contro le milizie del califfato islamico jiadista, è cominciata l’offensiva turca contro i curdi siriani.

Un tweet del presidente turco Erdogan, ha annunciato l’inizio delle operazioni militari contro l’YPG, l’Unità di protezione popolare del Rojava, l’enclave curda costituita nel 2012 a seguito della guerra civile siriana.

Il Rojava, in curdo significa Occidente, è situato a nord della Siria e dell’Iraq, al confine con la Turchia: un’area che i nazionalisti considerano una delle quattro regioni del Kurdistan.

La Turchia considera i curdi dell’YPG – già determinanti nella sconfitta dell’Isis nell’area – il braccio armato del PKK, il partito curdo che Ankara tratta alla stregua di un’organizzazione terroristica.

AMBIZIONI TURCHE, COMBATTENTI CURDI E RUOLO DELLA SIRIA

La Turchia intende creare una zona di sicurezza lunga quasi 500 chilometri e profonda 32 chilometri, pari a circa 15 mila chilometri quadrati di territorio sottratti ai curdi siriani e, per quasi il 10 per cento, alla sovranità nominale di Damasco.

Se Ankara e Damasco potevano in passato condividere l’interesse a negare la nascita di uno Stato curdo, oggi tornano alte anche le probabilità che l’YPG possa chiedere l’appoggio di Bashar Assad per far fronte all’invasione dell’esercito turco.

Senza questa inedita alleanza, la superiorità aerea turca e il territorio pianeggiante che consente l’uso massiccio di mezzi corazzati,  l’offensiva sarà difficilmente contrastabile, anche da combattenti rodati da anni di battaglie contro le milizie dell’Isis.

L’unica incognita è rappresentata dalla reale efficienza sul campo dell’esercito turco – per dimensioni il secondo della Nato – dopo le “purghe” di Erdogan, che dopo il fallito golpe del 2016 ha epurato oltre un terzo dei suoi migliori ufficiali.

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