Che si tratti di uno stato che alimenta la destabilizzazione, appunto un agente del caos, ne è fermamente convinto Pinchas Inbari, giornalista e saggista esperto di affari palestinesi che attualmente collabora con il Jerusalem Center for Public Affairs oltreché con diversi media stranieri. In un suo articolo pubblicato di recente – https://pinhasinbariblog.net/2025/03/19/why-not-qatar-because-qatar-is-an-agent-of-chaos/ -, poiché, egli asserisce, «Doha agisce nel senso della destabilizzazione e mediante suoi agenti d’influenza non soltanto in Medio Oriente, ma anche in Europa e negli Stati Uniti d’America».
COINCIDENZE OPPURE DELIBERATA STRATEGIA?
Inbari afferma che la destabilizzazione sarebbe funzione della promozione del governo della Fratellanza Musulmana (al-Ikhwā’n al-muslimū’n) in Medio Oriente e altrove. Al riguardo, egli richiama i precedenti verificatisi nella Libia del dopo Gheddafi, in Egitto con l’avvento al potere di Mohamed Morsi e in Siria, con la recente vittoria militare di al-Jolani. «Il Qatar – sostiene l’opinionista israeliano – ha bisogno di Bezalel Smotrich e Ben Gvir (leader di partiti religiosi e dell’estrema destra che attualmente sostengono il governo presieduto dal likudnìk Benjamin Netanyahu, n.d.r.) quali motori dell’anarchia nel mondo arabo e in Europa, oltreché per diffondere l’antisemitismo negli Stati Uniti d’America. Per alimentare il caos regionale e globale ha bisogno di Hamas a Gaza e di Ben Gvir sul Monte del Tempio, che è esattamente ciò a cui stiamo assistendo». È una mera coincidenza – si interroga quindi Inbar – o qualcosa di più?
IL FONDAMENTALE RUOLO SVOLTO DAI MEDIA
Sempre ad avviso di Inbar, uno degli strumenti principali ai quali il Qatar avrebbe fatto ricorso per diffondere l’anarchia nei paesi arabi sarebbe stata l’emittente televisiva satellitare Al Jazeera, che avrebbe svolto il ruolo di sobillatrice delle popolzioni arabe contro i loro governi. «Se Al Jazeera ha bisogno della violenza degli ebrei e dei palestinesi come strumento principale di incitamento alla rivolta – egli sottolinea -, in particolare i tentativi di impossessarsi del Monte del Tempio, un Qatar nelle vesti di agente del caos è esattamente ciò di cui ha bisogno Netanyahu, poiché anche lui è un agente del caos». Questo spiegherebbe la ragione per la quale l’Arabia Saudita non sta partecipando ai negoziati di Doha per la liberazione degli ostaggi e il perché del boicottaggio da parte di Mohammad bin Salman del vertice «del giorno dopo» al Cairo. Infatti, al contrario di Doha, Riyadh agisce per stabilizzare il Medio Oriente. In passato anche l’Arabia Saudita era partecipe del progetto jihadista, dunque un agente del caos, tuttavia, quando Al-Qaeda è divenuta una minacciare della legittimità wahhabita nello stesso Regno degli al-Saud le cose sono cambiate.
GUERRA DI CLAN E RAMI DI FAMIGLIA ESCLUSI DAL POTERE
Lo scontro intestino alle petromonarchie del Golfo Persico rinviene le sue cause in molteplici interessi confliggenti, tutti riconducibili al potere e al controllo dell’economia. Dinamiche di natura tribale alle quali non sfuggono neppure le dinastie che negli ultimi decenni hanno sensibilmente modernizzato le terre desertiche dove da secoli insistono le loro stirpi. Anche la destabilizzazione del resto del Mdio Oriente e del mondo islamico è in qualche modo una conseguenza della competizione tra clan, come quella che oppone le famiglie regnanti dell’Arabia Saudita e del Qatar. La prima si articola infatti in due rami diversi, quello Sudairi, dal quale provengono i sovrani del Regno, e l’altro, formato principalmente da membri della tribù Tamim (diffusa in tutto il Medio Oriente), esclusi dalla successione al trono. Ora, semplificando, l’emiro del Qatar (appartenente alla tribù Tamim) è in possesso di una leva in grado di destabilizzare dall’interno la vicina Arabia Saudita, fomentando discordia e divisioni nella famiglia reale di Riyadh. «Non è casuale, dunque – evidenzia Inbari -, che alla luce degli effetti delle trasmissioni di Al Jazeera sulla popolazione egiziana al tempo delle Primavere arabe, il Cairo e Riyadh abbiano preso in considerazione l’ipotesi di invadere militarmente il Qatar e rovesciare l’Emiro».
DOHA CONTRO RIYADH
Egli conclude che, a questo punto, i piani elaborati a Washington allo scopo di costituire un asse di stati sunniti con Israele che funga da anello di collegamento con l’India attraverso il Golfo, oltre a quello della Giordania con Israele, potrebbero rialimentare l’azione destabilizzatoria di Doha nei confronti di Riyadh. Questo perché la direttrice aggirerebbe il Qatar, che nutre invece interesse a collegare le proprie riserve di gas (che condivide con l’Iran), non con Israele, bensì con la Turchia. Ed ecco evidenziarsi la strategia dei qatarioti, che, abbattuto il regime degli Assad, rinvengono nella Siria di al-Jolani un elemento di importanza fondamentale nello scacchiere regionale. Tuttavia, nello scenario mediorientale per Doha permangono due avversari, Arabia Saudita e Giordania. Un aspetto interessante richiamato da Pinchas Inbari nel trarre le sue conclusioni sul tema è quello relativo all’intervento israeliano sull’alleato americano per dissuadere dalla deposizione manu militari degli al-Thani a suo tempo pianificata di concerto da Riyadh e il Cairo. Allora agli egiziani il fatto parve sosprendente ed essi forse ritennero che la «connessione israelo-qatariota» era frutto dell’intento di rovesciare il governo egiziano e precipitare il Paese arabo nel caos. Israele come nemico. Sull’argomento è di opinione diversa Ely Karmon (della Reichman University, politologo, analista, esperto di terrorismo e suo contrasto), che colloca l’inizio della crisi delle relazioni tra Israele ed Egitto nel 2014, al termine dell’operazione “Protective Edge”, quando il Cairo si accordò per un cessate il fuoco con Hamas.
NETANYAHU, IL QATAR E I SOLDI AD HAMAS
«Il piano egiziano – egli sostiene – prevedeva un controllo graduale dei valichi di frontiera con la striscia di Gaza, la cui competenza avrebbe dovuto ricadere sull’Autorità nazionale palestinese; in seguito, il controllo da parte di tutte le forze di polizia palestinesi in quel Territorio. Ma, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu decise di consentire al Qatar di finanziare Hamas. Lo fece allo scopo di lasciare all’organizzazione islamista il controllo della striscia di Gaza e, conseguentemente, indebolire l’Amministrazione nazionale palestinese. In quella particolare fase, sia Doha che “Al Jazeera”, emittente televisiva satellitare in lingua araba e inglese che nell’Emirato del Golfo ha sede, avversavano fortemente i leader del Cairo e i vertici militari egiziani, poiché essi erano riusciti a rovesciare il regime islamista del presidente Mohamed Morsi, esponente della Fratellanza musulmana, che nel novembre del 2012 aveva assunto il pieno potere e il controllo del governo. Inoltre, quando divenne evidente che Hamas stava collaborando con la filiazione di Islamic State (Isis) nel Sinai, le forze armate egiziane giunsero addirittura a pianificare degli attacchi aerei sulla striscia di Gaza, avviando le attività di distruzione dell’estesa rete di gallerie sotterranee che attraversavano la Striscia ponendola in segreta comunicazione con il territorio egiziano».
CONVERGENZE PARALLELE
Strategie parallele ma per certi aspetti convergenti che hanno indirizzato il corso degli eventi. Ma, per restare all’azione destabilizatoria attribuita al Qatar, sull’argomento sono intervenuti anche altri due analisti israeliani, Pnina Shuker and Ariel Admoni, che lo hanno affrontato sul piano delle sue implicazioni globali, inquadrando gli sforzi di disinformazione che essi asseriscono siano profusi da Doha finalizzati alla definitiva rottura delle relazioni diplomatiche tra Israele ed Egitto, https://jiss.org.il/shuker-admoni-qatars-influence-efforts/?fbclid=IwY2xjawJH1fJleHRuA2FlbQIxMQABHW0s-9JQEh_uCDQHEIxDuEzrU5iknWU5dgOdhxIcPVq1z0cuMDFPDGK0vQ_aem_C5PqxshaJCCLPmRhilN2Mw&sfnsn=wa. Partendo dalla presunta azione di disinformazione sui social media rilevata nelle ultime settimane e successivamente ampiamente diffusi dai media israeliani, una azione volta a ingenerare dubbi in seno all’opinione pubblica riguardo, appunto, alla solidità del trattato di pace stipulato con l’Egitto, Shuker e Admoni, essi focalizzano la loro analisi sulle possibili ragioni alla base di questa specifica operazione di disinformazione.
DEZINFORMACIJA IN SALSA ARABA
Innanzitutto, partendo dalla conclusione che essa sia stata concepita allo scopo di indebolire la posizione rivestita dal Cairo quale mediatore tra gli Stati Uniti d’America e il Medio Oriente, in particolare per quanto concerne i palestinesi e Gaza. Sostengono i due analisti, che «qualora dietro a questa campagna di disinformazione ci fosse davvero la mano del Qatar, si tratterebbe dell’ennesima conferma della sua vasta rete di influenza». Il tentativo di incrinare le relazioni tra Egitto e Israele era stato basato sulla falsa notizia di un crescente potenziamento del dispositivo militare del Paese arabo nel Sinai in violazione dei termini degli accordi stabiliti nel trattato di pace. La minaccia allo Stato ebraico è stata smentita mediante una puntuale analisi dei materiali immessi in Internet, come nel caso di alcuni filmati in realtà risalenti al 2018 e girati nel corso di una esercitazione militare. Nel loro lavoro Shuker e Admoni ricordano i diversi tentativi di influenza del Qatar, tra i quali l’incarico conferito a esperti di pubbliche relazioni israeliani, alcuni dei quali consiglieri del Primo Ministro Netanyahu, allo scopo di migliorare l’immagine dell’Emirato del Golfo agli occhi dell’opinione pubblica internazionale e nelle comunità ebraiche nel mondo.
I RISULTATI DEL «PROGETTO RAVEN»
«Le campagne di influenza – essi affermano – non rappresentano uno strumento nuovo nella strategia del Qatar. A partire dal gennaio 2019 si è venuti gradualmente a conoscenza del cosiddetto “Progetto Raven”, operazione segreta condotta dagli Emirati Arabi Uniti effettuata attraverso il ricorso a ex agenti della NSA statunitense al fine di raccogliere informazioni su Turchia, Francia, Yemen, Iran, Qatar e Israele. Dai risultati di essa sono emersi gli sforzi di influenza globale profusi da Doha, che ha sostenuto organizzazioni terroristiche e regimi amici in Occidente, manovrando contestualmente per rovesciare i governi avversari nel mondo arabo. Come nel caso del regime ilbico di Muammar Gheddafi, per poi essere il primo a riconoscere il governo ribelle di Tripoli. Doha è stata coinvolta anche nell’appoggio al nuovo regime tunisino dopo la caduta di Ben Ali a seguito delle Primavere arabe, inoltre, ha sostenuto attivamente i ribelli siriani con armi e finanziamenti». Notevolmente proattivo nel mondo arabo, negli ultimi anni il Qatar ha intensificato i suoi sforzi per divenire paese leader del mondo sunnita, e per conseguitre tale obiettivo ha agito mediante canali di influenza paralleli.
INFLUENZARE I DECISORI
A questo punto, Shuker e Admoni passano a esaminare nel dettaglio fornendo alcuni interessanti esempi il genus e le species degli strumenti qatarioti per l’esercizio dell’influenza, da quello classico e primario dell’influenza sui decisori, anche attraverso la messa a libro paga di influencer, donazioni a uomini politici e finanziamento di autorevoli think tank. Altri veicoli di influenza richiamati dai due analisti nel loro articolo sono la penetrazione nel mondo sportivo e il suo utilizzo ai fini dell’immagine. Da non sottovalutare, poi, il ruolo di mediatore universalmente riconosciuto al Qatar. Inoltre gli investimenti nel sistema accademico statunitense e gli aiuti umanitari, «che sovente – eccepiscono però Shuker e Admoni – sono erogazioni di facciata che in realtà finanziano il terrorismo». Infine i mass media: Al Jazeera, la seconda più grande emittente televisiva satellitare in lingua inglese dopo la CNN e la BBC, viene spesso tacciata di fungere da portavoce di Hamas e dei gruppi islamisti radicali, oltreché della Fratellanza musulmana.