C’eravamo tanto amati: c’è stato un tempo dove questa strana famiglia non era poi così strana, poiché i ruoli erano ben distribuiti, con credibilità e senza eccessi, e ogni personaggio poteva considerarsi utile allo spettacolo del quotidiano. Ognuno al proprio posto, con ordine e naturalezza.
UNA STRANA FAMIGLIA
Chi indossava il costume dell’intellettuale, ad esempio, era da considerarsi metafora di speranza futura, dunque, si riteneva opportuno riservare a esso amore e gratitudine come a un eroico e fascinoso cavaliere. Era poi lecito che una bella e gentile ragazza si invaghisse del proprio professore ed era altrettanto plausibile che la famiglia della giovine tutelasse il sapiente uomo come un animale in via d’estinzione. E così, Vera si sposò con Aleksandr, lo portò a casa e la storia ebbe inizio.
GLI ABITANTI DEL PIANETA ČECHOV
Gli abitanti del pianeta Čechov si animano, trovano una dimensione adeguata alla propria formazione, tutti remano nella medesima direzione e la possibilità di una Russia efficace e vincente smette di essere un miraggio e si tramuta in un concreto e reale domani. In una dimensione dove l’uomo è artefice del proprio destino e la felicità potrebbe trovare il giusto spazio. Ma Vera muore e tutto cambia. La speranza si spegne e, chi prova a ricominciare suona ridicolo nel suo tentare. Il cuore si tinge di nero così come questa possibile colorata commedia, che diviene una dissacrante e continuata risata isterica a un funerale. L’idea di un paese guidato dai suoi pensatori è sepolta, ma non è possibile che fare i conti partendo da questo inesorabile dato di fatto.
LA RASSEGNAZIONE DELLO ZIO
«Questa casa è culturalmente morta, amici miei. È governata da ignoranti e da sterili ideologie». Ce lo ricorda lo zio, quel buffone vestito male che palpa con gli occhi le nostre fidanzatine e aspetta le riunioni di famiglia per alzare il gomito e sbatterci in faccia la nostra condizione perennemente umiliante. Inutile lavorare, inutile impegnarsi, inutile studiare. Dice, lo zio: «Meglio aspettare un reddito senza sudare, meglio lamentarsi di chi ha distrutto il talento». Ed ecco che la seconda tappa del Progetto Čechov abbandona il gioco e si imbruttisce col tempo. Spazza via i contadini che citano Dante a memoria per consentire un abuso edilizio ambizioso e muscolare. C’era un grande prato verde dove nascono speranze e noi ci abbiamo costruito una casa asfissiante con troppe inutili stanze, a occupare ogni spazio vitale.
TUTTO È CAMBIATO
Avevamo sfumature e ora c’è un chirurgico bianco e nero che strizza l’occhio allo spettatore intelligente. Avevamo donne e uomini che cercavano la vita attraverso l’amore ma abbiamo preferito prenderne le distanze. Quando? Quando è diventato “troppo poco” parlare d’amore? Come se poi ci fosse qualcos’altro di interessante. Se nel Gabbiano sprecavamo carta e tempo nel ragionare sulla forma più corretta con il quale passare emozioni al pubblico, divisi tra realismo e simbolismo, tra poesia e prosa, tra registi, scrittori e attrici, e ci bastava una panchina per tormentarci dei dolori del cuore (Quanto amore, lago incantatore!) in Zio Vanja l’arte è relegata a concetto museale, roba da opuscoli aristocratici, uno sterile intellettualismo che non pensa più al suo popolo, che annoia la passione e permette agli incapaci di vivere di teatro.
UNA MASCHERA IRRIVERENTE
«E allora che questa strana famiglia cantata da Čechov abbia la faccia di Gaber – è lo sfogo di sperato del regista -, la sua maschera irriverente; o, meglio ancora, di Freak Antoni: che sia stonata e sgrammaticata, sconfitta dai propri fantasmi. Ripugnante e fastidiosa e con l’alito cattivo. Più alta del crocchiare di una gallina a un comizio, più profonda del raglio di un asino messo a pilotare un aereo che si sta per schiantare. Che prenda in giro chi si nasconde dietro ai progetti perché spaventato e che faccia tanti e tanti e sentitissimi applausi a chi crede che Zio Vanja sia un testo attuale perché parla di alberi. Avete costruito un focolare tanto stupido che preferisco congelare al sincero freddo della mia solitudine, lasciatemi fuori, escluso come il cane di Rino Gaetano! Prendetevi le ghiande e lasciatemi le ali. In questa cosa/casa non ci voglio neanche entrare… ma siate pazienti: l’anno prossimo la vendiamo per davvero! Non è nulla bambina mia, le oche starnazzano per un po’ e poi si calmano. Starnazzano per un po’ e poi si calmano».
LO ZIO VANJA
Lo Zio Vanja: in scena al Teatro vascello di Roma dal 9 (serata del debutto) al 14 aprile; spettacoli: dal martedì al venerdì alle ore 21:00, il sabato alle ore 19:00 e la domenica alle ore 17:00; debutto martedì 9 aprile alle ore 21:00. Progetto Čechov, seconda tappa; regia di Leonardo Lidi. Personaggi e interpreti: Giordano Agrusta è Il’ja Il’ić Telegin, proprietario terriero; Maurizio Cardillo è Aleksandr Vladimirović Serebrjakov, professore in pensione; Ilaria Falini è Elena Andreevna, moglie di Aleksandr Vladimirović Serebrjakov; Angela Malfitano è Marija Vasil’evna Vojničkaja, madre di Vanja; Francesca Mazza è Marina, vecchia njanja; Mario Pirrello è Michail L’vović Astrov, medico; Tino Rossi è il guardiano; Massimiliano Speziani è Ivan Petrović Vojničkij (Vanja), figlio di Marija Vasil’evna Vojnickaja; Giuliana Vigogna è Sof’ja Aleksandrovna (Sonja), figlia di primo letto del professore. Scene e luci: Nicolas Bovey; costumi: Aurora Damanti; suono: Franco Visioli; assistente alla regia: Alba Porto; produzione: Teatro Stabile dell’Umbria, in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e con Spoleto Festival dei Due Mondi.
INFO E PRENOTAZIONI
Info e prenotazioni esclusivamente per mezzo di Card Libera e Card Love, oppure tramite abbonamenti e card acquistati in precedenza, ovvero ricorrendo a Vivicinemateatro promozioneteatrovascello@gmail.com;
acquisti direttamente alla biglietteria: https://www.teatrovascello.it/biglietteria-23-24/;
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il Teatro Vascello è in Via Giacinto Carini, 78 Roma