TERRORISMO, ostaggi. Il prezzo che la Thailandia (e il mondo) dovrà pagare per la liberazione dei suoi ostaggi

Ely Karmon, analista israeliano della materia, prende in esame questo caso specifico, muovendo dal fatto che, nonostante in passato sia stata presa di mira dal terrorismo iraniano, Bangkok ha egualmente inviato i suoi negoziatori a Teheran nel tentativo di raggiungere un accordo con i palestinesi di Hamas

a cura di Ely Karmon, ricercatore senior presso la Reichman University di Herzliya, articolo pubblicato il 10 novembre 2023 sul quotidiano “Times of Israel”, https://blogs.timesofisrael.com/the-price-thailand-and-the-world-will-pay-to-free-its-hostages/ Lunedì scorso il primo ministro tailandese Srettha Thavisin ha dichiarato che il suo governo è in possesso di immagini dei lavoratori tailandesi tenuti in ostaggio nella striscia di Gaza da Hamas dopo il loro sequestro avvenuto nel corso della furiosa azione terroristica compiuta il 7 ottobre  in Israele. Queste immagini dimostrerebbero che essi sono vivi.

«LI RILASCEREMO AL MOMENTO GIUSTO»

Il numero ufficiale di sequestrati denunciato dal governo di Bangkok è di ventiquattro, mentre è stata appurata la morte di trentaquattro cittadini thailandesi e il ferimento di diciannove. Srettha ha dichiarato alla stampa che «gli sforzi negoziali sono ancora in corso», ma chi ospita queste trattative in corso? L’Iran. Forte della sua consolidata esperienza in materia di ostaggi, la Repubblica Islaamica si è rapidamente inserita nella delicata questione della liberazione degli stranieri non israeliani sequestrati il 7 ottobre dai terroristi di Hamas. Allo scopo, gli emissari tailandesi il giorno 26 ottobre hanno incontrato a Teheran alcuni esponenti di Hamas e, dopo un colloquio durato un paio d’ore, hanno ricevuto da loro l’impegno che i tailandesi sarebbero stati rilasciati, ma al «momento giusto». Areepen Uttarasin, negoziatore thailandese che guidava la squadra formata da tre persone, tutte di religione islamica, nominate allo specifico scopo dal presidente del parlamento di Bangkok, ha in seguito dichiarato di «aver chiesto loro (agli emissari di Hamas) di rilasciarli poiché sono innocenti».

IMPATTI REGIONALI E MONDIALI DELLA POLITICA DI BANGKOK

Areepan ha quindi aggiunto che gli hanno assicurato che «si stanno prendendo cura di loro, ma non potevano dirmi la data del loro rilascio, stavano aspettando il momento giusto», quindi hanno concluso affermando che «Hamas rispetta la Thailandia». Ora, il quesito da porsi è se questi negoziatori abbiano chiesto o meno ai loro interlocutori di Hamas perché, se devoti musulmani come dicono di essere, questi terroristi abbiano ucciso così tanti thailandesi innocenti, alcuni di loro decapitandoli, e perché ne abbiano presi altri in ostaggio. Parrebbe che la Tailandia, con alle spalle un lungo e difficile rapporto con il terrorismo iraniano, abbia deciso ancora una volta di appellarsi alla «gentilezza» degli Ayatollah al fine di risolvere il problema degli ostaggi senza però prendere in considerazione quello che può essere l’impatto regionale e internazionale conseguente a tale politica.

COAZIONE A RIPETERE

Con ogni probabilità la Thailandia capitolerà di fronte al terrorismo iraniano e a quello sostenuto dall’Iran, perché è ciò che ha già fatto in passato. Qualche passo indietro: l’11 marzo del 1994 a Bangkok un piccolo incidente stradale tra un mototaxi e un autocarro evitò quella che avrebbe potuto essere una delle più grandi catastrofi nella storia di quel Paese del sudest asiaticco. Infatti, il conducente del mezzo  pesante, preso dal panico, fuggì abbandonando il proprio automezzo. In quel momento si trovava a duecentocinquanta metri di distanza dall’ambasciata israeliana. Il veicolo venne sequestrato e presto si appurò che conteneva una quantità di esplosivo sufficiente a devastare diversi isolati della città.

FALLITI ATTENTATI IN THAILANDIA NEL 1994 E 2012

In seguito la polizia tailandese arrestò un cittadino iraniano, tale Hossein Shahriarifar, che venne accusato di aver fabbricato la bomba e guidato il camion. Il terrorista venne condannato a morte, ma la Corte suprema annullò il verdetto prima dell’esecuzione della pena capitale. A causa dell’esercizio di forti pressioni da parte iraniana Shahriarifar venne scarcerato quattro anni dopo la tentata strage, lasciando molti nel dubbio se fosse davvero stata fatta giustizia. In  un secondo caso, verificatosi nel 2012, le autorità tailandesi trassero in arresto un cittadino svedese di origini libanesi, Hussein Atris, risultato in legami con Hezbollah. Atris consentì poi agli investigatori della polizia a rinvenire in un edificio commerciale non lontano da Bangkok quattro tonnellate di materiale esplodente idoneo alla realizzazione di ordigni. L’uomo venne condannato allapena di due anni e otto mesi di reclusione, quindi scarcerato nel settembre del 2014. Non fu l’unico tentativo di Hezbollah di organizzare attacchi terroristici in Thailandia.

LA DIPLOMAZIA DEGLI OSTAGGI DI TEHERAN

Ennesimo tentativo venne esperito nel 2012 da una squadra iraniana formata da sette terroristi, che pianificò degli attacchi contro obiettivi israeliani a Bangkok. Vennero scoperti dopo che uno di loro rimase gravemente ferito a seguito di un «incidente sul lavoro»: Mohammad Hazaei, che le autorità tailandesi sospettavano essere a capo del gruppo di operativi venne quindi catturato, ma altri sospettati riuscirono a fuggire. Successivamente la polizia arrestò un altro agente iraniano, Madani Seyed Mehrded, mentre altri tre cittadini della Repubblica Islamica vennero incarcerati per la vicenda. Nel novembre del 2020 la Thailandia liberò i tre iraniani detenuti dopo che Teheran ebbe rilasciato l’accademica di cittadinanza britannico australiana Kylie Moore-Gilbert, docente di Studi islamici arrestata dalla polizia degli ayatollah sulla base di accuse di spionaggio pretestuose e infondate. A Bangkok sostengono che i tre iraniani non sono stati scambiati con nessuno, mentre il governo australiano tace riguardo alle circostanze relative all’accordo, seppure alcuni osservatori abbiano rilevato che questo atteggiamento potrebbe incoraggiare la «diplomazia degli ostaggi» iraniana.

SEQUESTRATI NELLA STRISCIA DI GAZA

La Tailandia non è il solo paese che apparentemente cede al terrorismo, poiché anche diversi Stati europei hanno fatto appello al sostegno di Teheran al fine di giungere alla liberazione dei propri cittadini tenuti in ostaggio a Gaza. È auspicabile che i leader di questi paesi ricordino come il Belgio abbia raggiunto un vergognoso accordo con l’Iran, quando un innocente operatore umanitario di quel paese, Olivier Vandecasteele, detenuto per 455 giorni nella Repubblica Islamica sulla base delle solite false accuse di spionaggio, venne scambiato con un ufficiale dell’intelligence iraniana, Assadollah Assadi, condannato a venti anni di reclusione per essersi reso responsabile nel giugno del 2018 dell’organizzazione di un attentato dinamitardo presso Parigi, in Francia, contro un partecipato raduno di una formazione dell’opposizione iraniana.

COME NON INCENTIVARE LA CATTURA DI OSTAGGI

Questa “vittoria” del regime degli ayatollah potrebbe incidere negativamente su decine di altri casi di cittadini europei presi in ostaggio in Iran per il loro presunto ruolo nelle grandi proteste popolari contro la morte della giovane Mahsa Amini, brutalmente assassinata mentre si trovava in stato di fermo della polizia morale, proteste ferocemente represse dall’apparato poliziesco e dalle Guardie della Rivoluzione. Dopo la sua liberazione dalla prigione iraniana, la dottoressa Kylie Moore-Gilbert ha sottolineato come «la piaga della diplomazia degli ostaggi e degli accordi finanziari serva solo ad alimentare e incentivare ulteriormente la presa di ostaggi da parte dell’Iran». Dunque la conclusione è che consentire all’Iran di trarre vantaggio dalla sua relazione simbiotica con l’entità terroristica Hamas/ISIS non potrà fare altro che rafforzare la sua strategia aggressiva nella regione e oltre, contro gli Stati Uniti d’America, la NATO, l’Europa e tutti i paesi democratici.

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