ESTERI, analisi. Accordi di Abramo e Medio Oriente: la NATO Foundation discuterà del processo di pace

Sono passati poco più di due anni dalla firma degli Accordi di Abraham, che hanno normalizzato le relazioni diplomatiche tra Israele, Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrain, Marocco e (potenzialmente) Sudan. Un successo ascrivibile all’amministrazione Trump che, però, ha portato a risultati contrastanti nel progresso dello sviluppo delle relazioni tra gli Stati della regione

a cura di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Sono passati poco più di due anni dalla firma degli Accordi di Abraham, che hanno normalizzato le relazioni diplomatiche tra Israele, Emirati Arabi Uniti (EAU), Bahrain, Marocco e (potenzialmente) Sudan. Un successo ascrivibile all’amministrazione Trump che, però, ha portato a risultati contrastanti nel progresso dello sviluppo delle relazioni tra gli Stati della regione.

L’ATTESA NORMALIZZAZIONE IN MEDIO ORIENTE

L’attesa normalizzazione  ha aperto nuove opportunità per la cooperazione in materia di difesa e sicurezza, in particolare tra Israele, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti, che condividono una prospettiva comune sulla minaccia alla sicurezza rappresentata dall’Iran. In queste ore proprio la Repubblica islamica iraniana sta attraversando una crisi profonda a causa delle proteste di piazza contro la vergognosa condizione nella quale «vivono» le donne sotto il regime degli ayatollah. Siamo alla terza settimana consecutiva di partecipate manifestazioni a livello nazionale, in Iran e in molti altri paesi nel mondo, che si stanno trasformando in rivolte contro l’esistenza stessa della teocrazia, con i manifestanti che scandiscono slogan del tipo: «Questa non è più una protesa, è l’inizio di una rivoluzione». Ma è ancora presto per comprendere dove porterà la protesta, o se essa avrà successo, tuttavia sono divenute le più lunghe in termini di durata e le più grandi in termini di partecipazione popolare, una cosa mai vista nel paese nei quarant’anni seguiti ala Rivoluzione del 1979.

IL FORUM NEL NEGEV

Tornando agli Accordi, la successiva intesa per organizzare il forum del Negev, che ha portato anche l’Egitto nel gruppo, ha offerto ulteriori possibilità di cooperazione su interessi condivisi, tra i quali figurano energia, sicurezza alimentare e idrica, salute e altro. Però sussistono ancora alcune carenze nella cooperazione, in particolare, nonostante l’obiettivo iniziale degli organizzatori, quella tra Israele e i suoi partner arabi non ha prodotto miglioramenti tangibili nella eterna crisi con i palestinesi. Qualcosa che potrebbe cambiare, poiché nel Negev è stata inclusa in agenda l’adozione di misure per migliorare le condizioni di vita nei Territori. Inoltre, probabilmente gli israeliani sono ora più cauti nella gestione delle relazioni con i palestinesi, al fine di evitare attriti con i loro nuovi partner arabi. Va rilevato come ogni concreto cambiamento per i palestinesi sia finora poco visibile, mentre la possibilità che le elezioni di novembre nello Stato ebraico si concludano con un successo della destra conservatrice potrebbe condurre il mutamento in atto allo stallo.

REAZIONI NEL GOLFO

Al momento gli Accordi non sono riusciti a attirare la partecipazione di nuovi firmatari. Nonostante un certo ammorbidimento della sua posizione sulle relazioni bilaterali, anche nell’area della cooperazione nel settore della difesa e dell’apertura del suo spazio aereo all’aviazione israeliana, l’Arabia Saudita ha mantenuto fermo il suo impegno per la preesistente Arab Peace Initiative (API). Come ha precisato il ministro per gli affari esteri di Riyadh, l’API prevede che la pace arrivi alla fine del processo, «non all’inizio». Anche quegli Stati del Golfo Arabo, Oman e Qatar, che hanno mantenuto a lungo relazioni quasi de jure con Israele, hanno finora rifiutato di seguire gli EAU e il Bahrain nella formalizzazione dei loro legami. Dal punto di vista di Gerusalemme potrebbero risultare sufficienti dei miglioramenti incrementali nei legami con gli stati del Golfo. Nonostante la loro espressa adesione all’API, i sauditi si sono detti disposti ad adottare misure di normalizzazione, ma lente e su scala ridotta, prima che ci sia una piena risoluzione della questione israelo-palestinese.

SICUREZZA NEL MAR ROSSO

La cooperazione in materia di sicurezza nel Mar Rosso è un’area in cui i sauditi hanno dimostrato la volontà di lavorare con Israele. E i termini dell’accordo che consentono il sorvolo del spazio aereo saudita da parte degli aeromobili dell’aviazione civile israeliana e accettano viaggi diretti per i pellegrini dell’Hajj provenienti da Israele, sono ulteriori indicatori di una posizione maggiormente rilassata in ordine alla cooperazione con lo Stato ebraico. Gerusalemme potrebbe infatti considerare anche l’eventualità di sviluppare relazioni con i sauditi al di fuori degli Accordi di Abraham e, parimenti, sia Oman che Qatar hanno proseguito nel loro impegno pratico di lunga data con Israele. Sebbene Doha abbia criticato gli Accordi di Abraham ribadendo il suo sostegno all’API, essa mantiene le sue «relazioni di lavoro» con Israele. Da parte sua, l’Oman ha mantenuto tranquille relazioni con Israele per quasi cinquant’anni, forse le più antiche per uno stato del Golfo. Questa buona predisposizione è frutto in modo particolare della partecipazione israeliana al centro di ricerca sulla desalinizzazione del Medio Oriente che ha sede a Muscat.

VERSO UN’ALTRA «PACE FREDDA»?

A due anni di distanza dalla loro stipulazione, gli Stati dei paesi firmatari continuano a vedere gli Accordi di Abraham positivamente, come un progresso dei loro interessi nazionali, mentre la normalizzazione ha aperto le porte al settore privato, in particolare negli EAU, già ben posizionati in precedenza  per sfruttare le risultanti opportunità commerciali bilaterali con Gerusalemme. Gli Accordi devono ancora trovare un solido radicamento negli atteggiamenti delle popolazioni arabe, fatta eccezione per il Marocco, dove recenti sondaggi hanno rilevato che solo l’11% della popolazione considera Israele una minaccia. L’opinione pubblica araba generalmente continua a vedere Israele in una luce negativa, principalmente a causa della percepita incapacità di Gerusalemme nel risolvere la questione palestinese. Questa prospettiva negativa rende senza dubbio i decisori di altre capitali arabe, in particolare Riyadh, riluttanti ad andare avanti verso la normalizzazione. Il rischio quindi è che in assenza di progressi sul fronte palestinese, induca a considerare gli Accordi di Abraham alla stregua di un’altra “pace fredda”.

ARAB GEOPOLITIC 2022 ROME

In concomitanza con il secondo anniversario della stipulazione degli Accordi di Abraham, l’11 ottobre prossimo presso il MAXXI di Roma la NATO Defence College Foundation terrà la sua ottava edizione di conferenze annuali sul Medio Oriente e al Nord Africa (area MENA). Arab Geopolitics 2022: a region between conflicts and normalisation è l’evento frutto di un progetto che riunisce regolarmente decisori politici e analisti provenienti dal mondo arabo allo scopo di discutere i più recenti sviluppi strategici nell’area e le loro implicazioni per la sicurezza internazionale. Quest’anno il tema centrale del dibattito sarà l’inedito processo di normalizzazione che sta interessando i paesi dell’area MENA. Articolati in tre sessioni, i lavori vedranno gli interventi di diciotto specialisti che affronteranno gli argomenti in una prospettiva soprattutto regionale.

TEMATICHE URGENTI

In un primo panel verranno analizzate le principali direttrici politiche dell’area, concentrando il focus sul possibile ruolo della NATO e dei suoi partenariati in Medio Oriente e Nord Africa, nell’ottica di un graduale superamento della frammentazione regionale; il secondo panel affronterà il «caso» degli Accordi di Abraham, mentre il terzo si focalizzerà sulla lotta alla criminalità organizzata, con un’attenzione specifica dedicata al Nord Africa e al Sahel, cercando di rinvenire risposte agli interrogativi quali se un processo di normalizzazione può essere in grado di fornire nuove strategie e strumenti utili allo specifico scopo e, inoltre, esplorare le ipotesi relative al possibile rilancio e rafforzamento della cooperazione regionale nel campo della sicurezza.

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