L’operazione ebbe luogo il giorno 1 maggio del 2011, quasi dieci anni dopo gli attentati dell’11 settembre. Gli americani tesero un’imboscata al leader di al-Qaeda, responsabile di quello che, probabilmente, è stato il maggiore atto terroristico della storia. Lo «sceicco del terrore» venne eliminato il 1 maggio del 2011 a seguito di una operazione militare chirurgica effettuata dall’unità speciale Sea Lion nel suo rifugio di Abutabad, in Pakistan.
Ore 13:25 di Washington: diramato l’ordine presidenziale
Un risultato che a Washington si attendevano da molto tempo. Quel giorno, alle ore 13:25 della capitale statunitense dalla Casa Bianca il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Hussein Obama dette il via all’operazione Neptune Spear; ventisei minuti dopo, quattro elicotteri Black Hawk decollarono da una base dell’Afghanistan recando a bordo venticinque operatori delle forze speciali, destinazione Abutabad, località situata a cinquanta chilometri a nord di Islamabad, la capitale pachistana.
Un’ora e mezza dopo il decollo, quegli elicotteri erano già atterrati fuori dalla casa dove si trovava il capo di al-Qaeda e, seppure uno degli aeromobili si fosse schiantato a terra senza tuttavia che vi fossero vittime, l’incidente non arrestò l’operazione, nessuno a Washington ritenne di annullare o posticipare a un’altra data l’eliminazione di UbL. In quel momento l’obiettivo si trovava al terzo piano dell’edificio: un colpo mortale all’occhio sinistro chiuso un lungo e sanguinoso conto fino a quel momento aperto.
Alle ore 15:53 il presidente Obama ricevette la notizia dell’avvenuta eliminazione mentre si trovava nello studio ovale della Casa Bianca.
I pachistani sapevano del blitz? Lo hanno coperto?
Nel corso del dibattito organizzato dal diffuso quotidiano israeliano “Maariv”, il professor Boaz Ganor – direttore generale dell’Istituto per la politica antiterrorismo ed ex decano della Lauder School of Government, Diplomacy and Strategy -, ha esordito sottolineando la minuziosa preparazione sui piani dell’intelligence e operativi dell’azione portata a termine con successo dall’unità speciale americana, sollevando però un interrogativo (lui lo ha definito un «interrogativo inquietante») fino a oggi rimasto senza risposta: i pakistani erano a conoscenza del fatto che sarebbe stato effettuato quel blitz e, se sì, lo hanno coperto?
«Dall’attacco alle Torri gemelle gli americani ci hanno messo quasi dieci anni a localizzare bin Laden in quel suo nascondiglio – ha aggiunto poi Ganor -, essi avevano consapevolezza che la sua morte non avrebbe sradicato il terrore dell’Islam radicale, tuttavia si erano resi conto che nella guerra contro un’organizzazione piuttosto che contro uno Stato, le modalità sono diverse, così come le conseguenze delle azioni di contrasto».
Un cambio di strategia e di tattica
L’ex ministro dello Stato ebraico Dan Meridor – che ai tempi dell’eliminazione di UbL si occupava di intelligence – ha sottolineato come l’eliminazione di bin Laden e, in seguito, quella di Qasim Suleymani (il generale iraniano a capo della al-Quds Force) evidenzierebbero una variazione nella strategia e nella tattica da parte dei americani, svolgendo alcune considerazioni in merito che, riportano direttamente all’impronta impressa nel corso dell’amministrazione Obama a operazioni speciali del genere, che contemplarono un ricorso sempre maggiore al binomio costituito da strumenti tecnologicamente sofisticati e team di forze speciali.
Meridor ha fatto presente che, sebbene gli Stati Uniti nei conflitti afghano e iracheno, a fronte di ingenti costi in termini di perdite di vite umane nonché di natura finanziaria, non abbiano tuttavia conseguito una vittoria, nel caso dell’eliminazione mirata di bin Laden sono risultati invece paganti l’accurata pianificazione dell’intelligence e l’impiego di piccole unità di forze speciali sostenute da una strumentazione tecnologica estremamente sofisticata.
«Una volta dall’altra parte c’era un grande esercito – Meridor si riferiva all’Armata rossa sovietica ai tempi del confronto bipolare tra le superpotenze – e una battaglia avrebbe avuto luogo fino a quando esso fosse stato costretto alla resa o a una tregua, oggi c’è un’organizzazione che non ha né confini né schieramenti definiti, quindi è necessario trovare un modo diverso per combatterla».
al-Qaeda: un nemico super sofisticato rispetto a quelli del passato
Da allora, nel panorama del jihadismo armato al-Qaeda è stata marginalizzata, mentre la maggior parte delle attenzioni sono state invece focalizzate su Islamic State (IS) e la sua guida, Abu Bakr al-Baghdadi, ha assunto il ruolo del cattivo.
«In quei giorni ci siamo trovati di fronte a un avversario super sofisticato – si è detto convinto Ephraim Halevy, che l’11 settembre 2001 era a capo del Mossad – , non si trattava più di mettere una bomba da qualche parte e uccidere alcune persone, perché c’era stata pianificazione, percezione dell’importanza strategica di un azione del genere, l’individuazione di obiettivi strategici. UbL era un avversario di qualità diversa da quella di ciò che avevamo visto prima, certamente non come fu il terrorismo di Yasser Arafat, che era molto più primitivo».
Nella comparazione fatta dall’ex direttore del Mossad notevolmente diversi sono risultati anche i profili personali dei due personaggi. Osama bin Laden (UbL)non è mai stato esposto ai riflettori come Arafat e, per altro, non ha neppure cercato il primo piano. Nato nel marzo del 1957 in Arabia Saudita in una famiglia ricca e non particolarmente religiosa, dovette il cambiamento della sua esistenza all’incontro con l’attivista fondamentalista palestinese Abdullah Azam, evento che mutò la sua vita.
L’influenza esercitata su UbL da Abdullah Azam
Azam era nato nel 1941 a Silat al-Kharajya, villaggio della Samaria settentrionale non distante da Jenin. Alla fine degli anni Sessanta si unì ai Fratelli musulmani e, a seguito degli eventi di Settembre nero, venne deportato dalla Giordania. In Arabia Saudita insegnò in un’università dove poi conobbe il giovane bin Laden.
«Si registrò una forte crescita del fanatismo musulmano alla metà degli anni Sessanta – ha affermato il professor Emmanuel Sivan, autore del saggio “Lo zelota dell’Islam” -, un fenomeno represso con mano particolarmente ferrea dall’Egitto di Nasser». Durante questo periodo matura in Azam il convincimento della necessità di un cambiamento di strategia, del ricorso alla violenza allo scopo di conseguire in modo risolutivo gli obiettivi della lotta, una linea tracciata da Azam e, in seguito, seguita da UbL.
Le teorie trovarono applicazione nell’Afghanistan occupato dall’Armata rossa sovietica, contesto nel quale venne sperimentato il jihad globale, nel quale se un Paese musulmano viene attaccato tutti i musulmani devono accorrere in sua difesa.
Inizialmente tollerato dagli americani
«Era carismatico, una figura esemplare per la modestia, un guerriero e un personaggio molto importante, aveva un conto in banca del petrolio – ha affermato Michael Burke, ricercatore senior presso l’Istituto internazionale per la politica anti-terrorismo, del Multidisciplinary Center (IDC) di Herzliya -, ha finanziato un sacco di jihadisti, ha contribuito al jihad afghano, costituito campi di addestramento quando gli Stati Uniti, allora, certamente incoraggiavano questa tendenza. Ma, in fin dei conti, gli americani sostenevano gli afghani senza sapere che bin Laden in futuro avrebbe potuto rappresentare una minaccia per loro, sebbene ci fossero indicazioni di dichiarazioni anti-occidentali di UbL, che però decisero di ignorare».
al-Qaeda venne fondata nell’estate del 1988. Azam ne fu il padre spirituale, bin Laden il capo. Gli obiettivi dell’organizzazione furono l’imposizione della visione radicale dell’Islam e l’azione jihadista contro «gli ebrei e i crociati», vale a dire la cultura cristiana occidentale, che rinveniva la sua guida ideale negli Usa, e il rovesciamento dei regimi dei Paesi islamici, percepiti come eretici soprattutto in ragione dei loro legami con l’Occidente.
Si forma «la base»
«Bin Laden ha avviato, concepito e comandato l’organizzazione fin dal suo inizio – ha spiegato Yoram Schweitzer, capo del programma di ricerca sul terrorismo presso l’Institute for National Security Studies -. All’inizio erano un piccolo gruppo, cinque ragazzi, più in là divennero quindici: avevano solo un’idea giurare fedeltà a bin Laden e andare a combattere in Afghanistan. Devo sottolineare che non era un personaggio horror, come ad esempio Rasputin, e questo era anche il segreto del suo potere. Tutti sapevano che era un milionario, membro di una famiglia di milionari, che poteva vivere una vita tranquilla e piacevole, ma che aveva scelto di fare la guerra, un comportamento modesto e non compulsivo. Tutto ciò gli ha conferito uno status mitico, al di là delle leggende su di lui anche prima dell’11 settembre».
L’Unione sovietica lasciò l’Afghanistan nel febbraio 1989 lasciando sul campo di battaglia più di 14.000 militari uccisi, oltre all’alone mitologico sui combattenti afghani, alcuni dei quali si ritirarono. Anche bin Laden lo fece e dopo l’avventura del jihad afghano tornò in Arabia Saudita, dove però si scontrò subito con la casa regnante degli al-Saud, poiché non tollerava la presenza dei militari americani nel proprio paese, specialmente dopo la Guerra del Golfo.
1993, primo attentato alle Twin Towers
«È stato il primo ad alzarsi quando gli americani sono entrati in Arabia Saudita rifiutandone la presenza sulla sua terra – spiega il professor Ely Karmon, ricercatore presso l’Istituto per la politica anti-terrorismo dell’IDC di Herzliya – , ha anche cercato di convincere il sovrano che loro stessi avrebbero potuto espellere gli iracheni e Saddam Hussein, ma non vi riuscì». Quindi della dinastia al potere a Riyadh divenne nemico e in conseguenza delle sue azioni venne privato della cittadinanza del Regno.
«Si trasferì in Sudan, la sua importanza è grande nello sviluppo di al-Qaeda. Ha creato campi di addestramento lì, dove nei primi anni Novanta si sono addestrati anche Hezbollah e Hamas. Di fatto, ha reso la regione un centro di esportazione del jihadismo in Africa e in Medio Oriente».
Nel 1993 al-Qaeda fece notizia a seguito dell’attentato dinamitardo compiuto nel parcheggio delle Torri gemelle a New York, un ordigno del peso di seicento chili realizzato con additivi di sodio e cianuro. Si trattò del primo tentativo di far crollare le Torri Gemelle, sei persone rimasero uccise a causa dell’attacco terroristico.
1998, attentati di Nairobi e Dar es Salaam
«Nel 1998 aveva già dichiarato che stava combattendo contro gli ebrei e la guerra religiosa degli Stati Uniti – ha aggiunto Michael Barak dell’ICT -. La guerra contro i poteri che asseriva governassero il mondo ed erano responsabili dei processi in Medio Oriente».
Non passò molto tempo e il 7 agosto 1998, alle 10:30, con tempismo preciso, due camion bomba esplosero nei pressi delle ambasciate Usa a Nairobi (Kenya) e Dar es Salaam (Tanzania), provocando 223 morti e 4.000 feriti. Fu a quel punto che a Washington ci si rese conto che non c’era più scelta e che UbL andava incluso nella lista dei terroristi più pericolosi.
«Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, sono stato invitato a tenere una conferenza nell’edificio centrale dell’FBI a Washington – ha affermato il professor Ganor, già consulente in materia di antiterrorismo del primo ministro e del Ministero della Difesa israeliano -; quando ho camminato attraverso i corridoi per recarmi nella sala della conferenza, ho notato che appesi alle pareti c’erano le immagini dei terroristi. Mi sono soffermato davanti alla foto di bin Laden e ho letto tutti i suoi dettagli identificativi: altezza, colore dei capelli, eccetera; poi ho visto che sotto c’era scritto “professione sconosciuta”. A quel punto ho iniziato a ridere, così qualcuno mi ha chiesto il perché e io gli ho risposto che la sua occupazione era molto noto, era un terrorista a tempo pieno. Bin Laden era un professionista nel senso negativo del termine: mangia, respira e pensa costantemente al terrorismo».
2000, attacco alla USS Cole nello Yemen
Al-Qaeda operava in diversi paesi mediante cellule terroristiche, organizzazioni locali e alleati. «L’ISIS – ha sottolineato Barak – prima della sua istituzione veniva chiamato al-Qaeda in Iraq e sotto Abu Musab a-Zarqawi giurò fedeltà a Bin Laden. Quest’ultimo all’inizio non lo conosceva neppure, un aspetto che dimostrava soltanto la sua forza e l’aura guadagnatasi dai jihadisti».
La spedizione di Al-Qaeda nello Yemen viene considerata la più pericolosa. Nell’ottobre del 2000 vennero inviati nel Paese arabo due attentatori suicidi che attaccarono il cacciatorpediniere americano USS Cole, che aveva appena attraccato al porto di Aden per fare rifornimento di carburante. Quindici membri dell’equipaggio perirono nell’attacco; al-Qaeda rivendicò la paternità dell’azione.
«Era la figura dominante, ma oltre alla strategia egli elaborò anche delle micro-tattiche – ha proseguito Schweitzer -, è stato coinvolto in attacchi terroristici anche in quanto ispiratore degli attentatori. Ha determinato lui la composizione dei gruppi di attentatori suicidi che agirono in Kenya e Tanzania. Per quanto concerne poi gli attacchi dell’11 settembre, sappiamo che insistette affinché venisse colpita la Casa Bianca e, dopo che gli venne fatto capire che era impossibile, chiese che venisse danneggiato l’edificio del Congresso. D’altra parte, quando il comandante operativo di al-Qaeda sul terreno glielo fece presente, solo per questo compromise la propria posizione. Dalle sue lettere si evince che ha trattato ogni sorta di aspetto».
9/11 un’operazione inimmaginabile
Nonostante fosse noto il grado di pericolosità di UbL, nessuno si aspettava la tremenda sequenza di attacchi terroristici compiuti l’11 settembre 2001, che causarono la morte di 2.977 persone. Un colpo inimmaginabile nel cuore del cuore dell’allora unica superpotenza mondiale.
«In seguito mi recai casualmente a Gerusalemme ed ebbi un incontro col primo ministro Ariel Sharon – ha rivelato Halevi -, e nel bel mezzo di una riunione mi chiese se avevo captato qualcosa di grande su quello che era successo e io gli risposi che non avevo idea di cosa si trattasse, così Sharon mi disse di andare in fretta in ufficio e iniziare a lavorarci su. Bin Laden aveva portato a termine un’operazione che non si poteva immaginare come umanamente possibile».
Un mese dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre gli Usa attaccarono l’Afghanistan, lo invasero e, infine, rovesciarono l’Emirato dei talebani. Il loro scopo era quello di chiarire il più possibile cosa fosse al-Qaeda e quali fossero le sue attività.
«L’organizzazione ha avuto un problema – ha aggiunto Schweitzer – perché gli americani hanno iniziato a eliminare i suoi comandanti uno dopo l’altro, anche prima di colpire bin Laden. Eliminazioni mirate rese possibili dall’intenso lavoro dell’intelligence. Catturarono anche alcuni elementi di vertici, che poi imprigionarono a Guantanamo; bin Laden era consapevole del pericolo e quindi dette istruzioni esplicite dal suo nascondiglio preoccupato per i suoi familiari e per la falcidia dei “quadri” della sua organizzazione».
Il conferimento «necessitato» della leadership ad al-Zarkawi in Iraq e Giordania
Ma gli americani non riuscirono a scovarlo dai suoi nascondigli. Nel dicembre del 2001 ricevettero informazioni che ne indicavano la presenza a Tora Bora, nelle grotte dell’Afghanistan orientale, tuttavia, anche a seguito di intense ricerche e continui scontri con la guerriglia non riuscirono egualmente a localizzarlo.
UbL, sentitosi braccato, ridusse l’intensità delle comunicazioni con i suoi e delegò parte del comando al suo braccio destro, il medico egiziano Ayman al-Zawahiri, ma dal suo nascondiglio in Pakistan gli fu difficile controllare i vari rami dell’organizzazione, al punto che – secondo il professor Karmon – «al-Zarqawi negoziò con lui e con al-Zawahiri per un anno intero nel tentativo di essere nominato ufficialmente “emiro” di al-Qaeda in Iraq».
«In quel periodo – prosegue Karmon – numerosi elementi di al-Qaeda, inclusi i membri della famiglia di bin Laden, si trovano in Iran, dunque, aveva interesse che al-Zarqawi non iniziasse ad prendere gli sciiti quali obiettivi chiave delle sue attività in Iraq. Però bin Laden non ebbe scelta, poiché in Iraq allora non esisteva un possibile leader alternativo ad al-Zarqawi e, dunque, si vide costretto a conferirgli la nomina. Il giorno dopo al-Zarqawi diffuse un messaggio fotografico nel quale affermava di essere il “responsabile di al-Qaeda in Giordania, Siria, Libano, Iraq e Palestina».
L’assenza di Palestina e Israele dai piani di UbL
Ma, Palestina e Israele davvero non figuravano nei piani operativi di bin Laden? «Ho letto i documenti di bin Laden e da essi emerge che la Palestina per lui rappresentava la quarta priorità e, a causa di questa scala di importanza, venne persino criticato».
Prosegue al riguardo il professor Karmon: «Per UbL la cosa più importante era contrastare l’influenza americana nel Golfo Persico e in Africa, non pensava che la Palestina meritasse lo stesso ordine di importanza. Dopo che gli americani iniziarono a infiltrare l’organizzazione e a colpirla, nel 2002 arrivarono una serie di attacchi terroristici e gli ebrei divennero il bersaglio. Un attacco terroristico alla sinagoga di Djerba in Tunisia, poi in un hotel di Mombasa. Provarono anche ad abbattere un aereo dell’Arkia. Perché la questione era divenuta importante per al-Qaeda? Perché in quella fase si registrava il successo di Hamas e della sua campagna terroristica basata sugli attacchi suicidi. Insomma, in una certa misura erano entrati in competizione con l’organizzazione fondamentalista islamica palestinese. Nel 2010 al-Qaeda iniziò a diffondersi in Tunisia e anche in altri Paesi arabi che erano stati interessati dal fenomeno delle cosiddette Primavere arabe; ci furono colpi di stato in Egitto e Yemen, mentre una guerra civile divampò in Siria».
«Le Primavere arabe furono un regalo per al-Qaeda», di questo ne è convinto il dottor Barak. «Non appena crollarono quegli odiati regimi ad al-Qaeda si aprì un’ampia porta e l’organizzazione di UbL poté rafforzare le proprie strutture locali e stabilire nuove propaggini dove prima non c’erano. Guardate cosa succede in Mali oggi: una catastrofe; al-Qaeda è considerata una forza seria grazie alle alleanze con gli altri gruppi jihadisti».
al-Qaeda dopo la morte del suo leader
Ma bin Laden non fece in tempo a compiacersi dei risultati della sua azione conseguita alle Primavere arabe, poiché sei mesi dopo gli americani lo eliminarono in Pakistan.
Ha affermato il professor Genor che «vi sono due componenti problematiche in un’azione del genere: la sua efficacia e la sua moralità. L’eliminazione fisica è davvero efficace? Alcuni direbbero che “contrastare produce quello che nella letteratura professionale viene definito l’effetto boomerang, perché in questo modo si alimenta la motivazione dei terroristi alla vendetta. Lo abbiamo visto con l’ingegnere Yahya Ayash, con la serie di attacchi suicidi in ritorsione dopo la sua eliminazione, o nel caso di Abbas Musawi, leader di Hezbollah assassinato nel 1992, che in breve tempo ha fatto registrare un eclatante attacco terroristico contro l’ambasciata Israeliana in Argentina, attacco che probabilmente non sarebbe stato compiuto se Musawi non fosse stato ucciso».
«A proposito – ha quindi egli aggiunto -, un altro interrogativo sorge riguardo all’efficacia: chi sarà l’erede di questi capi terroristi? Sicuramente la liquidazione di Musawi, per quanto giustificata possa essere stata, ha portato al vertice di Hezbollah un leader molto più pericoloso e abile, cioè Hassan Nasrallah. Si tratta di quesiti che con ogni probabilità si sono posti anche gli americani prima di eliminare bin Laden e, in retrospettiva, non registriamo attacchi in ritorsione, ma questo soltanto perché, almeno apparentemente, la liquidazione di bin Laden è avvenuta in una fase nella quale la sua organizzazione si trovava in difficoltà, cioè quando al-Qaeda, pur volendo compiere attacchi, non era tuttavia in grado di farlo neppure prima che il suo leader venisse ucciso, figuriamoci quindi dopo la sua morte. Inoltre, in seguito si è visto come neppure al-Zawahiri, il suo successore, non è riuscito a risollevare l’organizzazione, dunque, se ne deduce che l’eliminazione di UbL è stata efficace».
Le «esecuzioni mirate»
«Si afferma spesso che questa “è una pena di morte” e, una tale estrema punizione dovrebbe essere comminata da un tribunale, piuttosto che in forza della decisione assunta da un presidente. una risposta a questa obiezione è che non si tratta di una pena di morte, ma di un’azione operativa concepita allo scopo di contrastare eventuali attacchi terroristici futuri e non punire per ciò che è stato fatto in precedenza. Non penso – prosegue Genor – che gli americani non si siano posti questi interrogativi di natura morale».
Dopo la morte di bin Laden al-Qaeda non si è più ripresa, al-Zawahiri, l’erede dello «sceicco del terrore», si è rivelato carismatico, ma molto lontano dal magnetismo del suo predecessore, dunque si andato creando un vuoto, colmato in seguito in Iraq da Abu Bakr al-Baghdadi.
Islamic State è fondamentalmente diverso da al-Qaeda. Se l’organizzazione di Bin Laden intendeva reclutare in franchising in diversi paesi, IS ha costituito il proprio potere sul territorio occupati.
Secondo Michael Barak «IS ha sfruttato la figura di bin Laden per colpire la stessa attuale leadership di al-Qaeda, pronta a collaborare con i talebani afghani, che sono in trattative con gli Usa in Qatar, ritenuti quindi eretici. IS si appella ai sostenitori di al-Qaeda e gli dice che oggi stanno combattendo agli ordini di una leadership corrotta che non vuole il jihad. Usano bin Laden come strumento in una polemica religiosa nella competizione in atto con al-Qaeda».
Superstiti e nuove leve
Oggi anche IS ha però perduto gran parte delle proprie forze e anche al-Baghdadi ha trovato la morte per mano degli americani nell’ottobre 2019, a Idlib, in Siria, dove la Delta Force lo hanno eliminato. Rimane ancora in vita il leader carismatico di al-Qaeda al-Zawahiri, nonostante sul suo capo sia stata posta da tempo una taglia milionaria, tuttavia, negli ultimi anni l’organizzazione che fu di UbL non si è posta in evidenza per il compimento di attacchi terroristici in Occidente.
Afferma Barak che, «dopo l’assassinio di bin Laden, al-Zawahiri ha rivisto la strategia dell’organizzazione e, al fine di mantenere il proprio potere, ha iniziato a perseguire una politica più accomodante nei confronti delle altre organizzazioni jihadiste per rafforzare la base. Nel 2013 ha pubblicato un documento definito “Linee generali per il jihad”, una sorta di codice per i membri di al-Qaeda che potrebbe però essere diretta anche alle fazioni jihadiste che combattono contro i governi dei loro paesi ma che non sono affiliate con al-Qaeda».
«Ayman al-Zawahiri ha affermato di non avere alcun problema nel collaborare, dal momento che “c’è un nemico comune”, ma un volta al-Qaeda avrebbe detto: “O sei con noi o sei contr di noi”; al-Zawahiri sta cercando di mostrare un volto sorridente ad altri giocatori presenti sul campo nel tentativo di accrescere il sostegno nei suoi confronti. Oggi flirta anche con i Fratelli musulmani, qualcosa che prima non sarebbe mai successo, mentre nello stesso documento lancia un appello: “Non fate del male a sciiti o cristiani a meno che non portino armi e non vi combattano”. Egli, nel dopo-bin Laden, cerca di evitare di creare antagonismo tra gli altri gruppi, ponendosi l’obiettivo principale di rovesciare i regimi locali, il “nemico vicino”, come da loro viene definito, mentre durante il periodo di bin Laden c’era anche un focus sul nemico lontano».
Il «nemico lontano»
«Negli Stati Uniti, in Israele sicuramente non vengono più compiuti attacchi delle dimensioni di quelli del passato, ma questo non significa che non continuino a provarci attraverso i lupi solitari in Occidente. Questo lo si riscontra dalla propaganda di al-Qaeda nelle varie piattaforme nel web, perché sanno che i musulmani che vivono in Occidente conoscono la lingua, la cultura e i luoghi. Non hanno problemi di assimilazione e possono compiere un attacco suicida o un’azione terroristica di altro genere; al-Zawahiri è riuscito in una certa misura a rafforzare l’organizzazione in alcuni luoghi, ma non in tutti».
Spiega il professor Emmanuel Sivan che: «È vero che la capacità dell’organizzazione dal momento della morte di bin Laden risulta limitata, tuttavia gode ancora di un’eredità vivente sotto forma di due torri crollate, un’eredità sulla quale i giovani vengono educati. Un piccolo paese come la Tunisia, avviato alla democratizzazione, ha visto partire dal suo territorio più di 3.000 volontari dell’IS. L’eredità è il ricordo di alcune persone che affermano di voler cercare di fare lo stesso».
Nessuno in seno all’amministrazione Usa riteneva che il terrorismo islamista sarebbe scomparso con la morte di bin Laden, poiché il meccanismo è in grado di riprodurre ogni volta un nuovo leader.
«Il terrorismo moderno è una specie di guerra psicologica – ha concluso il professor Ganor -; i terroristi possono vincere o perdere non sulla base della quantità di attacchi effettuati, né sul numero di persone uccise, tutti questi aspetti sono soltanto un mezzo per raggiungere un obiettivo più grande, si tratta della paura, dell’appello alla sicurezza personale e nazionale. Teoricamente si può creare una situazione dove si verifica una sofferenza per il terrorismo, ma quando la gente dimostra di essere resiliente, allora il terrorismo non vince. Al contrario, si può venire colpiti da un grave attacco che incide sull’economia facendola crollare, così per quanto riguarda il turismo, fiducia in sé stessi o la borsa, in questi casi i terroristi possono vincere. Nelle considerazioni svolte dall’antiterrorismo c’è la comprensione che questa è una guerra morale e psicologica. L’eliminazione di bin Laden equivaleva anche a mostrare al pubblico che si può tornare a una vita normale con la testa del mostro tagliata, ma tenendo ben presente che mostro sa come farsi crescere nuove teste».
L’eliminazione di bin Laden è stata un successo?
«Gli americani dovrebbero essere molto soddisfatti del risultato, non credo che qualcuno si sia illuso di sradicare il terrorismo; al-Qaeda in quel momento stava già conoscendo la sua fase di declino e non era in grado di riprendersi dai colpi che gli erano stati inferti. L’eliminazione del suo capo carismatico ha così contribuito a degradarla ulteriormente. Una situazione nella quale si trova anche il Daesh da più di due anni, trasformatosi organizzazione terroristica ibrida che controllava un territorio in classica organizzazione terroristica che non riesce a riprendersi. La domanda che tutti gli esperti si pongono è la seguente: cosa succederà riguardo alle motivazioni e alle energie? Nessuno pensa che l’Islam radicale, che il terrorismo sia finito, perché troverà nuovi territori per sé stesso, attivisti e nuove organizzazioni per continuare a operare attraverso di loro».