POLITICA, socialisti. Francesco De Martino, una rilettura attraverso la critica al craxismo

Pubblichiamo l’intervista di Giovanni Parrella con Marco Zanier, curatore del libro “Il socialismo e il futuro della sinistra”, nella quale si affronta il controverso tema dell’unità tra socialisti e comunisti

   Parrella – Nel suo libro parla di Francesco De Martino come un uomo di grande cultura e un fine politico che, però, troppo presto è stato dimenticato dalla politica e dalla cultura del nostro Paese: come mai questo immeritato oblio?

   Zanier – Questo è vero solo in parte. Fino al 2002, anno della sua morte, è stato oggetto di interviste importanti come quella di Sergio Zavoli nel 1998 (“Intervista sulla Sinistra italiana”, edita da Laterza), da alcuni giornali ed è stato al centro di alcuni convegni sulla sua storia politica e sul suo socialismo.

Certamente è stato più amato dai comunisti che hanno fatto la svolta della Bolognina, forse anche perché negli ultimi anni si era avvicinato ai Democratici di Sinistra, che dai socialisti rimasti orfani di Craxi, morto appena due anni prima, che li aveva portati ad un autonomismo autoreferenziale incentrato sulla sua figura di leader.

Certamente sono stati più bravi a portare avanti il ricordo di Bettino i figli di Craxi che sono rimasti in politica, facendo passare la loro battaglia come la difesa del socialismo italiano.

A questo si uniscono altri fattori: non dimentichiamoci che Guido De Martino nel 1977 fu anche oggetto di un misterioso rapimento avvenuto nel momento in cui si parlava di eleggere suo padre Presidente della Repubblica… Certamente poi è pesata molto nel mondo socialista la vulgata, fatta girare ad arte nel partito di allora, secondo cui il Psi De Martino nelle elezioni del giugno 1976 avrebbe avuto un crollo elettorale che Craxi avrebbe superato vigorosamente poi, cosa assolutamente non vera e facilmente verificabile confrontando quel risultato con le precedenti elezioni del 1972 e con quelle successive del 1979: il bacino del Psi era sempre poco sotto il 10 per cento.

 

   Il Psi non era solo Craxi. Il Psi e a maggior ragione gli ideali socialisti non sono finiti con la morte di Craxi e del craxismo. Cosa rimane oggi della cultura politica socialista?

Se i socialisti sono ininfluenti oggi e hanno vertici incapaci di far pesare la migliore storia socialista e il suo grande patrimonio ideale nella politica di oggi, che avrebbe tanto bisogno di socialismo, la cultura e la ricerca storica sul socialismo sono particolarmente attive e producono libri e riviste di settore di grande qualità.

Le ricerche di Stefano Caretti che hanno portato alla luce tutti gli scritti e i carteggi di Giacomo Matteotti, la ricostruzione ben fatta di Paolo Bagnoli di una figura importante come Tristano Codignola, i molti studi sul pensiero di Carlo Rosselli o su quello di Lelio Basso, la bella biografia di Aldo Agosti su Rodolfo Morandi o il più recente libro di Paolo Franchi sugli ultimi diari di Nenni e potrei continuare.

I socialisti oggi sono appassionati lettori del pensiero politico socialista, amano molto discutere fra loro e pensano spesso a tornare a giocare un ruolo attivo nella politica di oggi. Manca secondo me o un partito socialista conseguente con le sue radici e la sua lunga storia o semplicemente una politica di respiro socialista nell’attuale sinistra.

 

   De Martino riconosce al Partito comunista italiano, e in particolare a Enrico Berlinguer, la volontà di distaccarsi dal modello sovietico e, in questo modo, si potevano creare le condizioni per un riavvicinamento tra Psi e Pci. De Martino lottò, anche all’interno del suo partito, per un riavvicinamento tra socialisti e comunisti. Craxi al contrario pensava di sostituirsi al Pci fagocitandolo quando l’Urss sarebbe ormai crollata. Possiamo dire che quella di Craxi fu una scelta scellerata che danneggiò non solo il Psi? E forse De Martino aveva avuto maggiore lungimiranza soprattutto nel leggere il quadro politico italiano e internazionale? 

Certamente. De Martino si espose molto nel famoso editoriale sull’«Avanti!» del 31 dicembre 1975 (“Soluzioni nuove per una crisi grave”) quando da segretario del Psi, di un partito cardine dell’allora coalizione di centro-sinistra, mise in discussione la maggioranza di governo, perché la Dc era sorda alle istanze del Psi e convinta di poter lasciare indefinitamente all’opposizione un partito in forte crescita come il Pci. Posizione che ripropose al XXXX congresso del Psi con la mozione unica dell’Alternativa di sinistra con al centro i socialisti.

A fine congresso venne riconfermato segretario, ma a luglio di quell’anno fu messo da parte, sostituito da Bettino Craxi che trasformò radicalmente la struttura politica del partito e il quadro delle sue alleanze.

Ma De Martino non smise di fare politica, pur non avendo più un ruolo attivo nel partito.

Penso al suo intervento del 1982 alla Conferenza programmatica del Psi in cui consigliava di non trasformare eccessivamente il partito, penso al suo scritto dello stesso anno pubblicato da «Rinascita» in cui dialogava col Pci di Berlinguer indicando ai socialisti la strada di una “terza via” da costruire assieme e intermedia tra comunismo e socialdemocrazia, che lui preferiva chiamare “nuovo socialismo”; soprattutto riconosceva a Berlinguer di aver operato una scelta di campo, ossia prendendo le distanze dall’Urss e rivendicando la scelta democratica del Pci.

In una sua intervista del 1985 a un giornalista de «l’Unità», dopo cioè la morte del segretario comunista, disse chiaramente che riteneva superati i motivi che portarono alla scissione di Livorno.

Aveva sicuramente visto lungo, già nel 1975, compreso cioè che si stava creando la possibilità di dare spazio alla sinistra che cresceva nel Paese, ricollocando gradualmente il peso decisionale della Democrazia cristiana e gettando le basi per una graduale trasformazione in senso socialista della società e del mondo produttivo italiano.

Credo si sia persa una grande opportunità, un po’ per colpa del Psi di allora che mise nell’angolo De Martino, un po’ per l’attenzione quasi esclusiva del Pci di Berlinguer nei confronti della Dc.

 

   Francesco De Martino fu stretto tra due strategie politiche tra loro agli antipodi: da un lato la fase del “compromesso storico”, che vide un dialogo serrato tra Pci e Dc a scapito del Psi, dall’altro la proposta di Craxi dell’unità socialista della fine degli anni Ottanta,  che si prefigurava di fatto come resa del Pci. Si può dire che De Martino si trovò in una difficoltà estrema nella sua battaglia di unità tra socialisti e comunisti, visto che entrambe le strategie avevano in comune il venir meno del dialogo tra socialisti e comunisti?

È vero, a De Martino il “compromesso storico” non piaceva. Soprattutto per il suo carattere storico, ossia stabile, duraturo. Lui era per gli “equilibri più avanzati”, anche se questa formula disse di non averla mai pronunciata, ossia per uscire dalla staticità della formula del centro-sinistra di allora attraverso un coinvolgimento temporaneo in una qualche forma dell’allora Pci, anche se escludeva che una personalità comunista potesse guidare la coalizione di governo nell’Italia di allora.

Era entrato nel Psi nel 1947 aderendo alla corrente di Lelio Basso ed era stato eletto sempre coi voti uniti dei comunisti e dei socialisti, dal 1948 in poi. Certo non intendeva l’unità coi comunisti nel modo in cui la avrebbe intesa Craxi.

Quando a un certo punto De Martino si trovò isolato fra i socialisti, questo non gli impedì di elaborare compiutamente una teoria per il socialismo fra le più interessanti oggi.

Penso soprattutto a “Il pessimismo della storia e l’ottimismo della ragione”, il suo ultimo libro, pubblicato nel 1989 per l’editore Gaetano Macchiaroli, ora pressocché introvabile, in cui riscopre le sue radici marxiste e traccia un percorso per i socialisti di domani.

Voglio dire che nelle difficoltà oggettive in cui si trovò per il prevalere del craxismo, si ritrovò a riflettere sul presente, la sinistra e le nuove generazioni, arrivando spesso a conclusioni sorprendenti, per il lettore di oggi.

 

   Il suo libro ha un titolo suggestivo e impegnativo: “Sul socialismo e il futuro della sinistra”. Quanto sono attuali le riflessioni di De Martino per un socialismo del terzo millennio?

Il libro dei suoi scritti che ha pubblicato la Biblion e che io ho curato vuole illuminare, a oltre quindici anni dalla sua scomparsa, il pensiero di una grande figura del socialismo italiano e mostrare la sua competenza di storico, non solo dell’antichità, ma anche della politica socialista, che descrisse peraltro con acume e rigore in “Un epoca del socialismo”, edito da La Nuova Italia nel 1983.

Nel libro sono molte le suggestioni ancora molto attuali. Una fra tutte, nell’intervista realizzata da Sergio Zavoli nel 1998, questa frase:

«Sono certissimo che la sinistra domani esisterà in forme differenti da quelle del secolo che volge al termine. Quanto più avanzerà il progresso tecnico ed i mezzi oppressivi della libertà dell’uomo, invisibili o palesi, accresceranno il potere in tutti i campi, da quello economico a quello politico, tanto più si creeranno le condizioni più favorevoli per la sinistra. Vi è però una condizione necessaria: che essa sia in grado di affrontare i grandi problemi dell’epoca nuova, senza rincorrere la destra e magari divenire ancora più individualista e liberista di essa. Voglio dire che la risposta della sinistra deve essere originale e inconfondibile».

Se ci pensiamo, sembra parlare alla politica di oggi, presagendo il male oscuro che avrebbe afflitto la sinistra italiana.

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