POLITICA, documenti e storia. «Bisogna smettere di armare il mondo»: il carteggio tra Giulio Andreotti e Giorgio La Pira (1950-1977)

Il volume di Augusto D’Angelo, prefato dal cardinale Matteo Maria Zuppi, è stato presentato lunedì 26 febbraio a Roma presso Palazzo Firenze, sede centrale della Società Dante Alighieri; insidertrend.it era presente con i suoi microfoni (registrazione audio A615). Si tratta della raccolta del carteggio completo tra questi due protagonisti della politica italiana della seconda metà del Novecento, due figure differenti per atteggiamento e vocazione che, tuttavia, non hanno mai smesso di cercare un confronto. Lo scambio non solo svela i loro caratteri, offre altresì una visione da una prospettiva inedita degli eventi che a partire dagli anni Cinquanta caratterizzarono la vita del Paese. Scritti che conservano una straordinaria attualità

Giorgio La Pira e Giulio Andreotti, due personalità così diverse ma spesso intensamente vicine, si incontrarono per la prima volta nel 1937 al congresso della Fuci (gli universitari cattolici) a Firenze, con il primo, già docente di Storia del Diritto romano da quattro anni, che si affacciava alla politica. Allora era ancora forte il regime fascista, che però stava per avventurarsi nella sua fase più cupa e mortifera, segnata dapprima dalle leggi razziali del 1938 (firmate da Mussolini e controfirmate da Vittorio Emanuele III), quindi poi dalla lunga guerra combattuta al fianco di Hitler che condusse alla sconfitta e alla distruzione del Paese.

L’INCONTRO FRA LA PIRA E ANDREOTTI

E fu sempre durante il periodo della guerra che i due si sarebbero poi rivisti, nel corso del lungo inverno a cavallo tra il 1943 e il 1944,  quando Roma era sotto l’occupazione militare tedesca. Avvenne alla Mensa del Povero. I poveri. Gli «ultimi», che a tal punto segnarono l’esistenza e il pensiero di questo politico e religioso nato nella Sicilia più profonda, a Pozzallo, e poi divenuto cittadino del mondo. Un uomo pio del quale, ricorrendo a un velo di benevola ironia, si potrebbe anche affermare che scrivesse davvero tanto, posto che solo ad approcciarsi ai tomi che raccolgono i suoi carteggi con i pontefici Pacelli e Montini   ci si trova davanti a pagine e pagine. Così, come scrisse numerose lettere al suo amico e compagno di partito Andreotti, missive oggi raccolte nel pregevole e interessante volume relaizzato da Augusto D’Angelo, professore di Storia del Cristianesimo contemporaneo presso Sapienza Università di Roma, che tale carteggio ha raccolto, opera prefata dal cardinale Matteo Maria Zuppi, attuale presidente della Conferenza episcopale italiana.

UN QUARANTENNIO E MOLTI PONTIFICATI

Due personalità diverse si è detto, tuttavia entrambe influenzate dalla figura di Pio XII. La Pira appassionato dei suoi sogni, seppure a tratti apparentemente ripetitivo, Andreotti estremamente pragmatico, introdotto in Curia e amico e sodale di monsignor Angelini, il padre della Sanità cattolica che Montini guardava però con molta distanza; La Pira animato da profetismo, che «legge» l’azione di Dio, la sua mano, nella cronaca quotidiana, nei fatti. E ancora, queste espressioni viventi di due diversi cattolicesimi rinvengono ulteriori elementi di differenziazione, quali ad esempio la vicinanza espressa da La Pira alle istanze riformatrici di Poletti, prelato che invece Andreotti detestava. In realtà, ripercorrendo giorno dopo giorno quel quarantennio dialettico che li accomunò, tutti e due non soltanto osservatori, bensì protagonisti di primo piano in uno scenario intenso e travagliato da eventi critici, La Pira si connota per la sua visione ecumenica ante litteram, pre-concliliare.

L’UTOPISTA E LE POLEMICHE

La Pira proteso alla pace a tutti i costi, fautore di un utopismo fiorentino che anelerà sempre al disarmo, fino a condurlo alla collisione con le gerarchie e il sistema, dunque alla sua graduale ma inesorabile esclusione dalla scena politica. Pace e ultimi, questi i due punti fondamentali della sua azione, che si inserisce nella dinamica democristiana fin dall’ultima fase degasperiana, quando i dossettiani entrano in contrasto con i vertici del partito nel 1950 (si è spesso usato il termine élite per definirli), ispirati da massimi ideali di soldarietà. Sono i mesi nei quali La Pira inizia a percepire in sé sempre più forte la spinta missionaria, uno stato d’animo che culminerà il giorno dell’epifania dl 1951, quando decise di confidarsi con l’allora Sostituto alla Segreteria di Stato vaticana Givan Battista Montini, passo che lo avrebbe condotto a divenire “portatore di pace”.

SINDACO DI FIRENZE: PAUPERISMO E STATALISMO

Quelli sono anche gli anni delle polemiche con don Sturzo sul «pauperismo» e lo «statalismo», che vede il La Pira venire tacciato di essere un «utopista assolutamente estraneo al realismo», lui, un dossettiano che per questa ragione avrebbe ingenerato preoccupazione addirittura nello stesso Dossetti. Al contrario di Giulio Andreotti, che invece non enfatizzava mai e fu sempre estremamente realista. Il 1951 segna inoltre l’inizio di un’altra fase dell’esistenza del La Pira: a seguito dei colloqui con Montini, ricorrendo all’interposizione dei buoni uffici del parlamentare comunista fiorentino Renato Bitossi, ottenne il contatto con l’Unione sovietica, preludio al suo viaggio a Mosca e, successivamente, al ricevimento dell’offerta della candidatura a sindaco di Firenze, periodo di forti attriti con Einaudi e Angelo Costa, in quegli anni presidente di Confindustria.

IL CARDINALE «ESTERNO» AL VATICANO

Tuttavia, nel corso della sindacatura la sua relazione con Andreotti si sarebbe ampliata e, quello che non a torto veniva considerato un cardinale esterno al Vaticano, divenne oggetto dell’attrazione all’orbita fiorentina. Va comunque rilevato che Andreotti non piegò mai la politica alla esclusiva «necessità dei poveri», inoltre, per quanto concernette il tema della pace, egli, certamente credente, però fu uomo del Patto atlantico e ricoprì per sette anni la carica di ministro della Difesa, giustificando l’atomica e criticando apertamente le eccessive aperture all’Est comunista. Andreotti sentì La Pira maggiore di sé nella dimensione religiosa, ma comprese certamente il valore del dialogo, con l’Europa che sarebbe dovuta divenire «una tenda di pace», valore del quale attualmente si riscontra la necessità di riferimento.

UN PERSONAGGIO SCOMODO

Si può dunque affermare che La Pira fu un personaggio scomodo del quale rimane la concretezza delle risposte ai bisogni, malgrado egli fosse convinto del fatto che la metodologia giusta era quella del «minor machiavellismo in favore di maggiore poesia», onde riuscire a scardinare gli equilibri nel corso della quotidiana ricerca di risposte. Nelle molte lettere scritte ad Andreotti e a Paolo VI, riferendosi all’utopia, che tanti gli attribuivano come connotato caratteristico dal fondo negativo, egli era solito ripetere «che la vera utopia è la guerra, interpretata essa come strumento di risoluzione dei conflitti». Ma, come accennato, la sua azione politica sempre più audace lo avrebbe portato all’esclusione dalla scena. La frattura si verificherà a seguito del suo viaggio nel Vietnam, allora in guerra con gli Stati Uniti d’America.

L’ESCLUSIONE DALLA POLITICA E GLI ULTIMI CONTATI CON ANDREOTTI

Egli rilasciò un’intervista al “Borghese” nella quale si espresse chiaramente sui fatti. Era il 1965, una fase difficile per l’Italia: esaurito il boom economico montava la tensione bipolare e, sullo sfondo, lo scenario conflittuale della Guerra fredda. La Pira propose una grande coalizione di governo per il Paese, il che significava includere anche il Partito comunista italiano. Stavolta passò il segno e non glielo perdonarono. Ma, paradossalmente, stavolta la sua fu davvero una visione, poiché quella grossa coalizione da lui auspicata sarebbe stata concretamente realizzata da Andreotti, Moro e Berlinguer alcuni anni dopo. Lui non ce l’avrebbe fatta a vederla, morirà il 5 novembre del 1977. Otto mesi dopo il suo ultimo personale incontro con Andreotti, quando appunto auspicò la formazione di un esecutivo di unità nazionale, e duemesi dopo avergli inviato l’ultimo telegramma, dove gli parlò della regolamentazione dell’aborto, tema che fu uno dei suoi assilli.

IL VOLUME SUL CARTEGGIO

Il volume di Augusto D’Angelo, edito per i tipi di Polistampa, propone il carteggio completo tra questi due protagonisti della politica italiana della seconda metà del Novecento, due figure differenti per atteggiamento e vocazione che, tuttavia, non hanno mai smesso di cercare un confronto. Lo scambio non solo svela i loro caratteri, offre altresì una visione da una prospettiva inedita degli eventi che a partire dagli anni Cinquanta caratterizzarono la vita del Paese. La presentazione dell’opera ha avuto luogo lunedì 26 febbraio 2024 a Roma presso Palazzo Firenze, sede centrale della Società Dante Alighieri. Assieme all’autore sono intervenuti il professor Andrea Riccardi (presidente della Società Dante Alighieri), la professoressa Patrizia Giunti (presidente della Fondazione La Pira) e il cardinale Marcello Semeraro (prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi).

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Giulio Andreotti – Giorgio La Pira. Carteggio (1950-1977) di Augusto D’Angelo, con la prefazione del Card. Matteo Maria Zuppi (Polistampa 2023, collana “I Libri della Badia” – Fondazione “Giorgio La Pira”).

A615 – POLITICA, DOCUMENTI E STORIA: «BISOGNA SMETTERE DI ARMARE IL MONDO», il carteggio tra Giulio Andreotti e Giorgio La Pira (1950-1977). Il volume di AUGUSTO D’ANGELO, edito per i tipi di Polistampa, propone il carteggio completo tra questi due protagonisti della politica italiana della seconda metà del Novecento, due figure differenti per atteggiamento e vocazione che, tuttavia, non hanno mai smesso di cercare un confronto.
Lo scambio non solo svela i loro caratteri, offre altresì una visione da una prospettiva inedita degli eventi che a partire dagli anni Cinquanta caratterizzarono la vita del Paese. La presentazione dell’opera ha avuto luogo lunedì 26 febbraio 2024 a Roma presso Palazzo Firenze, sede centrale della Società Dante Alighieri. Assieme all’autore sono intervenuti il professor ANDREA RICCARDI (presidente della Società Dante Alighieri), la professoressa PATRIZIA GIUNTI (presidente della Fondazione La Pira) e il cardinale MARCELLO SEMERARO (prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi).
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