In una magnifica giornata di sole dell’ottobre 1973, all’ambasciata italiana al Cairo, si incontrano un rappresentante dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Said Wasfi Kamal, e due diplomatici italiani, Ranieri Tallarigo e Concetta Di Stefano in Grignano.
L’uomo dell’Olp dice ai suoi ospiti: «Siamo pronti a siglare un’intesa: voi ci ridate i cinque fedayn arrestati a Roma a gennaio, noi non colpiremo gli obiettivi israeliani sul vostro territorio. La stretta di mano è scontata poiché l’accordo conviene a tutti».
Questa la ricostruzione del fatto pubblicata da Stefania Limiti nel suo ultimo saggio dal titolo “Arafat. Il sovrano senza Stato”, edito da Castelvecchi.
Si tratta del sostanziale avvio del cosiddetto «lodo Moro», che sarebbe stato poi perfezionato e consolidato sul campo dal colonnello Stefano Giovannone, capocentro Sismi a Beirut, la capitale libanese, secondo il quale in virtù di quell’accordo segreto l’Italia avrebbe vissuto «sette anni di tregua» dal terrorismo palestinese.
È opinione dell’autrice che quella decisione presa nel 1973 provocò immediatamente una ritorsione, ella infatti scrive nel suo libro che: «La liberazione dei fedayn darà luogo a una feroce reazione di vendetta di Tel Aviv, con l’abbattimento dell’aereo Argo 16 usato per il loro trasferimento al Cairo».
L’inchiesta, condotta dell’allora giudice istruttore Carlo Mastelloni, avrebbe portato’ all’incriminazione – tra gli altri inquisiti – del capo dell’intelligence israeliana Zvi Zamir, in seguito assolto.
Il velivolo in uso al servizio segreto militare italiano Argo 16 precipitò a Marghera nel novembre 1973, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio. Nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Venezia nel 1999 si afferma che si trattò di un incidente.
L’accordo raggiunto nell’ottobre del 1973 non riuscì tuttavia a entrare subito in vigore, in quanto i terroristi palestinesi colpirono duramente all’aeroporto romano di Fiumicino il 17 dicembre di quello stesso anno, sparando all’impazzata nel terminal e uccidendo trentaquattro persone, prendendo poi in ostaggio alcune persone e dirottando un aereo della Lufthansa su Atene, Damasco e infine sul Kuwait, Paese nel quale Arafat aveva vissuto tra il 1958 e il 1964.
Ma i terroristi non vennero processati nel piccolo e straricco emirato del Golfo Persico, perché nel 1974 l’egiziano Anwar al-Sadat ne permise il trasferimento al Cairo sotto la responsabilità della stessa Olp e da quel momento di loro si persero le tracce.
Da allora il lodo Moro avrebbe continuato a restare in vigore anche dopo l’omicidio del presidente della Democrazia cristiana, commesso dalle Brigate rosse nel 1978.
Dal canto suo, Giovannone lasciò il Sismi tre anni dopo e l’allora capo dei servizi segreti, il generale piduista Giuseppe Santovito, lo rimpiazzò inviando nella capitale libanese il faccendiere Francesco Pazienza.
«Dovevo aprire la strada per un incontro di Arafat con il papa – ha affermato lo stesso Pazienza nel corso di un incontro avuto con l’autrice -, mi impegnai con i palestinesi a patto che loro garantissero la prosecuzione degli accordi fatti sin dai tempi di Moro. Stabilii con loro una sorta di “lodo Pazienza”, era il gennaio del 1981. Gli americani e gli israeliani sapevano tutto. Questo lo dissi anche ad Arafat, perché giocavo a carte scoperte».
Il primo incontro che Arafat ebbe con Karol Wojtyła avvenne in effetti il 15 settembre 1982.
Nel condurre la sua minuziosa ricerca la Limiti ha attinto informazioni anche dai diari di Giulio Andreotti, ai quali ha potuto avere accesso poiché messile a disposizione dalla figlia dell’uomo politico democristiano Serena.
In quelle pagine Andreotti ha riportato le numerose difficoltà incontrate nel corso della preparazione della visita di Arafat in Italia.
Vi si legge infatti che il Presidente della Repubblica Sandro Pertini ne fu entusiasta, mentre l’allora Presidente del Consiglio, il repubblicano e filo-israeliano Giovanni Spadolini, non ne volle assolutamente sapere, nonostante le insistenze di Pertini e, ovviamente, Usa e Israele espressero le loro preoccupazioni.
Oltre al Papa, il leader dell’Olp a Roma incontrò anche Pertini, i Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati (Amintore Fanfani e Nilde Iotti), il ministro degli Esteri Emilio Colombo, i segretari politici di Dc, Psi e Pci e quelli dei tre sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil).
I contenuti dell’incontro con il pontefice rimasero riservati. In futuro ce ne sarebbero stati altri.
Andreotti, per il tramite del rappresentante dell’Olp a Roma Nimer Hammad, ottenne anche di conoscere e modificare in anticipo il discorso che il leader palestinese avrebbe pronunciato a Monte Citorio.
Arafat dovette lasciare la capitale italiana in tutta fretta, perché il 16 settembre in Libano erano iniziati i massacri nei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila.
Il primo dicembre del 1982 Spadolini venne sostituito da Fanfani a Palazzo Chigi. Dopo le successive elezioni, che ebbero luogo nel 1983, al governo del Paese si insediò per quattro anni Bettino Craxi.
La visita del capo dell’Olp in Italia ebbe però un seguito di sangue: il 9 ottobre 1982 un gruppo radicale palestinese facente capo ad Abu Nidal attaccò il Tempio maggiore di Roma, al ghetto ebraico. Cinque terroristi spararono contro i fedeli in uscita dalla sinagoga e uccisero il piccolo Stefano Gaj Tachè, un bimbo di due anni e mezzo, e ferirono trentasette persone.
Abu Nidal – scrive nel suo saggio la Limiti – era stato uno dei fondatori di al-Fatah (il movimento di Arafat), da cui nel 1974 si scisse per creare The Abu Nidal Organization (Ano), attraverso la quale una sorta di “contractor free lance”.
A lui e ai suoi uomini va attribuita la responsabilità di una ventina di attacchi terroristici compiuti in diversi Paesi, che hanno fatto 300 morti e 650 feriti. Tra questi figura anche la strage di Fiumicino del 27 dicembre 1985.
Quella fu una fase nella quale i rapporti tra l’Italia e l’Olp divennero sempre più stretti.
La notte del 6 dicembre 1984 Craxi incontrò Arafat nel suo rifugio segreto di Tunisi. Il Presidente del Consiglio socialista chiese all’Olp di riconoscere la Risoluzione dell’Onu 242, promettendo in cambio il riconoscimento ufficiale italiano del futuro Stato palestinese.
«Dopo venti giorni da quella notte – scrive la Limiti – l’Italia sarebbe stata colpita tragicamente da una micidiale bomba collocata su un treno, il rapido 904. È la strage di Natale, non abbiamo mai saputo chi fossero i mandanti e gli esecutori, ma non è un caso che una delle figure più lucide del socialismo italiano, Rino Formica, allora ministro, abbia più volte spiegato il terribile evento con la pista internazionale: “Ci avvisarono con il sangue”», anche se, per la verità, la Corte di Cassazione nel 1992 condannò in via definitiva all’ergastolo i mafiosi Pippo Calò e Guido Cercola.
La Limiti ripercorre quel drammatico e poco chiaro pezzo di storia ricostruendo in maniera particolareggiata l’intera vita di Yasser Arafat, lo fa basandosi su un’abbondanza di documenti, al punto da giungere a correggere un’intervista di Oriana Fallaci del 1972.
Nel suo saggio riemerge carsicamente il “memoriale Moro”, scritto dallo statista di Maglie quando era prigioniero delle Brigate Rosse, nel quale, con riguardo alla guerra del Kippur del 1973, si afferma che «il punto, serio, di conflitto con gli americani e con Kissinger era la vincolabilità della crisi con i moduli politico-militari della Nato e l’uso di nostri punti di approdo o di atterraggio per i rifornimenti americani alla parte israeliana. Noi, con non piccolo rischio di frizione con il potente alleato, negammo, soprattutto in vista di un mancato preavvertimento e di un’adeguata spiegazione di ragioni e finalità, che quella potesse essere considerata una crisi Nato. E rifiutammo i punti d’appoggio che venivano richiesti per i rifornimenti a Israele nel corso della guerra… Il nuovo orientamento pro-arabo, o almeno più calibrato di Europa e Italia, continuò a essere mal digerito dagli americani… Questa era in larga parte la posizione personale di Kissinger che del resto non ne fece mistero e coltivò un’animosità per la parte italiana e per la mia persona, che venne qualificata – come mi fu chiarito in sede obiettiva e come risultò da episodi certamente spiacevoli – come protesa a un’intesa indiscriminata con il Pci, mentre la mia, come è noto, è una meditata e misurata valutazione politica». Moro venne poi assassinato dai terroristi delle Brigate rosse nel maggio del 1978.
La Limiti fornisce anche una valutazione affatto positiva degli Accordi di Oslo del 1993. Eppure, i Palestinesi senza Stato ottennero l’autogoverno di una propria Autorità nazionale nei territori della Striscia di Gaza e in Cisgiordania.
Come si era verificato nel passato, accordarsi con loro comportò una scia di sangue. Il premier laburista israeliano Yitzahak Rabin, uno dei protagonisti delle trattative di pace, venne assassinato da un estremista ebraico nel novembre del 1995.
Il ministro degli Esteri norvegese, Johan Jorgen Holst, mediatore nella trattativa segreta, morì nel gennaio 1994 a cinquantasei anni per un ictus.
Il 12 marzo dello stesso anno la polizia palestinese riuscì a sventare un attentato ad Arafat che avrebbe dovuto essere commesso in una strada di Gaza.
Tre anni dopo gli accordi di Oslo, nel 1996, si insediò a Tel Aviv il primo esecutivo di destra presieduto da Benjamin Netanyahu.
Se vengono eccettuate le parentesi rappresentate dai governi di Ehud Barak ed Ehud Olmert, lui e Ariel Sharon (l’altro leader del Likud) furono alla guida di Israele quasi ininterrottamente per diciotto anni.
«La vittoria della destra israeliana determinò gli anni futuri di Arafat – prosegue la Limiti – e si incistò in quell’area del mondo come un terribile cancro. Non fu un ordinario avvicendamento politico, come avviene nei sistemi elettorali bipolari. Fu l’espressione vincente di un blocco politico e sociale arrogante e in cerca di una preda, conseguenza anche di quelle enormi ondate di immigrazione dall’est, che avevano impaurito i palestinesi e drogato la società israeliana, mandando in soffitta le vecchie classi ashkenazite e facendo emergere una definizione dell’identità collettiva sempre più tribale ed etnocentrica».
Per Sharon, conclude l’autrice, «i dirigenti dell’Anp sono una banda di criminali di guerra – mentre il processo di pace del 1993 – «morì definitivamente il 28 settembre 2000, quando Sharon, con i suoi modi di fare di faccendiere arrogante e violento, aveva fatto sapere ai palestinesi che aveva intenzione di raggiungere il Monte del Tempio attraverso una bella passeggiata lungo la Spianata delle Moschee di Gerusalemme, terzo luogo santo dell’Islam. Diede seguito ai suoi propositi circondato dal suo esercito e protetto da un elicottero che gli volteggiava sulla testa. Ai palestinesi che lanciavano pietre, gli agenti e i militari israeliani risposero con proiettili antisommossa e munizioni da guerra. Sul selciato della Spianata delle Moschee lasciarono morti e feriti».
Arafat sarebbe morto per cause non del tutto chiarite dal punto di vista medico l’11 novembre del 2004.
Stefania Limiti conclude il suo libro con un’intervista a Raniero La Valle, giornalista ed ex parlamentare della Sinistra Indipendente.
«Al momento della costruzione dello Stato di Israele – afferma La Valle – il governo decise che non si doveva fare la Costituzione, perché la Costituzione di Israele è’ la Torah, la Legge biblica. Infatti Israele è uno Stato senza Costituzione: per decidere che esso è lo Stato degli Ebrei e che solo il popolo ebreo vi ha diritto all’autodeterminazione, la Knesset ha dovuto approvare nel luglio 2018 un’apposita legge di rango costituzionale. Ma forse un giorno la Torah, che è un grande testo religioso, potrà godere di un’altra lettura, che permetta la riconciliazione e la pace».
Sulla scia di queste considerazioni la Limiti conclude il suo saggio, scrivendo che, «in effetti, una visione religiosa fondata su un messaggio divino non è negoziabile, qualunque sia il nome di quel Dio. Neanche su una terra tre volte santa, dove dobbiamo sperare torni presto la ragione e la giustizia umana».
Stefania Limiti, Arafat. Il sovrano senza Stato, Castelvecchi editore, pagine 240, EAN: 9788832826692