ALGERIA, fine dell’era Bouteflika. Tintinnano le sciabole ad Algeri: i militari scaricano il vecchio presidente

ALGERIA, fine dell’era Bouteflika. Tintinnano le sciabole ad Algeri: i militari scaricano il vecchio presidente.

 

Colpo di scena atteso nella crisi algerina che vede fronteggiarsi da un lato il presidente Abdelaziz Bouteflika (meglio: il suo entourage) e dall’altro milioni di persone che da settimane manifestano nelle piazze del Paese. All’inizio la gente aveva superato il complesso della paura dei massacri del recente passato per protestare contro l’ipotesi di una nuova candidatura, l’ennesima, dell’ottuagenario e  ormai infermo presidente uscente, ora invece manifesta a causa dell’annuncio di un rinvio sine die delle elezioni che erano state indette per il prossimo 18 aprile.

 

Ma cosa è accaduto nelle ultime ore? Che i militari – che alcuni giorni fa, nel pieno della fase di stallo, avevano iniziato ad alzare la voce – stanno cercando di sbloccare la situazione dando al contempo un forte scossone all’attuale quadro politico. A farsi avanti in prima persona è stato il generale Ahmed Gaïd Salah, viceministro della Difesa e capo di stato maggiore delle forze armate algerine, che ha proposto una soluzione della crisi mediante il ricorso all’articolo 102 della costituzione, che prevede che il capo dello Stato venga destituito quando «sia totalmente incapace di svolgere le sue funzioni». Una soluzione che rientrerebbe «esclusivamente nel quadro costituzionale e che rappresenterebbe l’unica garanzia per il mantenimento di una situazione politica stabile e per prevenire nel nostro Paese qualunque tipo di situazione di incertezza politica». Secondo i militari – potente e solida componente dell’establishment algerino fin dall’immediatezza dell’indipendenza dalla Francia -, è dovere di tutti gli algerini favorire solo gli interessi supremi del Paese, per trovare immediatamente una soluzione di uscita dalla crisi.

 

Al riguardo l’articolo 102 della carta fondamentale del Paese nordafricano prevede due scenari, quello delle dimissioni del presidente (che a questo punto, però, appare un’ipotesi puramente teorica) e quello di un impedimento per motivi di salute. Quest’ultima potrebbe configurarsi come la procedura più adatta per spingere Bouteflika il più rapidamente possibile all’uscita dalla scena politica algerina, prima della scadenza del suo mandato, prevista per il 28 aprile. Resta tuttavia da capire se il Consiglio costituzionale, unica istituzione collegiale formalmente investita della competenza necessaria ad avviare la procedura di esonero suggerita dal capo dai militari, si riunirà per deliberare l’applicazione del 102, dato che a presiedere l’organismo collegiale è Tayeb Belaiz, uomo della stretta cerchia del vecchio presidente.

 

Le giustificazioni addotte dal capo dell’esercito per questo draconiano intervento che va a forzare una situazione di stallo politico, sono state quelle dei rischi per la sicurezza nazionale. Infatti, il generale Salah ha sottolineato il fatto che le proteste contro il prolungamento del quarto mandato di Bouteflika sono sì, rimaste fino a ora pacifiche, ma che «la situazione può mutare radicalmente e repentinamente», ammonendo che la piazza potrebbe venire strumentalizzata «da forze nemiche interne o esterne».

 

I militari alzano la voce, lo fanno però vestendo i panni del buon padre di famiglia dotato di buon senso, ma si comprende benissimo che vogliono evitare di gestire una fase di vuoto istituzionale alla scadenza del 18 aprile. Per questa ragione, appellandosi al rispetto delle disposizioni costituzionali hanno voluto rimarcare il principio della continuità della sovranità dello Stato, facendosi altresì garanti delle legittime aspettative del popolo algerino. Così facendo, l’Armée Populaire Algerienne e il complesso delle forze di sicurezza e dei servizi segreti – organismi che nei mesi scorsi sono stati interessati da sostituzioni ai loro livelli apicali, si ventila, proprio in vista della imminente successione a Bouteflika – si schiererebbero decisamente a fianco (e forse a capo) della protesta, a discapito del presidente e dei suoi fedelissimi.

 

 

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