ALGERIA, instabilità. La situazione alla luce della morte del generale Salah

In mezzo a incertezze di varia natura – in primis quella sulla rendita energetica – nel Paese nordafricano si apre un altro capitolo della fase di transizione del dopo-Bouteflika, con tutti i rischi del caso, non soltanto per gli algerini

I funerali dell’uomo forte dell’Algeria, il generale Ahmed Gaid Salah, sono stati molto partecipati. Migliaia di persone sono scese nelle strade della capitale per accompagnare il feretro del capo di stato maggiore e vice ministro della Difesa deceduto a causa di un infarto all’età di settantanove anni due giorni fa.

La sua ultima apparizione pubblica risale a una settimana, quando presiedette alla cerimonia di investitura del nuovo capo dello Stato.

Chiuso nella bara avvolta dalla bandiera nazionale, il vecchio e potente generale ha percorso il suo ultimo viaggio sul suolo della sua patria su un affusto di cannone trainato da un vecchio autoblindo di produzione sovietica adornato di fiori bianchi e rossi. Un corteo funebre che si è concluso al Palazzo del popolo, il luogo dove migliaia di algerini gli hanno potuto rendere omaggio.

Quella stessa folla che era permeata dall’incertezza derivante dalle prospettive future del Paese nordafricano, seppure, nei fatti, non ci sia stata una soluzione di continuità col recente passato – cioè con il dopo-Bouteflika -, poiché, nel decretare i tre giorni di lutto nazionale per la scomparsa di Salah, il presidente della repubblica Abdelmadjid Tebboune ha contestualmente nominato in sua sostituzione ad interim con effetto immediato il capo di stato maggiore delle forze terrestri, Said Chengriha.

Dunque, ancora un ufficiale dell’esercito, la forza armata da sempre dominante fin da quando il Fronte nazionale di liberazione (Fln) conquistò l’indipendenza dalla Francia all’inizio degli anni Sessanta.

Salah ha svolto un ruolo fondamentale nella difficile fase di transizione apertasi in seguito alle dimissioni dell’ottuagenario presidente Abdelaziz Bouteflika, rassegnate nell’aprile scorso per effetto della “spallata della piazza” (le manifestazioni di massa indette dal movimento al-Hirak) e, secondo alcune voci dissonanti, anche dalle manovre di palazzo ordite col sostegno dell’amministrazione Usa e dai Paesi del Golfo Persico (Sauditi in testa), che avrebbero facilitato il cambio alla guida dell’Algeria.

In questi ultimi mesi è stato il puparo che tirava i fili, l’eminenza grigia che ha deciso quale impulso imprimere alle dinamiche interne, quello che ha determinato l’indirizzo politico anche attraverso sibillini (ma raggelanti) messaggi lanciati dagli schermi televisivi quando la situazione lo ha imposto.

Egli ha funto da regista nel corso delle ultime elezioni presidenziali, che hanno visto l’affermazione di Abdelmadjid Tebboune, l’oligarca sopravvissuto alla caduta di Bouteflika.

Cosa accadrà adesso che il garante della transizione non c’è più? Sarà in grado di reggere il debole Tebboune?

Fino al divampare delle proteste popolari del febbraio scorso, un crescendo di manifestazioni oceaniche e pacifiche contro il regime che non è cessato neppure con la deposizione di Bouteflika, l’Algeria nella regione aveva rappresentato una sostanziale eccezione di stabilità a fronte degli effetti generati dalle cosiddette «primavere arabe».

Infatti Salah, espressione della cordata dei militari affermatasi nel forzoso rimpasto del deep state seguito al colpo di palazzo, da quel momento ha inciso sulle dinamiche interne algerine determinandone gli indirizzi, mantenendo tuttavia al contempo lo sguardo fisso e vigile su una piazza in fermento che è in grado di esercitare, ormai, non poche pressioni sul sistema al potere.

La gente vorrebbe che l’élite che governa l’Algeria si faccia da parte, ma questo significherebbe anche un ritiro dei militari dalla vita politica.

È noto come il Paese sia afflitto da una grave crisi economica, da una corruzione diffusa capillarmente ai vari livelli e da forme liberticide di repressione del dissenso, una situazione a tal punto difficile da non prospettare – almeno allo stato attuale delle cose – realistiche soluzioni.

La scomparsa di Salah condurrà a una riconfigurazione del quadro politico oppure il sistema di potere riuscirà ancora, magari temporaneamente, a rilegittimarsi? Possibile, però intanto le piazze continuano a riempirsi e la disoccupazione ad aumentare, soprattutto quella giovanile, e con essa anche il numero di ragazzi che fuggono dalla crisi emigrando.

Nella ricomposizione del complesso sistema di potere interno avviato nel 1999, che vide i servizi di sicurezza perdere posizioni a vantaggio dei vertici delle forze armate, la presidenza della repubblica e il suo coté ebbero l’opportunità di potenziarsi.

Un processo che, attraverso vari passaggi, alla fine della lunga autocrazia di Bouteflika portò Salah all’effettivo controllo dei servizi di intelligence. Ora, con la scomparsa del potente generale si aprono nuovi incerti scenari, nel quadro dei quali i militari suoi eredi che detengono il potere saranno costretti ad affrontare le impellenti emergenze facendo però i conti con le istanze popolari.

In primo luogo quelle relative a un minimo benessere che consenta alla gente di sopravvivere dignitosamente. L’economia algerina, asfittica e nel tempo mai diversificata, soffre di una carenza di riforme, di un controllo morboso e predatorio da parte delle élite al potere e della diffusa corruzione.

La rendita da idrocarburi alla quale si è fatto perdurante ricorso come ammortizzatore sociale dal momento in cui esplosero le primavere arabe, adesso presenta incertezze, divenendo non più proporzionata ai bisogni algerini.

Non sono soltanto le oscillazioni dei prezzi di mercato delle materie prime energetiche e la ridotta capacita produttiva nel settore a incidere su di essa, ma è anche la turbinosa crescita demografica che sottrae risorse alle esportazioni, perché l’accresciuta domanda interna di elettricità ha imposto un maggiore impiego di gas nelle centrali di generazione.

Inoltre, in Algeria sarebbero necessari forti investimenti al fine di incrementare i livelli produttivi, ma, in assenza di finanziamenti da parte di operatori esteri, non è possibile sviluppare nuovi campi estrattivi e neppure fare il recovery di quelli ormai maturi.

Le risposte ai dubbi e alle inquietudini sul futuro potrebbero pervenire da subito a seguito dell’esito degli scontri intestini al regime apertisi con l’infarto di Salah.

Le incognite all’orizzonte sono molte, a cominciare dall’atteggiamento che assumerà quella piazza che finora ha dimostrato un forte senso di responsabilità, nella consapevolezza che, in fondo, il potente generale che controllava praticamente tutto costituiva il male minore rispetto alla possibile degenerazione che avrebbe precipitato l’Algeria nel caos.

Se il Paese nordafricano dovesse piombare in una condizione di instabilità incontrollata le conseguenze sarebbero estremamente gravi anche per la sponda settentrionale del Mediterraneo, in primo luogo per l’Italia.

Esso rappresenta infatti una fondamentale fonte di approvvigionamento energetico. Ma non solo, poiché è altrettanto importante sia sul piano del controllo e della gestione dei flussi migratori che su quello del contrasto del radicalismo jihadista sul proprio esteso territorio e su quelli, altrettanto estesi, ai suoi confini.

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