MEDIO ORIENTE, conflitto a Gaza. Mediazioni: quando non muore la speranza

In momenti cupi come quello attuale, quando tutto sembra compromesso, è invece importante mantenersi lucidi e preservare acceso almeno un barlume di speranza riguardo al futuro. Magari traendo conforto da una più attenta osservazione della realtà delle cose, attività propedeutica all’esplorazione di ipotesi concretamente risolutive dalle crisi, dunque della guerra, dunque della morte. È un esercizio sicuramente difficile ma non utopistico. Al riguardo, può giovare una lettura del contesto attraverso lenti diverse, quelle dei dati di fatto forse poco considerati nell’animato dibattito di questi giorni. Abbiamo provato a farlo con un uomo del dialogo e persona competente in materia: il professor Mario Giro, autorevole esponente della Comunità di Sant’Egidio, già viceministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e attualmente docente di Relazioni internazionali (registrazione audio insidertrend.it A589)

Mentre prosegue l’offensiva israeliana contro Hamas nella striscia di Gaza, anche attraverso limitate operazioni terrestri, ieri più di trecento persone sono riuscite ad attraversare il valico di confine di Rafah e a lasciare il Territorio palestinese sotto attacco. Si tratta di paesi esteri o con doppia cittadinanza, oltreché di alcune decine di palestinesi gravemente feriti che riceveranno le cure in Egitto.

DOHA OMBELICO DEL MONDO

L’accordo che ha consentito questa evacuazione è stato mediato dal Cairo, da Washington e da Doha. Il Qatar, a lungo grande finanziatore di Hamas, si trova oggi a svolgere un ruolo importante nel difficile abbozzo di trattativa tra il movimento islamista radicale al potere nella striscia e lo Stato ebraico. Allo scopo, nel piccolo e ricco emirato del Golfo che ospita una parte del vertice di Hamas si sono recati anche l’attuale e il precedente direttore del Mossad. Ma, c’è chi solleva qualche dubbio sulla concreta capacità dei qatarini di incidere sulle scelte dei quadri politici e militari attualmente impegnati nel conflitto a Gaza, inoltre, in Israele (e non solo) non pochi ritengono necessario un esercizio di forti pressioni sull’Emirato affinché divenga «più assertivo» nella mediazione.

CHI REMA CONTRO?

Intanto l’Iran, che dalla recrudescenza in Palestina per il momento ha avuto tutto da guadagnare (è infatti saltato, o per lo meno è stato congelato, l’accordo tra Israele e l’Arabia Saudita), assiste all’azione ai fianchi di Israele posta in essere dai suoi alleati, principalmente l’Hezbollah libanese (atteso è il discorso di Hassan Nasrallah, che parlerà oggi alle ore 15:00 di Beirut), ma anche gli Houti yemeniti. È evidente che un’ulteriore incancrenirsi della situazione gioca a favore sia di Hamas che di Teheran, poiché aliena sempre più profondamente il resto del mondo arabo da Israele, portando all’impossibilità di una soluzione diplomatica del conflitto. In fondo l’attacco terroristico del 7 ottobre scorso che ha scatenato questa guerra è stato funzionale a questo scopo: impedire una (per quanto difficilissima) ridefinizione dell’architettura di sicurezza regionale che, frutto di una soluzione diplomatica della controversia sulla base del principio dei due Stati per due popoli.

UN CONTESTO OLTREMODO COMPLICATO

Questo presupporrebbe la normalizzazione delle relazioni tra Riyadh e Gerusalemme nel quadro di un accordo di più ampio respiro che «ripeschi» la vacillante Amministrazione palestinese di Mahmoud Abbas. Ma si tratta di una opzione che per venire esplorata necessità dell’annichilimento militare e politico di Hamas. Non solo, una soluzione tipo due popoli due Stati comporterebbe anche una inversione di tendenza della politica israeliana sulle colonie ebraiche in Cisgiordania degli ultimi anni, che, come è noto, costituisce un altro grande problema, per altro aggravato dagli ultimi cruenti avvenimenti. Ora, Benjamin Netanyahu è con ogni probabilità giunto al termine della sua lunga parabola politica, ma fino a quando i partiti estremisti di destra faranno ancora parte della coalizione dell’attuale governo di emergenza nazionale è impensabile, ad esempio, un ingresso in esso di Yair Lapid, possibile personalità dialogica che potrebbe giocare un ruolo in una nuova eventuale fase di (seppure difficilissimo) confronto.

PROSPETTIVE OFFUSCATE

Intanto la guerra va avanti e le forze armate israeliane martellano la striscia di Gaza nel tentativo di indebolire al massimo la struttura organizzativa e di controllo del territorio che Hamas è attualmente in grado di esprimere. Per altro, il suo livello apicale parrebbe poi non essere così coeso come invece vorrebbe fare credere la propaganda del movimento. Si evidenziano iniziali spaccature del gruppo dirigente; dall’esilio, all’estero, non sempre i capi parlano con una voce sola e, osservando in controluce la filigrana, c’è chi giunge a ritenere che alcuni di essi possano addirittura pensare di mutare l’obiettivo finale della distruzione dello Stato di Israele. Per il momento è prematuro parlare di vere e proprie fratture al vertice, tuttavia, non sono pochi quelli che ritengono che l’attacco del 7 ottobre scorso per il Movimento sia stato un passo più lungo della gamba.

UNO SFORZO DIALOGICO

Se è altrettanto impensabile un totale annientamento sul pino militare di Hamas nella striscia di Gaza, però a questo punto per i negoziatori – anche qatarini (…) «interlocutori essenziali nella facilitazione delle soluzioni umanitarie e nei loro sforzi diplomatici e cruciali in questa fase» – potrebbe essere possibile sfruttare dubbi e contraddizioni ingeneratisi nel campo di Hamas e premere per l’avvio di una trattativa, pensando in prospettiva a una soluzione di natura diplomatica, per quanto essa possa apparire difficile e per taluni improponibile.

sull’argomento, di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale della lunga e articolata intervista con il professor Mario Giro, concessa a insidertrend.it e a Radio Omega Sound nel pomeriggio dell’1 novembre 2023 (A589)

A589 – MEDIO ORIENTE, CONFLITTO TRA ISRAELE E HAMAS NELLA STRISCIA DI GAZA: quali margini sono praticabili per addivenire a una soluzione di natura diplomatica della crisi in atto?
Lo abbiamo chiesto a MARIO GIRO, autorevole esponente della Comunità di Sant’Egidio, già viceministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale e attualmente docente di Relazioni internazionali.
Mentre prosegue l’offensiva israeliana nella striscia di Gaza, anche attraverso limitate operazioni terrestri, ieri più di trecento persone sono riuscite ad attraversare il valico di confine di Rafah e a lasciare il Territorio palestinese sotto attacco. Si tratta di paesi esteri o con doppia cittadinanza, oltreché di alcune decine di palestinesi gravemente feriti che riceveranno le cure in Egitto.
L’accordo che ha consentito questa evacuazione è stato mediato dal Cairo, da Washington e da Doha. Il Qatar, a lungo grande finanziatore di Hamas, si trova oggi a svolgere un ruolo importante nel difficile abbozzo di trattativa tra il movimento islamista radicale al potere nella striscia e lo Stato ebraico. Allo scopo, nel piccolo e ricco emirato del Golfo che ospita una parte del vertice di Hamas si sono recati anche l’attuale e il precedente direttore del Mossad.
Condividi: