Malgrado il 25 luglio scorso il Comitato permanente del XIV Congresso Nazionale del Popolo abbia rimosso Qin Gang dalla carica di ministro degli Affari esteri della Repubblica Popolare cinese, Pechino non si starebbe assumendo in maniera totale una posizione di sostegno in favore della Federazione russa.
TUTTI GLI UOMINI DI XI JINPING
Infatti, la chiave di lettura prevalente che è stata data di questo avvenimento è quella dell’allontanamento di un elemento di vertice di orientamento non totalmente anti-occidentale con uno, Wang Yi (in precedenza a capo dell’Ufficio per gli Affari esteri del Comitato centrale del Pcc), invece più oltranzista e convinto della necessità di una maggiore apertura nei confronti del Cremlino, anche e soprattutto a seguito del divampare del conflitto in Ucraina. Seppure attestate su posizioni diverse, si tratta comunque di due figure apicali entrambe riconducibili alla cerchia di Xi Jinping, che del Partito comunista cinese (Pcc) è segretario generale, oltreché presidente della Commissione militare centrale e della Repubblica popolare cinese.
SCONTRO INTESTINO AL PCC
Un’improvvisa rimozione ritenuta da non pochi analisti oltremodo insolita, indice di un probabile scontro intestino al Partito tra opposte correnti collocate nella stessa fazione di Xi che, però, esprimerebbero differenti visioni prospettiche in merito alle relazioni che dovrebbe instaurare la Repubblica popolare cinese rispettivamente con Washington e Mosca. Essa andrebbe interpretata nel senso di una decisa svolta di Pechino verso Mosca? Forse no, perché la Cina Popolare è molto più integrata con l’Occidente che con la Federazione russa, e questo lo si evince in maniera palmare già attraverso una sommaria analisi comparata delle cifre relative all’interscambio commerciale, anche in una fase di crisi come quella attualmente attraversata dalla seconda più grande economia mondiale.
UN SOLDO, CENTO SOLDI
Non c’è infatti paragone tra l’Occidente e la Russia nell’interscambio commerciale e riguardo agli interessi di natura scientifica e tecnologica nutriti dai cinesi. Una realtà che, per quanto possano pesare le tendenze al decoupling e alla chiusura occidentale alle proprie tecnologie avanzate, fa pendere il piatto della bilancia a sfavore di Mosca, al netto di tutta la propaganda di circostanza del caso. Diversa è invece la conclusione che vedrebbe Xi Jinping impegnato in un’azione di bilanciamento delle relazioni del proprio paese sia con gli Stati Uniti d’America che con la Russia, ma – ritengono gli osservatori più accreditati -, si tratterebbe di una dinamica sganciata da quelle interne al Pcc che hanno portato alla rimozione del «filo-americano» Qin Gang.
PELLEGRINAGGIO A PECHINO
Conclusione che verrebbe avvalorata dalla coincidente e improvvisa serie di visite nella Repubblica Popolare di alti funzionari dell’amministrazione statunitense presieduta da Joe Biden e di altre personalità di spicco americane, giunte a Pechino allo scopo di sostenere la componente filoamericana del Partito comunista cinese. Un pellegrinaggio avviato dal direttore della Central Intelligence Agency (CIA) William Joseph Burns, seguito poi dal Segretario di Stato Anthony Blinken, quindi dal Segretario al Tesoro Janet Yellen e dall’inviato speciale del presidente degli Usa per le questioni climatiche John Kerry; infine, ciliegina sulla torta, il 16 luglio, in occasione del suo centesimo compleanno, è atterrato nella capitale cinese Henry Kissinger, che ha incontrato personalmente Xi, proprio il giorno dopo (15 luglio) quello nel quale le marine militari cinese e russa avevano condotto un’esercitazione militare congiunta nel Mar del Giappone.
STRANI SEGNALI
Il 20 luglio seguente, nel corso di un attacco missilistico russo sferrato contro la città ucraina di Odessa veniva colpito il consolato della Repubblica popolare cinese. Tre giorni dopo a essere colpite dalle bombe di Putin furono 60.000 tonnellate di grano in procinto di venire trasportate dall’Ucraina alla Cina. Poi, nei primi giorni del mese di agosto un gruppo navale congiunto sino-russo formato da undici unità delle rispettive marine militari salpò da un porto non lontano dall’Alaska, fatto che mise in allarme la US Navy, che inviò in pattugliamento nell’area quattro cacciatorpediniere classe Arleigh Burke allo scopo di monitorare i pattugliatori di Mosca e Pechino. Strani segnali. Tuttavia, qualora si effettui una lettura in controluce, la filigrana degli eventi è in grado di fornire indicazioni utili a una migliore comprensione della situazione.
IL TERRENO D’INCONTRO PUÒ ESSERE QUELLO ECONOMICO
L’interesse è il motore del mondo e, dunque per sondare il terreno anche in questo caso risulta importante analizzare l’attuale stato delle relazioni economiche e commerciali tra le due maggiori economie del mondo. Il 22 agosto scorso, nel corso della conferenza stampa di presentazione della XXIII Fiera internazionale degli investimenti e il commercio (CIFIT) un funzionario del Ministero del Commercio della Repubblica Popolare ha reso noto che in Cina «si spera vivamente che attraverso il CIFIT quest’anno si possa ulteriormente costruire una piattaforma per gli scambi e la cooperazione tra le imprese cinesi e quelle americane, generando altresì maggiore consenso ed energia positiva nella cooperazione economica e commerciale tra Cina e Stati Uniti».
EQUILIBRISMI DIPLOMATICI E MILITARI
Cinque giorni dopo il rilascio di queste dichiarazioni il Segretario al Commercio statunitense Gina Raimondo iniziava la sua visita ufficiale della durata di quattro giorni nella Repubblica Popolare, dopo che Washington aveva annunciato la rimozione di ventisette società cinesi dalla sua blacklist. Una decisione ovviamente accolta con favore da Pechino, che, per il tramite di un portavoce del suo Ministero degli Esteri, sottolineava come le due parti «erano in grado di affrontare tutte le problematiche specifiche attraverso una comunicazione basata sul rispetto reciproco». Una presa di posizione ufficiale che, pur nel quadro della cauta azione sui piani diplomatico e militare di Xi Jinping, rendeva chiara la volontà di Pechino di mantenersi in equilibrio tra Stati Uniti d’America e Federazione russa, fornendo una ulteriore prova della sua intenzione di non sbilanciarsi eccessivamente in favore di Mosca.