KAZAKISTAN, analisi di scenario e prospettive. Tra difficili equilibri e non poche incertezze domenica prossima la maggiore economia dell’Asia centrale andrà al voto

«Scosso da manovre golpiste al suo interno – afferma riferendosi al Kazakistan, Fabrizio Vielmini, autore del saggio “Kazakistan, fine di un’epoca: 30 anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra” -, corroso dalle correnti della globalizzazione, lacerato dalle forze centrifughe della multivettorialità, l’esistenza del Paese continua a essere incerta. Non resta che immaginare un futuro edificato su nuove basi ideologiche per affrontare e, forse risolvere, i propri numerosi problemi». Di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale dell’intervista rilasciata dall’autore di “Kazakistan, fine di un epoca”, ai microfoni di insidertrend.it (A522)

Archiviato il lunghissimo periodo coincidente con il potere esercitato da Nursultan Nazarbayev, che Fabrizio Vielmini nel suo saggio definisce «autocrate visionario», il Kazakistan vive oggi una fase di relativa stabile transizione. Relativa, poiché stressata dall’azione di vari fattori coincidenti, galvanizzati dalla ri-esplosione del duro confronto tra Mosca e Washington, riacceso e alimentato senza soluzione di continuità dal momento dell’invasione militare dell’Ucraina decisa dal Cremlino.

COMPRESSO DA DUE POTENTI E INQUIETANTI VICINI

Già, poiché il Kazakistan, nono stato al mondo per estensione territoriale e maggiore economia della regione centroasiatica, si trova compresso tra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare cinese, dunque, in ragione sia di dinamiche esogene (il confronto internazionale) ed endogene (la lotta per il potere ad Astana e il malcontento sociale), al centro di precari equilibri messi continuamente a repentaglio dagli eventi. Un gigante popolato soltanto da venti milioni di persone, parte delle quali (una corposa minoranza) russofoni cristiano-ortodossi, il resto principalmente musulmani sunniti. Una terra dall’estensione sterminata il cui sottosuolo è scrigno di ricchezze, materie prime non soltanto energetiche, sulla cui superficie si estendono le condotte nelle quali fluisce il petrolio, che tuttavia per il loro 80% rinvengono il terminale nel porto russo di Novorossiysk, sul Mar Nero.

COSA È CAMBIATO CON L’INVASIONE RUSSA DELL’UCRAINA

Astana dipende dunque da Mosca, che può bloccare le sue esportazioni di greggio (come verificatosi nel recente passato) se vuole. La diversificazione delle pipeline non è semplice, qualcosa hanno iniziato a fare i cinesi, oggi tra i maggiori interessati alla stabilità del loro strategico vicino. Da quando Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina le relazioni con le ex Repubbliche sovietiche che, volenti o nolenti, erano in buone relazioni con Mosca, si sono andate deteriorando e il Kazakistan non è sfuggito a questo destino comune. Da qui il graduale distacco dalla Federazione Russa, seppure con molti distinguo, come l’astensione di Astana al voto all’Assemblea generale dell’Onu sulla Risoluzione che imponeva il ritiro immediato delle truppe russe dal territorio ucraino. Non è facile opporsi a Mosca e il successore di Nazarbayev ne è perfettamente consapevole, seppure abbia ricevuto il pieno e incondizionato sostegno da Washington, formalizzato personalmente dal Segretario di Stato Anthony Blinken nel febbraio scorso ad Astana.

LA FINE DI UN’EPOCA

Quindi parrebbe non restare altro che l’equilibrismo, dato che non si prospetterebbero alternative all’orizzonte. Ed ecco allora il presidente Qasym-Jomart Tokayev rifiutare le proposte di unione commerciale della quale è stato latore Putin, ma, allo stesso tempo, non recidere le relazioni con Gazprom. Basterà il patronato sino-popolare a mantenere in equilibrio il Kazakistan in questa epoca di rivolgimenti? È la domanda che abbiamo rivolto a Vielmini, che in Kazakistan ha vissuto e lavorato per l’OSCE e l’Unione europea. Egli è stato anche docente di Relazioni internazionali presso la Webster Universsity di Tashkent, nel confinante Uzbekistan, esperto di politica estera, di Russia e di spazio ex-sovietico, recentemente ha pubblicato un saggio sull’argomento, edito per i tipi di Mimesis, Kazakistan, fine di un’epoca: 30 anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra.

IL SAGGIO DI FABRIZIO VIELMINI

Non è casuale la data della discussione dei contenuti di questa opera con il suo autore, poiché ha luogo immediatamente a ridosso delle consultazioni elettorali nel Paese centroasiatico di domenica prossima. «Scosso da manovre golpiste al suo interno – afferma Vielmini riferendosi al Kazakistan -, corroso dalle correnti della globalizzazione, lacerato dalle forze centrifughe della multivettorialità, l’esistenza del Paese continua a essere incerta. Non resta che immaginare un futuro edificato su nuove basi ideologiche per affrontare e, forse risolvere, i propri numerosi problemi». Di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale dell’intervista rilasciata dall’autore di Kazakistan, fine di un epoca, a insidertrend.it (A522)

A522 – KAZAKISTAN, ANALISI DI SCENARIO E PROSPETTIVE: tra difficili equilibri e non poche incertezze la maggiore economia dell’Asia centrale il 19 marzo andrà al voto.
«Scosso da manovre golpiste al suo interno – afferma riferendosi al Kazakistan, FABRIZIO VIELMINI, autore del saggio “Kazakistan, fine di un’epoca: 30 anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra” -, corroso dalle correnti della globalizzazione, lacerato dalle forze centrifughe della multivettorialità, l’esistenza del Paese continua a essere incerta. Non resta che immaginare un futuro edificato su nuove basi ideologiche per affrontare e, forse risolvere, i propri numerosi problemi». Di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale dell’intervista rilasciata dall’autore a insidertrend.it;
archiviato il lunghissimo periodo coincidente con il potere esercitato da Nursultan Nazarbayev, che Fabrizio Vielmini nel suo saggio definisce «autocrate visionario», il Kazakistan vive oggi una fase di relativa stabile transizione. Relativa, poiché stressata dall’azione di vari fattori coincidenti, galvanizzati dalla ri-esplosione del duro confronto tra Mosca e Washington, riacceso e alimentato senza soluzione di continuità dal momento dell’invasione militare dell’Ucraina decisa dal Cremlino.
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