GIUSTIZIA, processi celebrati entro le Mura leonine. Palazzo di Londra, la questione delle carte dell’accordo: chi le ha date alla stampa?

Nel corso dell’ultimo interrogatorio svoltosi nell’aula del Tribunale vaticano, che ha avuto luogo il 21 febbraio scorso, sono stati chiariti alcuni aspetti relativi alla «fuga di notizie» che ha avuto a oggetto la documentazione dell’affare intercorso tra il broker Raffaele Mincione e la Segreteria di Stato vaticana, un business inerente alla cessione delle quote dell’immobile di lusso di Sloane Avenue. Tuttavia, ad avviso di alcuni attenti osservatori del caso le parole del testimone solleverebbero altri dubbi

a cura di Andrea Gagliarducci, vaticanista dell’agenzia giornalistica ACI Stampa – Il «framework agreement», cioè l’accordo avente a oggetto la cessione delle quote dell’immobile di lusso sito in Sloane Avenua a Londra, a suo tempo concluso tra il broker Raffaele Mincione e la Segreteria di Stato vaticana, sul quale la medesima Segreteria di Stato aveva investito, non era finito sui giornali a causa dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF), bensì per mano di Marcello Massinelli, un collaboratore (forse, sarebbe meglio definirlo un consulente) dello stesso Mincione, che ne avrebbe ceduto una copia al giornalista Emiliano Fittipaldi (attuale vicedirettore del quotidiano “Domani” e già redattore del settimanale “l’Espresso”, n.d.r.) allo scopo di «dimostare che non c’era niente di illecito» in quella operazione immobiliare.

L’ARTICOLAZIONE DEL PROCESSO

La rivelazione è stata fatta nel corso della più breve udienza del processo celebrato in Vaticano per la presunta mala gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Si è trattato di venticinque minuti durante i quali in Aula ha testimoniato lo stesso Fittipaldi, che ha ribaltato buona parte dell’impianto accusatorio costruito attorno ai vertici dell’Autorità di informazione finanziaria (AIF), in particolare sull’direttore Tommaso Di Ruzza. Il processo, vale la pena ricordarlo, si articola su tre filoni di indagine, tutti riconducibili alla citata gestione dei fondi vaticani. La prima concerne la questione dell’immobile di Londra, con le quote cedute a Mincione, una gestione in seguito rilevata dalla Santa Sede affidandola a un altro broker di fiducia, Gianluigi Torzi; quindi, dopo aver considerato che quest’ultimo aveva tenuto per sé le uniche mille azioni con diritto di voto, mantenendo così il controllo totale sull’immobile, la Segreteria di Stato aveva deciso di rilevare tutto il palazzo incluse le quote di Torzi.

TRE FILONI D’INCHIESTA

Il secondo filone riguarda invece un presunto peculato del quale il cardinale Angelo Becciu si sarebbe reso responsabile quando svolgeva le funzioni di  sostituto della Segreteria di Stato, facendo, secondo l’accusa, pervenire una donazione in denaro alla Caritas di Ozieri e alla fondazione SPES, a sua volta collegata alla stessa Caritas, che allora erano presiedute da suo fratello, Antonino Becciu. Il terzo e ultimo filone riguarda invece il contratto di consulenza stipulato con la sedicente esperta di intelligence Cecilia Marogna, che avrebbe poi utilizzato il denaro ricevuto per affari personali e non per lo scopo al quale invece erano stati destinati. Nell’udienza del 21 febbraio è stato trattato soltanto il primo filone di indagine, in particolare la posizione assunta dai vertici dell’AIF (oggi ASIF) e della Segreteria di Stato dell’1 ottobre 2019. Nella serata del 3 ottobre, due giorni dopo, il settimanale l’Espresso” nella sua edizione online aveva poi pubblicato un articolo nel quale veniva ripercorsa la vicenda, corredando il testo con la prima pagina del documento dell’accordo.

GLI INTERROGATIVI

Da tutto questo ne era derivato un interrogativo: Fittipaldi da chi aveva avuto quella copia? Secondo l’accusa dal direttore dell’AIF, Tommaso Di Ruzza. Tuttavia, il giornalista in Aula ha smentito questa ricostruzione dei fatti, rivelando altresì di aver ricevuto l’autorizzazione a rivelare la sua fonte: «È stato Massinelli, un collaboratore di Mincione che mi ha dato copia dell’accordo su mia richiesta», in uno scambio whatsapp che è stato messo agli atti. In pratica, due giorni dopo il raid negli uffici dell’AIF, rispondendo alle sollecitazioni del giornalista una delle parti contraenti dell’accordo decise di far emergere tutto alla luce, allo scopo di dimostrare che non c’era niente di illegale in quello che era stato stipulato. Lo stesso Mincione, interrogato in Vaticano, ha dichiarato che l’accordo rispondeva a tutti i criteri legali.

FITTIPALDI E DI RUZZA

Fittipaldi ammette di aver incontrato Di Ruzza e di averlo anche cercato nel 2016 per riceverne delle informazioni che, però, non ottenne. Egli ammette anche di aver avuto frequenti contatti con Francesca Immacolata Chaouqui, già Commissario vaticano, riapparsa in questo processo dopo essere stata condannata entro le Mura leonine nel processo «Vatileaks 2», per aver reso testimonianza di alcune sue azioni che avrebbero portato indirettamente una pressione su monsignor Alberto Perlasca, per anni a capo dell’amministrazione della Segreteria di Stato, in seguito trasferito, religioso considerato tra i testimoni chiave del processo. La testimonianza di Fittipaldi ha posto in luce come, almeno riguardo a una questione, l’accusa si sia fidata delle accuse incrociate senza però cercare prove. Inoltre, si chiarisce finalmente la posizione del Di Ruzza, il cui reato di peculato era stato archiviato dal medesimo promotore di Giustizia.

PERMANGONO I DUBBI

Ora permane il dubbio che tutto l’impianto accusatorio non fondi su delle prove evidenti e, di risulta, possa essere principalmente il frutto di una ricostruzione. Il quesito importante da porsi sarebbe non tanto se il citato framework agreement sia stato dato in pasto ai giornalisti, quanto piuttosto se tutti si siano comportati onestamente nella sua stipulazione. Si tratta di una svolta in questo processo, che avrà degli effetti anche sulle posizioni di altri accusati. Lo stesso Mincione (che ha incontrato successivamente Fittipaldi nel suo studio a Milano assieme a Massinelli e un altro collaboratore) si ritrova in una posizione diversa, poiché la trasparenza sull’accordo testimonia, al limite, una buona fede e, in ogni caso, un quadro probatorio diverso.

DIFFICILE SENTENZA PER GIUSEPPE PIGNATONE

Cadrebbe dunque un altro elemento dell’accusa. A questo riguardo si rivelerà cruciale la testimonianza che l’arcivescovo Edgar Pena Parra verrà chiamato a rendere in Aula i prossimi 16 e 17 marzo. Il sostituto della Segreteria di Stato ha già prodotto un memoriale con duecento pagine di documenti allegati. Dalla sua deposizione forse si comprenderà su quali basi i giudici vaticani potranno motivare la sentenza che emetteranno. Colpisce a tal riguardo come diversi testimoni non stiano rispondendo alla convocazione. Sarà una sentenza difficile per Giuseppe Pignatone, oggi presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, poiché è chiamato a un complicato gioco di equilibri in un processo nel quale il quadro accusatorio sembra sfumare sempre di più.

Condividi: