RUSSIA, dilemma Putin. In difficoltà sul fronte ucraino tenta il tutto per tutto trascinando il mondo nel rischio di una guerra nucleare: ma fin dove potrà arrivare?

Se tiri troppo la corda la corda si spezza. Nello stato maggiore dell’Armata russa e nel Kgb ci sono ufficiali intelligenti e responsabili, autentici patrioti che hanno la padronanza del complesso delle informazioni sulle dinamiche interne, regionali e globali. Ebbene, al netto dell’esercizio di retorica necessaria in frangenti come questo, quanto essi ancora potranno assecondare la pericolosa deriva del loro presidente?

L’uomo del Cremlino è in serie difficoltà. Con l’invasione dell’Ucraina ha giocato una carta temeraria pensando di poter vincere facilmente sull’odiato avversario contando sulle paure e le convenienze dell’Occidente, ma la sua è stata una pessima scommessa, che si è rivelata fallimentare fin dalle prime fasi di quella che la sua macchina della propaganda ha qualificato (e la sua polizia politica ha imposto che venisse definita) «operazione militare speciale», cioè da quando ha visto perire buona parte delle forze speciali russe che, aviotrasportate sulla regione di Kiev, i primissimi giorni dell’invasione avrebbero dovuto portare a termine con successo il colpo di mano sulla presidenza, eliminando lo scomodo Volodymir Zelensky.

UN PESSIMO AFFARE

Ma non è andata come avrebbero voluto lui e i suoi generali, almeno quelli che per una ragione o per l’altra gli hanno detto sempre di sì appoggiando la sua guerra. Già, poiché la Kiev del 2022 non si è rivelata essere come la Kabul del 1979, quando spentsaz e agenti del Kgb fecero fuori il presidente comunista in carica Hafizullah Amin, ponendo al suo posto il suo rivale Babrak Karmal, anch’egli comunista ma di una fazione opposta e in quella fase sostenuta dai sovietici. Da allora le vicende sul campo di battaglia, al netto della «fog of war» e della propaganda, sono andate via via peggiorando per Vladimir Vladimirovič, fino a quando con le armi fornite da alcuni Paesi occidentali, Stati Uniti d’America in primis, l’Armata russa no si è vista costretta a cedere terreno alle esauste, tartassate e vacillanti forze armate ucraine.

ESTERO VICINO E AZIONI MUSCOLARI

Una ritirata che si è lasciata dietro gli orrori di una breve quanto spietata e sanguinosa occupazione, con eccessi e violenze sui civili, autovetture schiacciate da «allegri sbarazzini della strada» appartenenti alle truppe corazzate di Mosca e continui bombardamenti. Ma lo stato  maggiore era ben consapevole fin da prima di muovere le proprie divisioni che una occupazione totale o quasi del territorio ucraino sarebbe stata, se non impossibile, in ogni caso tremendamente difficile e dispendiosa in termini di perdite di uomini e salassi di risorse. Guerre vecchie combattute da un dispositivo militare che si è dimostrato non all’altezza delle strategie elaborate a Mosca in questi ultimi anni. Strategie che rispondono più alla sopravvivenza politica dello stesso Putin più che a un razionale approccio all’estero vicino della Russia.

MONTA IN RUSSIA IL MALCONTENTO POPOLARE

E adesso l’ex kagebešník divenuto zar si trova a dover fronteggiare quel malcontento popolare interno che per tutti questi mesi ha cercato di esorcizzare con gli strumenti della propaganda e della repressione. Ma l’annuncio della mobilitazione dei 300.000 uomini richiamabili in servizio (per il momento ha escluso i militari di leva) ha scatenato la piazza, con la gente che ha protestato nelle maggiori città della Federazione, immediatamente represse dalla polizia. Putin ha replicato con la consueta retorica: «Combatteremo per il bene della Russia, per la sua grande storia. Difenderemo la nostra patria, la nostra terra, che è l’unica che abbiamo. La nostra libertà, indipendenza e sovranità».

MOBILITAZIONE E FUGHE DAL PAESE

Ma, evidentemente, il mito della Grande Guerra patriottica non attacca più e chi ci riesce se ne va via dalla Russia fin che è possibile. Si parla di fughe in massa dal Paese proprio a causa dell’annuncio della mobilitazione e dei richiami in servizio, vuole evitare di essere spedito al fronte e beccarsi una pallottola in testa dagli ucraini. A questo punto, un Putin sempre più isolato e flemmatizzato dall’alleato sino-popolare si sente il fiato sul collo. I sistemi di artiglieria Himars e gli altri sistemi d’arma ceduti al governo di Kiev dagli americani hanno consentito agli ucraini di guadagnare molto terreno, liberandolo dall’occupante. I russi sono stati costretti a nascondere i loro aeroporti militari anche in Crimea, dato che gli ucraini li avevano individuati tutti e li avevano colpiti con l’artiglieria, e adesso i Sukhoi devono decollare e atterrare da piste semi-preparate dal fondo sterrato.

UN PRETESTO ARTIFICIOSO

In alcuni punti della linea del fronte essi si sono avvicinati alla frontiera con la Federazione russa. Putin teme un ulteriore rovescio sul campo e allora gioca l’ultima carta, quella nucleare. Lo fa anticipando un referendum sull’unione delle province popolate in maggioranza da russi, Donetsk e Luhansk, che difficilmente potrà avere luogo regolarmente in una zona di guerra svuotata a causa della fuga dei profughi (russi e soprattutto non russi) e, comunque, si tratterebbe di una forzatura che (posto che Mosca farebbe comunque risultare la vittoria dei secessionisti delle repubbliche indipendentiste) costituirebbe il pretesto per affermare che il territorio della Federazione russa si troverebbe sotto attacco ucraino. Quindi (fase immediatamente successiva) si invierebbero le centinaia di rincalzi richiamati in servizio al fronte e si agiterebbe, come per altro il Cremlino già fa da tempo, lo spettro della guerra nucleare.

L’OPZIONE NUCLEARE DELL’EX KAGEBEŠNĺK

Una narrativa che si ritiene possa risultare efficace sia sul piano interno che su quello internazionale, poiché il nucleare non può che fare tremendamente paura a tutti. Dove potrà arrivare Vladimir Vladimirovič con questa ultima mossa? Egli è un uomo ormai non più giovane e probabilmente ammalato, per quanto concerne il suo futuro politico le speranze non sono certamente rosee, dato che il suo consenso interno è stato vieppiù intaccato dalle conseguenze questa guerra. Resta l’opzione nucleare, ma qui non sarà lui a decidere. È vero, al giorno d’oggi sono disponibili missili ipersonici e testate di dimensioni ed effetti tali che un maldestro e criminale leader, disperato e messo alla corde, potrebbe pensare di utilizzare. Ma… c’è almeno un ma.

I GIOCHI PERICOLOSI DI VLADIMIR VLADIMIROVIČ

Ma, fino a oggi, se si escludono i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, il nucleare ha svolto una funzione di deterrenza. Uno strumento efficace in quanto (almeno nella maggior parte dei casi, inclusi quelli delle superpotenze Usa e Urss) caratterizzato dalla contro-intuitività. Infatti, come acutamente sottolineano gli analisti che richiamano questo concetto, si tratta di una deterrenza impostata non tanto sulla migliore modalità di impiego delle armi nucleari, quanto su quelle che possano garantirne un non impiego. È il concetto posto a fondamento della mutually assured destruction (MAD), che si basa sugli elementi chiave della credibilità, della chiarezza e della trasparenza.

IO SO CHE TU SAI CHE IO SO

Se tu sai che io sono fermamente intenzionato a ricorrere all’arma atomica ci penserai mille volte prima di lanciarmene contro una tu, evitando quindi passi avventati dalle conseguenze apocalittiche. Ovviamente, uno dei contendenti per agire con serenità di pensiero non deve però sentirsi minacciato nei suoi valori irrinunciabili e, meno che mai, nella sua stessa sopravvivenza. Ora, all’interno della Stavka prestano servizio ufficiali intelligenti e responsabili, autentici patrioti che hanno la padronanza del complesso delle informazioni sulle dinamiche interne, regionali e globali. Fortunatamente non esistono soltanto yesman. Ebbene, al netto dell’esercizio di retorica necessaria in frangenti come questo, quanto essi ancora potranno assecondare la pericolosa deriva del loro presidente?

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