INTELLIGENCE, Cyberwar. Usa: la nuova «armata segreta» del Pentagono

Secondo le rivelazioni pubblicate dal settimanale americano "Newsweek" 60.000 «hacker» opererebbero nella massima discrezione nella difesa degli Stati Uniti, di essi la massima parte si dedicherebbe al web

Non c’è dubbio che questi, più che nel recente passato, sono tempi di guerre tecnologiche, conflitti attuali o potenziali che impongono una difesa e una prevenzione in funzione della minimizzazione delle perdite e dei danni ottenibile soprattutto concentrando l’attenzione su Internet.

Già, poiché è da lì che nelle guerre di ultima generazioni, sempre più «ibride» e improvvise, che giungono gli attacchi, deboli, debilitanti o micidiali che siano. Dunque è lì che i moderni «soldati tecnologici» fissano lo sguardo, su quel deserto dei tartari dark o addirittura deep, fatto di microchip e schermi e teatro di insidiosi attacchi informatici scatenati da nemici della più disparata natura, che spaziano dagli Stati antagonisti alle potenti e strutturate organizzazioni criminali, includendo altresì formazioni terroristiche di vario genere e singoli «lupi solitari».

MONITORAGGIO DALLA «FORTEZZA BASTIANI 4.0»

Ma se il web è il «nuovo deserto dei tartari», a modo suo il Pentagono diviene però la «fortezza Bastiani 4.0», ed ecco allora la notizia: il sito web del settimanale di americano il 17 maggio scorso “Newsweek” ha pubblicato una estesa inchiesta su quello che ha definito come «l’esercito segreto del Pentagono», rendendo noto che il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America starebbe facendo ricorso a 60.000 persone, non infrequentemente sotto copertura all’estero, per l’effettuazione di  operazioni che investirebbero anche il territorio americano.

Si tratterebbe di veri e propri «soldati ombra», sia militari che civili, reclutati dal Pentagono in una misura – si afferma – dieci volte superiore rispetto agli elementi clandestini in servizio per la Central Intelligence Agency (Cia) allo scopo precipuo di fronteggiare le nuove minacce immateriali.

I 60.000 CYBER FIGHTERS DEL PENTAGONO

La maggior parte di essi sarebbero dunque «cyber fighters», combattenti nella rete che trascorrono la maggior parte del loro tempo davanti allo schermo di un computer armati di mouse, programmi sofisticati e delle loro capacità. La missione assegnata è creare false personalità online utilizzando tecniche di «non attribuzione» e «cattiva attribuzione» al fine di celare le ragioni della loro attiva presenza online, nonché, ovviamente, la loro reale identità, questo mentre colpiranno obiettivi di alto valore e raccoglieranno informazioni .

Nell’era delle operazioni psicologiche (Psyops) e delle fake news non possono non figurare le attività di influenza nei social network, la segnalazione delle informazioni/notizie rilevate sui media online e l’hackeraggio dei sistemi di sorveglianza degli avversari allo scopo di impedire la propria (e quella dei loro colleghi di schieramento) rilevazione.

UNA PRATICA ILLEGALE NEGLI USA

Sempre secondo quanto riferito da Newsweek, il finanziamento a copertura della spesa necessaria all’attivazione di questo dispositivo segreto ammonterebbe a novecento milioni di dollari all’anno, una struttura che, tuttavia – si sottolinea nell’articolo pubblicato dal settimanale statunitense – porrebbe in essere «attività totalmente deregolamentate che, per altro, violerebbero le leggi degli Stati Uniti d’America, la Convenzione di Ginevra e il codice militare».

Nel commentare i risultati della propria inchiesta giornalistica Newsweek ha sottolineato come queste attività di Cyberwar assumano una marcata somiglianza alle tecniche delle quali che Washington, nelle sue ripetute e allarmanti denunce sul piano internazionale, attribuisce il ricorso ai servizi segreti della sua potenza rivale, la Russia.

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