ISRAELE, elezioni politiche. Martedì si voterà, i sondaggi vedono il premier Netanyahu in crescita

Il Likud è alla ricerca di una maggioranza e, col sostegno degli alleati attuali e potenziali, potrebbe conquistare la metà più uno dei parlamentari alla Knesset, questo malgrado il 51% degli elettori parrebbe non volerlo più come primo ministro

Nella giornata di ieri, due tra le più seguite emittenti televisive israeliane, Channel 12 e Channel 13, hanno diffuso i risultati dei sondaggi d’opinione dell’elettorato commissionati in vista delle prossime elezioni politiche nazionali, indette per il prossimo martedì 23 marzo.

Ebbene, il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu avrebbe guadagnato ulteriori margini di consenso (i sondaggi riferiscono di tre seggi in più nelle ultime settimane), giungendo vicino alla maggioranza necessaria alla formazione di un nuovo esecutivo a guida Likud. Evidentemente, egli conta su un risultato che porti il suo partito a ottenere dai trenta ai trentadue seggi in parlamento, facendo quindi poi affidamento su una vasta coalizione che lo ponga nelle condizioni di superare i sessanta seggi con almeno un parlamentare onde assicurarsi la maggioranza.

In un Paese martoriato dal coronavirus, piaga dalla quale si è comunque rialzato in maniera egregia, ma che ha lasciato i suoi profondi segni in una società oltremodo polarizzata, egli – sempre stando ai sondaggi resi pubblici –, malgrado tutte le vicissitudini personali e politiche verificatesi nel corso dei suoi ultimi mandati da premier, verrebbe accreditato ancora come personalità più popolare dei suoi avversari, seppure il 51% degli israeliani non lo vorrebbe più a capo del governo.

Le cifre dei sondaggi

I risultati del sondaggio d’opinione resi noti da Channel 12 danno il Likud a 32 seggi, se così davvero fosse si tratterebbe del suo risultato migliore conseguito negli ultimi mesi; Yesh Atid, formazione politica del leader dell’opposizione Yair Lapid avrebbe 18 seggi alla Knesset, mentre Yamina, di Naftali Bennett, 9, al pari di Nuova Speranza, partito dell’ex likudník Gideon Sa’ar; otto seggi andrebbero invece alla coalizione dei partiti arabi, come gli ultra-ortodossi dello Shas; infine, sette seggi andrebbero sia a Giudaismo Unito per la Torah che a Yisrael Beytenu di Avigdor Liberman.

Quattro i partiti risultati a rischio non superamento della soglia elettorale fissata al 3,25%, si tratta di Blu e Bianco (Kahol Lavan) di Benny Ganz, Meretz (sinistra) e Ra’am (arabi).

Ra’am, il partito arabo «ago della bilancia»

In un sistema parlamentare per certi aspetti molto simile a quello italiano, dove per formare delle maggioranze di governo si deve ricorrere ad alleanze le più variegate, «Bibi» dovrà appoggiarsi ancora una volta ai piccoli partiti religiosi e, si ipotizza, forse addirittura anche al partito degli Arabi israeliani Ra’am, guidato da Mansour Abbas, formazione rappresentata alla Knesset che si presenta come moderata e rifiuta il ricorso alla violenza come forma di lotta politica.

La recente disponibilità manifestata da questo partito a cooperare con il governo dello Stato ebraico viene interpretata da alcuni analisti come un nuovo approccio, stavolta pragmatico, alla vita politica del Paese. Una posizione che lo distingue dagli altri partiti che compongono la coalizione araba, i quali perseverano nel conferire la massima priorità alla questione ideologica palestinese rispetto alla soluzione dei problemi del quotidiano, con cui sono costretti a fare i conti anche cittadini arabi d’Israele.

Un’auspicabile integrazione, ma…

Per quanto concerne l’appoggio dei parlamentari arabo-israeliani, va rilevato che essa rappresenterebbe un passo verso l’auspicabile piena integrazione della componente araba nella società e nella politica di Israele, qualcosa che in passato è stato accarezzato ogni qualvolta i numeri per formare una maggioranza di governo alla Knesset risultavano insufficienti.

Ipotesi, soltanto ipotesi, come quella di un appoggio esterno fornito a un esecutivo a guida Likud, che permetterebbe a Netanyahu di varare un governo, ma che sarebbe un’alleanza fortemente osteggiata dalla destra ebraica più dura.

Inutile nascondersi dietro a un dito, infatti tutti sono perfettamente consapevoli che una soluzione politica del genere comporterebbe seri rischi nei momenti più delicati per Israele, che purtroppo non sono infrequenti, cioè quando, nel caso dell’intervento in guerra risulta necessaria una maggioranza che, se in passato è sempre stata garantita da governi di unità nazionale, con il Paese stretto attorno alla sua classe politica e alle sue Forze armate nei momenti del pericolo, in futuro un  partito arabo (in coalizione o in appoggio esterno) con ogni probabilità non garantirebbe.

Comunque, per il momento Ra’am non si sarebbe ancora impegnata in questo senso.

Chi volete premier… Bibi o Lapid?

Tornando ai sondaggi di ieri, alla domanda posta su chi avrebbero preferito alla guida del nuovo governo, il 36% degli elettori intervistati ha scelto Netanyahu, il 23% Lapid, e soltanto il 7% Bennett.

E ancora, al quesito se volevano che Netanyahu fosse ancora il primo ministro  per un ennesimo mandato, il 51% ha risposto di no, il 36% invece si è detto favorevole, mentre il 13% al riguardo non si è pronunciato.

Al campione dell’elettorato peso a riferimento è stato inoltre chiesto cosa si sarebbero aspettati dai risultati delle prossime elezioni. Il 40% di essi ha risposto che Netanyahu sarebbe stato nelle condizioni di formare una nuova coalizione di governo, il 38% prevede che nessuna coalizione di governo verrà formata e che, conseguentemente, si dovrà pervenire a una quinta tornata elettorale, l’11% ha invece affermato che gli oppositori di Netanyahu formeranno una coalizione, mentre un altro 11% non ha saputo o voluto fornire una risposta al quesito postogli.

Quanto contano davvero i sondaggi

Per quanto i sondaggi generalmente non vengano considerati del tutto attendibili, tuttavia spesso sono in grado di fungere da indicatore del clima politico e degli orientamenti di massima dell’elettorato.

Le prossime elezioni politiche, le quarte in due anni, sono state indette a seguito della crisi del governo di coalizione che ha rinvenuto la propria struttura portante nell’alleanza tra i due maggiori partiti del paese, tra loro rivali, il Likud e Kahol Lavan, che non sono riusciti a votare la legge di bilancio dello Stato entro la data di scadenza prevista, il 23 dicembre scorso.

Le elezioni di martedì prossimo, al pari delle tre precedenti, assumono l’aspetto di un referendum popolare sulla figura e l’azione di governo del primo ministro  Netanyahu, storica figura politica in Israele oggi trionfante in ragione del suo successo sull’arginamento del Covid-19 ma, allo stesso tempo, con un processo che pende sul suo capo come imputato per il reato di corruzione.

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