USA, attacco agli iraniani in Siria. La «prima volta» di Joe Biden (2)

I nuovi equilibri mediorientali contemplano anche il lancio di missili e i bombardamenti in Siria e Iraq: la Casa Bianca mostra i muscoli agli ayatollah, ma per ottenere cosa?

di Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Venerdì gli Stati Uniti hanno effettuato un attacco aereo nell’est della Siria contro gruppi di miliziani filoiraniani, ivi inclusi quelli di Kata’ib Hezbollah, gruppo terroristico riconosciuto dalla appena insediata presidenza Biden quale responsabile di un attacco con dei razzi contro le truppe statunitensi e i loro alleati in Iraq.

L’ex senatore democratico, nonché rappresentante di peso della locale comunità ebraica, Joseph Lieberman, ha tempestivamente dichiarato che «elogia l’amministrazione Biden per aver dimostrato, all’Iran e ai suoi gruppi terroristici di supporto, che gli Stati Uniti risponderanno con forza quando le unità americane o gli alleati degli americani verranno attaccati».

Egli ha poi aggiunto che: «Questo attacco aereo invia il messaggio incoraggiante che gli Stati Uniti non consentiranno alla Repubblica islamica nessuna ulteriore aggressione e che l’azione di Teheran sottolinea la necessità di ripristinare l’impegno bipartisan dell’America per affrontare il regime iraniano». Lieberman ha quindi concluso sollecitando il presidente a rimanere fermo nella sua determinazione «a scoraggiare il comportamento inaccettabile dell’Iran».

La continua minaccia a Washington e ai suoi alleati

I tentativi di espansione ideologica di Teheran nell’Iraq e nella Siria rappresentano l’indicatore della lunga storia del sostegno dell’Iran alle politiche settarie nella regione.

Il controllo esercitato da Teheran sulle milizie sciite nei due paesi arabi conferisce contemporaneamente un potere significativo nella politica locale sia il mantenimento dell’apertura di un corridoio per il contrabbando di armi da Teheran a Damasco e anche oltre, in Libano e nei Territori palestinesi.

Tutto questo è una minaccia continua a chi al momento viene considerato alleato e partner di Washington. Dalla caduta del regime di Saddam nel 2003, l’Iran ha intrapreso una guerra per procura in Iraq, poiché ha cercato di aumentare in modo significativo la sua influenza e di estromettere la presenza militare americana dal paese. La ricerca del primato in Iraq è una componente importante del progetto egemonico regionale della Repubblica Islamica, che mira a esportare la Rivoluzione in tutto il Medio Oriente.

L’Iraq è anche un collegamento importante negli sforzi dell’Iran per stabilire una mezzaluna sciita che funge funzionalmente da ponte di terra in grado di collegare Teheran al Libano e quindi anche al Mediterraneo, consentendogli di armare in modo più efficiente e letale Hezbollah e gli altri suoi allegati regionali.

Iraq: l’intervento militare della Coalizione

L’Iran ha visto l’invasione degli Stati Uniti nel 2003 come un’opportunità per trasformare il suo nemico iracheno in uno stato “cliente” e una base da cui dirigere attività rivoluzionarie in tutto il Medio Oriente. A tal fine, ha cercato di coltivare una sorta di lealtà tra la popolazione irachena a maggioranza sciita, cercando di sfruttare l’identità settaria condivisa per giustificare la sua ingerenza e ancorare la sua influenza nel Paese arabo.

Per rafforzare la sua influenza, Teheran mira a mantenere l’Iraq debole e dipendente da lei per la sua sicurezza. Allo scopo si è organizzato in profondità sul territorio, controllando una vasta rete di gruppi militanti sciiti, usandoli al fine di alimentare le tensioni settarie e fomentare la violenza politica assicurandosi così un ruolo di mediatore in Iraq.

Dall’inizio della guerra in Iraq nel 2003, l’Iran ha sostenuto, addestrato e finanziato le milizie sciite. Fino alla sua neutralizzazione, avvenuta mediante un attacco portato da un drone statunitense al suo convoglio mentre lasciava l’aeroporto internazionale di Baghdad il 3 gennaio 2020, il comandante delI’ IRGC (Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica) Qassem Soleimani, è stato il principale agente d’influenza dell’Iran in Iraq, sovrintendendo all’addestramento, all’armamento. e coordinamento delle attività sul campo di battaglia delle varie milizie sciite appoggiate dall’Iran che operano in Iraq.

Le milizie sciite: la crescita grazie all’azione di Qassem Soleimani,

Attraverso una combinazione di aiuti militari, denaro, favori, tangenti e intimidazioni, Soleimani utilizzando la sua guardia, formata da potenziali terroristi che agivano con tecniche pari alla loro infausta fama, è arrivato a esercitare un’enorme influenza personale sulle milizie sciite e sui partiti politici del paese. I politici sono stati effettivamente tenuti in ostaggio dalle richieste di Soleimani, in quanto poteva invitare le milizie sotto il suo comando a creare problemi se avessero tentato di contrastarlo.

L’Iran ha fornito a questi gruppi le istruzioni e gli istruttori per preparare gli IED (ordigni esplosivi improvvisati) che erano e rimangono il principale armamento che viene e veniva utilizzato contro le truppe statunitensi in Iraq. Per trasferire anche armi in Iraq, l’Iran controllava una serie di circuiti di contrabbando di armi. In particolare, dal 2006 la Forza Quds, il braccio militare extraterritoriale dell’IRGC, ha sviluppato una rete capillare per il trasferimento e la distribuzione di armi dall’Iran all’Iraq attraverso la regione di Ilam nell’Iran occidentale.

Alla neutralizzazione di Soleimani ha fatto seguito – sempre con la tacita approvazione del presidente Trump e in cooperazione con Israele – la neutralizzazione di un pericoloso scienziato legato al programma nucleare iraniano: Mohsen Fakhrizadeh.

L’eliminazione di Mohsen Fakhrizadeh

Il fisico era il temibile direttore generale del programma “Amad” (Speranza), un programma che secondo i servizi di intelligence israeliani e americani è legato agli studi che l’Iran starebbe continuando a sviluppare in segreto per sviluppare la bomba atomica.

Negli anni il programma cercava di capire quali procedure seguire per la realizzazione di eventuali ordigni nucleari per la Repubblica Islamica.  La doppia azione ha sia messo in evidenza che Teheran non ha una credibile capacità difensiva sia ha rallentato di molto i programmi “offensivi” di Teheran atteso anche che intorno al complesso delle attività nucleari in Iran c’è sempre stata molta incertezza e molti programmi sono sati portati avanti in segretezza anche perché favoriti dalla pochezza dei controlli ONU.

Per quanto ha tratto con l’alleanza iraniano-siriana, la stessa risale a oltre tre decenni, costituendo una delle partnership più durature tra i regimi autoritari della regione. L’Iran vede il mantenimento del controllo di Bashar al-Assad sulla Siria come un freno al potere sunnita nl paese e nel grande Medio Oriente. Attraverso il regime di al-Assad, l’Iran è ulteriormente in grado di proiettare la sua influenza in tutto il Levante.

Bashar al-Assad, lo storico alleato siriano

A testimonianza dell’utilità di al-Assad, la Repubblica islamica dell’Iran e i suoi delegati hanno svolto un ruolo fondamentale nel salvare e sostenere il suo regime durante la guerra civile siriana, iniziata come una rivolta popolare nel marzo 2011. Alcuni alti funzionari del regime iraniano sono arrivati al punto di dichiarare la Siria come «la trentacinquesima provincia dell’Iran e una provincia strategica».

La Siria è stata ed è, quindi, strategicamente vitale per l’Iran perché fornisce sia il citato “ponte di terra” logistico all’organizzazione terroristica di Hezbollah sia l’accesso ai porti del Mediterraneo che sono centrali per le sue ambizioni regionali. Il regime di Teheran è determinato anche a impedire una vittoria ai suoi rivali sunniti nella regione, e consolidare ulteriormente la mezzaluna sciita, che al momento, come indicato, ancora si estende dal Golfo Persico al Mediterraneo attraverso Iraq, Siria e Libano.

Conseguentemente non solo l’Iran rimane il più stretto alleato della Siria, ma conferma sia che sosterrà la Siria fino a quando necessario, sia che intende giocare sempre più il ruolo dominante nella guerra civile siriana.

Ricordiamo che il presidente iraniano Hassan Rouhani, ritenuto un «moderato», parlando con il primo ministro siriano Wael al-Halqi già otto anni fa, nell’agosto 2013, aveva promesso, «la Repubblica islamica dell’Iran mira a rafforzare le sue relazioni con la Siria e la manterrà nell’affrontare tutte le sfide. Le relazioni profonde, strategiche e storiche tra Siria e Iran non saranno scosse da nessuna forza al mondo».

Le attese elezioni presidenziali in Iran

In merito poco ci si può aspettare dalle elezioni per il successore di Rouhani (già rieletto nel 2017), infatti il rischio è che il 18 giugno prossimo si veda la ricomparsa   dell’ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad che secondo i sondaggi sarebbe in testa alle future elezioni con il 37% dei consensi.

Per concludere, atteso che gli equilibri del Medio Oriente e del Golfo, in particolare, sono storicamente instabili e si alimentano della rivalità tra sciiti e sunniti la posizione degli Usa è importante e potrebbe essere centrale. L’ex presidente Obama, con il JCPOA (accordo del 2015 sul programma nucleare iraniano) aveva cercato un riavvicinamento a Teheran e, poi, il presidente Trump ha svoltato decisamente lasciando il JCPOA, neutralizzando i capi dei terroristi e del progetto nucleare di Teheran e, infine, ripristinando le sanzioni contro Teheran.

Trump ha gravitato verso Israele e Arabia Saudita concludendo il suo mandato con l’indiscutibile successo degli “Accordi di Abramo” tra Usa, Israele, Emirati Arabi e Bahrain.

La «prima volta» di Joe Biden

Biden alla Casa Bianca, e la nuova amministrazione di Washington hanno fatto dei passi che fanno trasparire la volontà di voler riportare l’America dentro l’accordo sul programma nucleare iraniano e rivedere i rapporti con l’Arabia Saudita, cercando di ridimensionare il ruolo del principe saudita Mohammed Bin Salman rendendo noto il rapporto sulla versione Usa della vicenda della scomparsa del giornalista Jamal Khashoggi.

Certo, iniziare il «riavvicinamento» con un bombardamento aereo delle milizie sciite in Siria può essere interpretato in vari modi.

Gli analisti della materia prospettano varie ipotesi, tra le quali quella maggiormente accreditata è quella che gli Usa prima di mettersi al tavolo delle trattative abbiano voluto dare una prova di forza, questo dopo aver ricevuto una provocazione iraniana.

Non c’è da aspettare molto per sapere come andranno le cose in futuro. Infatti, le elezioni in Iran sono state indette per il prossimo 18 giugno e il loro esito influenzerà il modo in cui Teheran si confronterà nel prossimo futuro con la presidenza Biden.

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