CORONAVIRUS, contact tracing. La difficile, forse impossibile, attività di tracciamento dei contagiati

Se l’epidemia dovesse raggiungere nuovamente picchi di acuzie eccessivi potrebbe divenire insostenibile il carico di lavoro assegnato alle unità preposte all’identificazione dei contagiati e al loro successivo isolamento. L’esempio critico israeliano e il possibile ausilio della tecnologia digitale. Gli orientamenti in materia in Europa

Neppure esercito israeliano, forza armata di un Paese tecnologicamente avanzato che conosce stati di allarme fino dalla sua costituzione, è ancora lontano dall’essere in grado di tracciare tutti i contatti avuti da coloro che hanno contratto il virus Sars Covid-19 sul territorio dello Stato ebraico.

Questo compito gli era stato assegnato all’inizio del mese di agosto, quando si rese estremamente urgente e necessario recidere la catena delle infezioni rintracciando e sottoponendo a test clinici tutte le persone ritenute potenziali contagiate dal virus, mettendole in quarantena se risultate positive.

Insomma, l’ormai noto «contact tracing», attività che comporta notevoli sforzi per le strutture di esso investite, poiché si basa sull’assunzione dei risultati delle indagini epidemiologiche, il successivo interrogatorio dei soggetti «vettori» del virus al fine di ripercorrerne gli spostamenti nei momenti successivi a quello presunto della loro infezione e, infine, l’identificazione e il tempestivo allertamento di coloro i quali si ritiene possano avere ricevuto il contagio.

Una pratica che gli esperti di salute pubblica ritengono cruciale nel contenimento  della diffusione del virus, dato che mette le autorità nelle condizioni di localizzare i soggetti che potrebbero aver contratto la malattia prima che abbiano la possibilità di trasmetterla ad altri.

Una situazione critica: l’esempio israeliano. A seguito della diffusione dell’epidemia di Covid-19 il Governo di Gerusalemme ha disposto che del contact tracing se ne occupassero i militari, sia quelli in servizio che i riservisti richiamati allo scopo.

In quella fase i decisori politici del Paese e i vertici di Tsahal (le forze armate israeliane) si posero l’obiettivo dell’effettuazione quotidiana di duemila indagini tramite la neocostituita task force coronavirus “Alon”, tuttavia, nel mese di settembre i casi di contagio aumentarono sensibilmente e all’inizio di ottobre superarono le 9.000 unità, quindi ben oltre le aspettative e le capacità della struttura allo scopo approntata.

Attualmente, nel Paese il tasso di infezioni è stato abbattuto grazie all’imposizione di un ennesimo blocco totale delle attività a livello nazionale, misura drastica che ha però dimezzato la cifra delle infezioni registrate giornalmente, fornendo respiro agli operatori.

Ora, secondo quanto riferisce la stampa israeliana, il comando militare avrebbe riconfigurato la propria missione, destinando un numero maggiore di operatori  alle attività di contact tracing, prevedendo per l’inizio del prossimo mese di novembre più di duemila uomini per lo svolgimento di questo servizio.

Due tracciamenti al giorno. In un articolo pubblicato recentemente dal quotidiano online “Time of Israel” vengono riportati i dati relativi al volume di lavoro in grado di venire svolto mediamente da un militare, che è pari a circa due indagini al giorno.

Spesso si tratta di personale, sia ufficiali che e militari di truppa, privo del minimo background in materia di sanità pubblica o epidemiologia.

È uno sforzo sinergico, in quanto all’attività di tracciamento e allertamento prendono parte anche le strutture sanitarie pubbliche e almeno l’80% delle municipalità, tuttavia, permane la criticità principale che impedisce una estensione del programma di indagine epidemiologica, cioè la carenza nel numero di infermieri qualificati dal Ministero della Salute in grado di formare e supervisionare il personale addetto al tracciamento, malgrado i processi operativi siano stati nel frattempo semplificati.

Allo stato attuale si rende necessaria una discriminazione, un doloroso «triage» che rende possibile la concentrazione del focus sui focolai virali maggiormente pericolosi e sui casi rilevati più di recente, conferendo una priorità minore ai casi meno recenti.

Sensibilizzazione della popolazione e app. Non è sufficiente richiedere di un questionario scritto la persona contagiata, poiché l’accuratezza delle sue risposte il più della volte è ottenibile attraverso l’intervento diretto di un interrogante qualificato.

Ovviamente, alla base di tutto risiede la capillare sensibilizzazione della popolazione riguardo al comportamento da tenere in questo particolare frangente,  oltreché il ricorso alle applicazioni digitali, tecnologie che consentono una “mappatura  di prossimità” delle persone contagiate.

Quello che si sta provando a fare in Europa per rendere efficace la «gestione» della pandemia attraverso il contenimento dei contagi.

Al riguardo la Commissione europea ha stabilito delle linee guida per fronteggiare l’emergenza autunnale nei Paesi membri dell’Ue.

Approccio comune in Europa? Esse dovranno costituire lo strumento derivante da un approccio comune che, allo stesso tempo, tuteli la riservatezza delle persone e implementi l’uso delle più moderne tecnologie di tracciamento, le app.

In questo senso, alcuni giorni fa si è espresso il Commissario europeo per la Salute e la Sicurezza alimentare Stella Kyriakides, che ha confermato come gli strumenti digitali saranno cruciali nella protezione dei cittadini dei Paesi membri, affermando che «le app mobili possono avvisarci dei rischi di infezione e supportare le autorità sanitarie con la tracciatura dei contatti, che è essenziale per interrompere le catene di trasmissione. Dobbiamo essere diligenti, creativi e flessibili nei nostri approcci. Dobbiamo continuare ad appiattire la curva e tenerla giù. Ma, senza tecnologie digitali sicure e conformi il nostro approccio non sarà efficiente».

Secondo Bruxelles, le soluzioni adottate dovranno essere conformi alle norme comunitarie in materia di protezione dei dati e di privacy, in linea con quanto emerso a seguito della consultazione del Comitato europeo per la protezione dei dati.

Utilizzazione su base volontaria. L’applicazione di queste misure avverrà in stretto coordinamento con le Autorità di sanità pubblica e le app e le soluzioni potranno venire utilizzate soltanto su base volontaria, mentre i dati dovranno venire rimossi al termine della fase del loro utilizzo ai fini del contenimento dei contagi del coronavirus.

Si punterà dunque su soluzioni tecnologiche Bluetooth in grado di garantire la privacy, mantenendo anonimi i soggetti contagiati ma allertando coloro i quali saranno venuti in contatto con loro, in quanto persone divenute a rischio contagio, persone che verranno contestualmente esortate ad auto-isolarsi o a sottoporsi all’esame del tampone.

Ai fini della efficacia del sistema, sarà necessario che esso sia interoperabile sull’intero territorio dell’Unione europea, coprendo i cittadini anche quando si sposteranno nei diversi Paesi membri, tenendo però in debito conto i fattori della sicurezza informatica e dell’accessibilità.

Prossime scadenze. Entro il 30 aprile 2021 le Autorità sanitarie pubbliche dei Paesi membri dell’Ue saranno chiamate a valutare l’efficacia delle app adottate sui rispettivi territori nazionali, oltreché in ambito transfrontaliero.

Un mese dopo, cioè entro il 31 maggio, essi saranno inoltre tenuti a riferire in ordine alle proprie pianificazioni e a rendere le misure adottate accessibili anche agli altri Stati membri e alla Commissione ai fini di una revisione del sistema.

La Commissione europea valuterà quindi i progressi nel frattempo compiuti e pubblicherà delle periodiche relazioni a partire dal mese di giugno e per tutta la durata della crisi sanitaria, raccomandando altresì interventi apporto di correttivi al sistema ove ritenuto necessario.

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