OIL & GAS, produzione e mercati. L’energia non si ferma per il coronavirus

La dimostrazione di questo assunto risiederebbe nel fatto che Arabia Saudita, Russia e Usa proprio durante la pandemia da Covid19 combattono una guerra dei prezzi senza quartiere, che vede quale posta la leadership internazionale di potenza unica energetica globale

di Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, pubblicato da “L’Indro” il 3 aprile 2020 – Queste settimane hanno portato tutti a una “clausura” forzata determinata dall’emergenza coronavirus e alle normative di sicurezza emanate dalla Presidenza del Consiglio.
Giorni che hanno sconvolto la quotidianità delle persone, questa volta non di una zona geografica precisa, bensì dell’intero globo, mutando le abitudini di vita, di consumo e la propria giornata, facendo sì che il tempo a disposizione potesse essere investito in attività diverse: per chi lavora in smart-working, altrimenti televisione, lettura e approfondimenti dei più diversi, dalla medicina (tema principale) all’economia, passando per le attività di cucina.
Quello, però, che è sembrato a gran parte della popolazione cieca oltre le mura di un’abitazione, è che il Mondo si sia fermato, ma non è proprio così.
Non si può nascondere che i ritmi siano cambiati e la produttività sull’intero pianeta non è più la stessa, ma c’è un Mondo che ha rallentato ma non si è mai fermato, quello dell’energia.
Non mi riferisco soltanto alla dicitura o denominazione legislativa di «attività necessaria», bensì a cosa veramente sta succedendo e come stiamo lavorando.
Non si può fermare l’energia, vorrebbe dire fermare la vita, i consumi, le attività necessarie e l’elenco infinito di cose, volendo rappresentare cosa questa parola oggi, più di ieri, è necessario elemento di vita.
In questi giorni le raffinerie hanno lavorato, con organico minore e con disposizioni di emergenza ancora più rigide, ma hanno lavorato, le conference-call attraverso personal computer si fanno, i progetti devono per forza di cose andare avanti nella loro pianificazione, gli impianti di carburante stanno lavorando.
La benzina deve essere venduta, anche dopo l’irresponsabile minaccia di sciopero di alcuni sindacati di bloccare l’erogazione dei carburanti.
Novella che poi si è rivelata ridicola, solo un modo per essere uditi dal Governo, che però ha causato un vero panico mediatico nell’opinione pubblica in un momento in cui la psiche di tutti è elevata alla più grande sensibilità emotiva.
Ma questo lascia ormai il tempo che trova e ben abbiamo precisato che la FederPetroli Italia non rientra in queste categorie e, cosa più importante, in queste azioni irresponsabili.
Abbiamo lavorato e stiamo lavorando. Con fatica, ma ci siamo.
Morale della favola: nessuno ha chiuso e la benzina c’è. Anzi, ce ne è in abbondanza, come abbondante è il petrolio immagazzinato all’interno dei serbatoi e depositi mondiali.
Quindi l’energia è stata sempre viva, dimostrazione ne è che Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti d’America, proprio in occasione di questa spettacolare partita chiamata Covid19, stanno combattendo la più alta, grande “guerra di prezzi” e di leadership internazionale per conquistarsi il podio unico di potenza energetica.
Dal 1929, anno della grande depressione, non si registrava una situazione con una guerra dei prezzi dei greggi del genere: Wti (petrolio di riferimento americano) a 20 dollari al barile e Brent (petrolio di riferimento europeo) a 24, con forti oscillazioni che hanno spinto le quotazioni durante la giornata delle rispettive contrattazioni borsistiche a toccare punte di 19 dollari a barile.
Molti l’hanno giudicata un’Apocalisse, noi l’abbiamo definita «tattica strategica».
È bastato qualche giorno di quarantena anche per il greggio conservato e dormiente nei grandi serbatoi a far sì che si innescasse un’esplosione: da un giorno all’altro un aumento di 5 dollari al barile.
Si chiama «inversione a rimbalzo», per chi mastica un po’ di terminologia tecnica borsistica. Il trend continuerà e con sere maggiore volatilità dei prezzi.
Nulla è fermo. Tutto si muove in un ambiente che, mi dispiace, ma noi italiani, o almeno parte di essi, rispetto agli Stati Uniti d’America e ad altri paesi più all’avanguardia, abbiamo sempre sottovalutato il mercato digitale, quello via web, o «IT work», chiamiamolo come vogliamo.
Cioè quell’abilità di lavoro come il mondo a nostra insaputa più volte fa, attraverso un mercato digitale e non fisico che consente lo scambio di miliardi di dollari, di azioni, di barili, di merci e rende ricche tante persone.
Certo le strette di mano sono diventate digitali, e questo, per chi scrive e si occupa di relazioni è un grande gap, che comunque grazie alla diplomazia si riesce a colmare.
Ma l’energia ha lavorato per far sì che le nostre televisioni, i nostri trasporti, i nostri smartphone e le nostre cucine potessero funzionare anche un tremendo periodo di reclusione forzata come questo, rendendolo più sopportabile.
L’emergenza c’è ed è scontato che aziende, commercianti e i più diversi operatori economici, che per altro già vivevano in una condizione di affanno, superata questa fase inizieranno un periodo non meno duro, anzi forse vi sono già dentro.
Non chiamiamola «crisi», poiché per ora non è una crisi, piuttosto un effetto domino da Covid-19, un trascinamento di situazioni pregresse aggravatesi in questi ultimi giorni, tuttavia già esistenti.
È bene chiarire che la mia interpretazione non vuole rappresentare un futuro giardino dell’Eden post-pandemia, ma neppure un “effetto bomba atomica”, e questo perché le aziende sono soltanto al nastro di partenza, pronte allo start.
Questa non è una crisi dei consumi ed economica, come si verificò nel 2011, questa è una crisi da virus.
Il consumo, che esiste, risulta soltanto bloccato. L’indotto mondiale lavora ed è forte, ma purtroppo in alcuni casi ha conosciuto un forte rallentamento mentre in altri ha registrato addirittura un blocco.
A chi mi ha chiesto se la ripresa sarà graduale ho risposto «no».
Infatti quella alla quale assisteremo nel prossimo futuro non sarà una ripresa, bensì una riapertura.
Uno tsunami positivo stavolta, che con la medesima violenza che ci è stata imposta dallo stop corrisponderà a un’azione uguale e contraria per l’intera produttività internazionale… e, ovviamente, anche per il petrolio!
Dunque teniamo duro ancora per un po’.

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