ENERGIA, prezzi petroliferi. Petrolio e pandemia perturbano l’economia mondiale: la guerra dei prezzi al barile e lo shale oil Usa

Occhio al break even point: per lo shale oil col greggio a 30 dollari al barile i petrolieri che trivellano negli Usa sono giunti alla soglia della non convenienza a mettere in produzione i siti estrattivi. Oggi il Brent chiude a 30,1 $/b, il WTI a 28,9 $/b, se poi si aggiunge il crollo delle borse la «tempesta è perfetta». Un titolo finanziario a rialzo condiziona i mercati internazionali, il Covid-19. A insidertrend.it parla MICHELE MARSIGLIA, presidente di FederPetroli Italia, che sul medesimo argomento ha rilasciato una intervista a Radio Radicale

Le quotazioni normalmente oscillano, tuttavia si tratta di quotazioni egualmente basse. Cosa sta succedendo? Per comprendere meglio le dinamiche in atto è utile fare riferimento al cosiddetto «break even point», (o BEP) cioè il punto di pareggio, che si raggiunge quando la quantità di prodotto venduto (espressa in volumi di produzione o fatturato) copre i costi precedentemente sostenuti e pone quindi l’imprenditore di fronte a una chiusura del periodo di riferimento senza registrare né profitti e né perdite.

Per quanto concerne la convenienza a trivellare in modo “seriale” pozzi shale oil, per gli americani questo valore si attesta intorno ai 35 dollari. Il fracking è una metodologia estrattiva costosa la cui convenienza viene messa in discussione da un eccessiva flessione dei prezzi  al barile, ma con quotazioni intorno ai 50 dollari l’investimento rimarrebbe teoricamente ancora redditizio.

Ma, a volte, anche con queste quotazioni i petrolieri potrebbero non rinvenire egualmente interesse a estrarre, informati da interessi di altra natura, sospendendo la produzione nei siti già trivellati ed evitando ulteriori perforazioni, come si è appunto verificato negli ultimi mesi negli Usa.

Tuttavia, l’amministrazione Trump potrebbe decidere un ingente finanziamento al settore petrolifero nazionale statunitensi, del quale beneficerebbe anche la sua componente in affanno dello shale oil, che in ogni caso contribuisce alle riserve petrolifere del Paese.

Contestualmente si va consumando lo contro interno all’organizzazione dei paesi produttori, l’Opec, che vede una contro l’altra Russia e Arabia Saudita, con quest’ultima a sua volta impegnata a consolidare il proprio ruolo di egemone sugli altri emirati del Golfo Persico.

Una monarchia, quella degli al-Saud, sottilmente dilaniata dalle diuturne lotte intestine tra i vari rami della famiglia reale, con il reggente bin Salman in difficoltà.

Sull’argomento è possibile leggere un’editoriale di Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli Italia, pubblicato lo scorso 13  marzo dalla testata Online “L’Indro”; di seguito, anche un’intervista rilasciata il 16 marzo a Maurizio Bolognetti, giornalista di Radio Radicale.

 

Point-break, petrolio a 30 dollari al barile: la tempesta perfetta, di Michele Marsiglia. Solo ieri la Borsa di Milano ha bruciato oltre 820 miliardi di capitalizzazione e non sono da meno anche le altre piazze finanziarie internazionali con una chiusura di Wall Street in segno negativo di oltre 9.7 % e, di normale conseguenza il nostro spread che segue la scia dei mercati.

Brent a 33 $/b e WTI a 30 $/b, tempesta perfetta con un titolo finanziario a rialzo principale che condiziona, in modo esponenziale, i mercati internazionali: Covid-19.

I petroliferi sono in piena crisi, nel settore usiamo l’espressone «Oil Crash», una vertiginosa perdita di punti percentuali o una svalutazione del tutto non normale del prezzo del Petrolio. Fotografia che non si è vista, se non in periodi storici di crisi petrolifera come quella del 1973 (guerra dello Yom Kippur), ma bensì con un effetto contrario, il prezzo oggi è sceso vertiginosamente e senza controllo.

Da un’analisi e feedback da fonte FederPetroli Italia, solo in questi ultimi quindici giorni, massiccia la flessione non solo sul prodotto grezzo bensì a effetto domino su gran parte di aziende energetiche e società dell’Oil & Gas internazionale, che in settimana hanno perso più del 15 % sul monte titoli e quotazioni.

Il fenomeno è esteso tanto da rimbalzare da una borsa valori all’altra, mantenendo un timing di vendita perfetto. Uno shock petrolifero che sia l’Opec che il fantomatico «Opec Plus» non è riuscito a tener testa, anzi, il conflitto che da tempo era nato e che stava sempre più maturando sull’attrito russo-arabico in questi giorni è venuto a galla.

Un conflitto geopolitico-petrolifero vivo da tempo, proprio quello tra la Russia e la Penisola arabica, dove Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti da giorni continuano a “bombardare” con rilanci sulla modifica delle proprie quote di produzioni di barili giornalieri di petrolio, tanto da sconvolgere i mercati e mettere in crisi lo shale oil statunitense.

Ed è proprio quello l’obiettivo: eliminare la produzione di shale oil Usa; poi si pensa al resto.

Da tempo l’obiettivo della Russia è stato camuffato da un intento saudita contro gli Stati Uniti d’America, ma questo, in parte, è stato solo un giusto alibi.

La Russia e l’Opec erano in guerra con i produttori di shale oil Usa, considerando che alla terra di Putin per raggiungere un proprio break-even, tra costi di estrazioni in Siberia e trasporto sul mercato europeo, nei conti economici basterebbe un prezzo del greggio a 25 dollari a barile, mentre per i produttori di shale si è sempre detto che sotto i 35 dollari al barile sarebbero collassati.

Però l’egoismo di supremazia sovietica questa volta non ha fatto i conti né con l’America né con l’Arabia Saudita.

Secondo le parole del ministro dell’energia russo Aleksandr Novak, «la Russia è forte delle proprie riserve in valuta e oro della banca centrale e qualsiasi possibile perdita sui prezzi del greggio potrà essere compensata a budget, facendo restare l’industria petrolifera russa competitiva a qualunque livello di prezzo»

Hanno sottovalutato la situazione, in primis perché Trump, per non perdere la propria attività industriale, potrebbe applicare politiche di ingenti finanziamenti alle aziende petrolifere impiegate nello shale oil, e poi perché la Russia non immaginava una discesa così brusca del prezzo del greggio che avrebbe solo portato buon vento all’area del Medio Oriente.

La combinazione Opec/Opec Plus sappiamo che non è stato mai un “fidanzamento” economico, geopolitico e petrolifero ottimale, anzi, una convivenza stretta e difficile che solo per un’opportunità (russa) si è voluta far nascere, contribuendo insieme le due organizzazioni a calmierare, seppur per poco, i prezzi dei greggi con una politica di taglio alle produzioni petrolifere dei Paesi membri, ma con forti umori discordanti.

I sauditi in questo momento hanno approfittato – così come ad ogni crash finanziario o crisi – per incrementare la loro produzione petrolifera senza veto alcuno – come tempo fa avevamo spiegato su “L’Indro” -, in questo modo da incrementare nelle prossime settimane la produzione fino a 12,5 milioni di barili al giorno.

È da tenere a bilancio che l’Arabia Saudita non ha mai ben illustrato i reali costi interni di estrazione e produzione petrolifera, quindi il profitto potrebbe essere ancora più alto dei report esterni.

La mossa di Riyadh, tecnica e intelligente in questo momento, è stata oltre a quella di innescare una crisi ribassista dei prezzi dei greggi, anche quella di prenotare ed approvvigionarsi di gran parte di petroliere nei mari internazionali in vista di forti esportazioni di greggio verso Europa e altri paesi asiatici in programma dalla monarchia saudita da aprile.

Riyadh sta sfruttando l’alta volatilità e i prezzi dei noli e delle assicurazioni alle stelle per poter stoccare più prodotto e così detenere un potere petrolifero. Leadership che non è mai cambiata, ma semmai ha subito qualche flessione, anche in virtù della così intricata quotazione dell’azienda energetica di Stato Saudi Aramco qualche mese fa e dell’attacco a due importanti siti di raffinazione nel conflitto con lo Yemen e l’Iran.

L’immagine a cui stiamo assistendo oggi è quella di un enorme tragedia epidemica che però mantiene, seppur con poco risalto, il business, per nostro caso energetico, ad alti livelli di guerra economica e per le quote di mercato.

Ogni buon player sta giocando e sfruttando la situazione e se i mercati ci stanno prospettando una fotografia di continue perdite, dietro quei monitor e quei numeri c’è qualcuno che ci sta guadagnando come non mai.

Una “tempesta perfetta” per riconoscere ancora una volta il Medio Oriente e in particolare l’Arabia Saudita, regina assoluta del petrolio mondiale.

A231 – ENERGIA, GUERRA SUI PREZZI PETROLIFERI: TRE ATTORI (RUSSIA, ARABIA SAUDITA, USA), UN MERCATO GLOBALE E UN ELEMENTO IMPREVISTO (LA PANDEMIA COVID-19). Ai microfoni di Radio Radicale il presidente di FederPetroli Italia MICHELE MARSIGLIA intervistato da MAURIZIO BOLOGNETTI.
Petrolio e pandemia perturbano l’economia mondiale, sotto stretta osservazione il «break even point»: per lo shale oil col greggio a 30 dollari al barile i petrolieri che trivellano negli Usa sono giunti alla soglia della non convenienza a mettere in produzione i siti estrattivi. Oggi (16 marzo 2020) il Brent chiude a 30,1 $/b, il WTI a 28,9 $/b, se poi si aggiunge il crollo delle borse la «tempesta è perfetta». Un titolo finanziario a rialzo condiziona i mercati internazionali, il Covid-19.
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