CRISI SIRIA. Perché l’offensiva della Turchia sta incontrando difficoltà

L’offensiva della Turchia nel Rojava sta fallendo molti dei suoi obiettivi previsti per un insieme di motivi, il primo dei quali è quello di aver sopravalutato la forza delle milizie che ne costituiscono la punta di diamante.

A combattere le unità di difesa curde e dell’esercito governativo siriano ci sono tra gli 11mila e i 14 mila miliziani islamisti, affiancati da più di 50 mila soldati turchi e alcune centinaia di mezzi corazzati.

In prima linea ci sono gruppi associati ai movimenti jiadisti come il Fronte al Nusra e l’Esercito libero siriano, i cui modesti successi sul campo sono dovuti soprattutto alla eccezionale superiorità aerea e all’artiglieria pesante turca che li appoggia.

Alcune di queste milizie erano già state sconfitte dai curdi – un popolo in armi – che vanta combattenti decisamente più motivati e una maggiore organizzazione sotto il profilo militare, rodata da decenni di scontri con i diversi eserciti dell’area.

A difendere il progetto del confederalismo democratico del Rojava ci sono circa 100.000 combattenti dell’SDF, distribuiti lungo un fronte di 300 km a est dell’Eufrate, protetti da campi minati e con abbondanti riserve di munizioni. E, da qualche giorno, anche unità dell’esercito siriano.

LE FORZE ATTUALI DELLA TURCHIA NON BASTANO

I curdi vantano una struttura militare organizzata e l’appoggio dell’esercito della Siria, con la quale ha costituito un’alleanza tattica che si sta rivelando determinante nella difesa delle città obiettivo dell’offensiva delle forze turche.

Per raccogliere un esercito che riesca ad avere la meglio sui curdo-siriani, la Turchia dovrebbe ricorrere a un richiamo militare, e anche in quel caso, potrebbe essere a corto di uomini.

I militari turchi sono ulteriormente vincolati dal rifiuto di Stati Uniti e Russia di consentire alle loro forze aeree di operare nello spazio aereo siriano settentrionale e ciò ostacola la loro capacità di avanzare in profondità lungo il corso dell’Eufrate.

Per evitare lo scontro diretto tra gli eserciti di Siria e Turchia, Putin ha poi provveduto a mettere gli “scarponi sul terreno” della sua polizia militare. Come è avvenuto a Manbij dove il tricolore russo sventola laddove prima c’era la bandiera stelle e strisce.

LA SOSTITUZIONE ETNICA DEL PROGETTO TURCO

L’obiettivo strategico della Turchia era quello di consolidare militarmente l’occupazione della fascia di confine, istituendo un’area di sicurezza nella quale avviare un progetto di sostituzione etnica delle popolazioni che oggi vi risiedono.

Il progetto, prevede che curdi, arabi, assiri, turcomanni e cristiani presenti nell’area, siano sostituiti da tre milioni di profughi della guerra civile siriana. L’85 per cento dei quali – secondo fonti turche – non sono originari di quelle zone.

Un progetto imposto con la forza, che – ad esempio – non tiene conto che a muoversi sul terreno, sono tornati anche gli uomini dell’Isis che nel caos della guerra, hanno colto l’opportunità per fuggire dai campi di prigionia tornando ad imbracciare le armi.

Una realtà che oggi i turchi stanno usando cinicamente contro i curdo-siriani, ma domani potrebbe diventare una minaccia al già fragile progetto di sostituzione etnica che la Turchia persegue.

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