GIUSTIZIA, dottrina e dibattiti. L’illusione del Giudice naturale

Essa è al centro della riflessione, unitamente all’opacità della sua precostituzione per legge, ovvero di come un diritto soggettivo pubblico di rango costituzionale possa divenire un mero riparto di carichi di lavoro tra magistrati, oscillante tra istanze vertenziali, modelli astratti di organizzazione amministrativa e mancanza di trasparenza

a cura del professor avvocato Roberto De Vita e degli avvocati Antonio Laudisa e Marco Della Bruna, pubblicato sul periodico specializzato “De Vita Law”, https://www.devita.law/giudice-naturale-precostituzione-legge/ – L’illusione del Giudice naturale e l’opacità della sua precostituzione per legge, ovvero di come un diritto soggettivo pubblico di rango costituzionale è divenuto un mero riparto di carichi di lavoro tra magistrati, oscillante tra istanze vertenziali, modelli astratti di organizzazione amministrativa e mancanza di trasparenza.

UN PRINCIPIO DI CIVILTÀ GIURIDICA

«La guarentigia del giudice naturale è considerata una delle maggiori e più preziose per le libertà e i diritti dei cittadini», così si esprimeva, addirittura nel 1929, l’insigne giurista, magistrato e avvocato, Lodovico Mortara. Tale principio di civiltà giuridica, oggi trasfuso nell’art. 25, comma 1, della Costituzione (“nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”)[1] vede la sua espressione non solo nel necessario rispetto delle norme in materia di giurisdizione e competenza e nel divieto di istituire giudici straordinari o giudici speciali, ma anche nell’assicurare criteri certi e predeterminati in materia di assegnazione degli affari giudiziari ai singoli giudici. Tali regole di distribuzione sono note, nell’ordinamento italiano, con il nome di «tabelle» o la locuzione di «sistema tabellare» e realizzano (mediante l’opera di regolamentazione generale e di raccordo svolta del Consiglio Superiore della Magistratura, partecipata a vari livelli dai singoli uffici giudiziari) un modello che tende a garantire l’indipendenza dei singoli giudici all’interno dell’ufficio e, dall’altro lato, vorrebbe assicurare il rispetto del principio costituzionale del giudice precostituito per legge.

L’INSANABILE CONTRASTO

Tuttavia, vi è un contrasto insanabile tra chi (studiosi del processo penale, avvocatura, costituzionalisti) ritiene che il sistema sia espressione funzionale di un diritto costituzionale e chi (la magistratura), al contrario, vi individua un mero strumento organizzativo, una questione interna alla categoria che non necessita di osservazione, conoscenza o controllo da parte dei cittadini. E da ciò deriva anche la generale mancanza di verificabilità che – in concreto – caratterizza la materia. Basti osservare con quale difficoltà si possano reperire e consultare le tabelle di molti uffici giudiziari, talvolta nascoste nei meandri di siti web male indicizzati, altre volte del tutto assenti: espressione di una generale mancanza di trasparenza. Peraltro, intorno a tale sistema si è sviluppato nel tempo un costante dibattito, alimentato dalle procedure complesse, talvolta addirittura farraginose, che lo caratterizzano, fino a condurre di recente ad un tentativo di riforma organica dell’ordinamento giudiziario, volto a risolverne alcune criticità strutturali, ma che non tocca ancora il cuore della questione.

GIUDICE COME UFFICIO GIUDIZIARIO

Accanto a esso, permane la strenua difesa da parte della magistratura di un principio di loro elaborazione (ma che non trova suffragio nelle norme e nell’opinione degli studiosi), ovvero che quello del giudice precostituito per legge sia precetto applicabile al solo ufficio giudiziario e non al singolo giudice persona fisica. Giudice come ufficio giudiziario e non come persona fisica, mancanza di trasparenza e di verificabilità in concreto, a cui si aggiunge l’inesistenza di rimedi processuali in caso di violazioni e la previsione di mere e teoriche sanzioni disciplinari. Questo il quadro dell’idea che la scelta del giudice non debba in alcun modo essere verificata, in quanto questione interna (quasi segreta) degli uffici giudiziari. Il Giudice naturale precostituito per legge e il sistema di assegnazione ai singoli giudici. L’attuale procedura di assegnazione dei processi ai singoli giudici è frutto di una stratificazione di norme primarie e regolamentari, in cui è centrale il ruolo del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), organo di autogoverno e garanzia del potere giudiziario. Tale articolata regolamentazione ha avuto, nel nostro ordinamento, una genesi risalente all’inizio degli anni Settanta e ha vissuto un’evoluzione progressiva, sia in chiave legislativa che giurisprudenziale, giunta sino ai recenti progetti di riforma ed ai conseguenti dibattiti.

LA CIRCOLARE DEL CSM SULL’ASSEGNAZIONE “TABELLARE”

Quello che, agli occhi dei più, risulta essere un tema squisitamente tecnico e di esclusivo appannaggio degli operatori del diritto, ha in realtà un radicato legame con diritti e garanzie di tutti i consociati. In concreto, la disciplina (che potrebbe essere percepita all’apparenza come un mero meccanismo automatico di divisione del carico di lavoro di un ufficio giudiziario) rappresenta, in particolare in ambito penale, un momento delicato e fondamentale per il rispetto dei diritti fondamentali dell’imputato e delle altre parti. In questi termini, lo stesso CSM, in una delle prime circolari che introducevano una embrionale procedura di assegnazione “tabellare” delle cause tra i giudici dei singoli uffici giudiziari[2], affermava che il modello di assegnazione era «volto ad assicurare ad un tempo l’indipendenza interna dei giudici ed il principio di precostituzione del giudice (…)». Veniva, quindi, apertamente evocato l’art. 25, comma 1 della Costituzione, in base a cui «nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge»[3]: il principio di precostituzione del giudice, contenuto nella parte della carta costituzionale relativa ai diritti e doveri dei cittadini e altresì richiamato dall’art. 6 della CEDU[4] e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE[5], è alla base della garanzia di un processo giusto, poiché assicura l’imparzialità[6] e, di conseguenza, la credibilità ed affidabilità del potere giudiziario in un sistema democratico.

TUTTO RISALE AI TEMPI DELLA RIVOLUZIONE

In effetti, tale garanzia ha un’origine ben precedente all’inserimento nella nostra Carta costituzionale e, addirittura, risale alle costituzioni rivoluzionarie nella Francia di fine Settecento e poi ripresa nelle Carte costituzionali francesi di metà Ottocento [7], che videro l’affermazione del citato principio in chiave di reazione all’ingerenza del sovrano negli affari giudiziari. In altre parole, l’obiettivo era quello di affidare solo alla legge il potere di regolamentare l’ordinamento giudiziario e la sua organizzazione, così evitando, ad esempio, che il sovrano potesse ad libitum istituire un nuovo giudice straordinario (che giudicasse di fatti specifici o persone ben individuate) o giudici speciali (che conoscessero e giudicassero una generalità di controversie attinenti a materie rientranti, di norma, sotto l’egida della giurisdizione ordinaria). La conseguente evoluzione normativa portò all’introduzione delle medesime previsioni nello Statuto Albertino (prima)[8] e nella Costituzione (poi): peraltro, un corollario dell’odierno principio costituzionale è espressamente riportato anche nell’articolo 102, comma 2 della Costituzione[9], che prevede il divieto di istituire «giudici straordinari o giudici speciali».

PRECOSTITUZIONE DEL GIUDICE

Al netto di tale pacifico divieto, l’evoluzione interpretativa del principio di precostituzione del giudice contiene in sé un’ulteriore e più ampia portata, ben chiarita dalla Corte Costituzionale in una pronuncia cardine sul tema: con la sentenza n. 88 del 7.07.1962, la Consulta ha affermato che la precostituzione del giudice per legge si realizza nella “previa determinazione della competenza, con riferimento a fattispecie astratte realizzabili in futuro, non già, a posteriori, in relazione, come si dice, a una «reigiudicanda già insorta», mediante l’individuazione di una competenza fissata immediatamente ed esclusivamente dalla legge, senza la possibilità di una «alternativa fra un giudice e un altro, preveduta dalla legge, ma risolubile a posteriori, con provvedimento singolo, in relazione a un dato procedimento», in quanto «precostituzione del giudice e discrezionalità nella sua concreta designazione sono criteri tra i quali non si ravvisa una possibile conciliazione». In questi termini, il Giudice delle Leggi ha individuato nell’art. 25, comma 1 Cost. una riserva di legge in materia di competenza del giudice, da cui deriva l’incostituzionalità di qualsiasi disposizione che attribuisca ad organi dell’esecutivo e giudiziari il potere di modificare post factum la competenza del giudice[10]; d’altra parte, la stessa Corte ha rimarcato la portata sostanziale del principio del giudice naturale precostituito per legge: esso risponde al bisogno di assicurare ad ogni individuo che le sue azioni saranno giudicate da un organo precostituito, «cioè individuabile in base a regole preesistenti alla reigiudicanda e tali da escludere qualunque discrezionalità sulla scelta».

LE RADICI DELL’IMPARZIALITÀ

Come anticipato, questa norma costituisce la base su cui si radica la garanzia di imparzialità dell’organo di giurisdizione, in quanto esclude che la sua designazione (così come la determinazione delle sue competenze) possa essere condizionata da fattori esterni, successivi ai fatti da giudicare[11]. In altri termini (e mutuando il pensiero di autorevole dottrina) «l’art. 25, comma 1 Cost. risponde al diritto fondamentale ad avere un giudice indipendente e imparziale, il quale, nel conflitto tra opposte pretese sottoposte al suo giudizio e tra le parti che ne sono portatrici nel processo, non possa dare adito al dubbio di essere stato appositamente istituito per quella controversia e per quelle parti»[12]. In via di sintesi, il principio di precostituzione del giudice garantisce quindi il diritto di essere giudicati in maniera imparziale e in assenza di condizionamenti o conflitti di interesse, secondo un sistema che impedisca la possibilità di scegliere il giudice o di influenzarne in qualsiasi modo il procedimento di nomina sulla base di convenienze contingenti. Oltre ad essere fondamentale per garantire il funzionamento della giustizia e il trattamento equo dei cittadini, la consapevolezza di essere giudicati da un giudice scelto dalla legge secondo criteri oggettivi e imparziali è altresì fondamentale per alimentare la fiducia dei singoli nel sistema giudiziario.

LA QUESTIONE CONTROVERSA

Ma se è fin dal principio chiaro che l’art. 25 della Costituzione rappresenta il caposaldo delle regole di competenza nell’ottica del riparto degli affari tra i vari uffici giudiziari, è invece più difficile stabilire se il medesimo principio di precostituzione debba essere anche riferito al giudice persona fisica. In altre parole, la certezza di una precostituzione del giudice (anche solo nei criteri di assegnazione e riparto) deve riguardare solo l’organo decidente oggettivamente inteso (ossia l’ufficio) o anche il singolo giudice persona fisica, nell’ambito dell’organo medesimo? Si tratta di una delle questioni maggiormente controverse in materia e che, ancora oggi, non ha trovato una definitiva soluzione. La dottrina maggioritaria ritiene che il giudice naturale debba essere identificato con il magistrato persona fisica[13], in quanto solo tale impostazione consente la piena e concreta realizzazione della precostituzione del giudice; al contrario, escluderne dall’applicazione la ripartizione delle cause tra i singoli magistrati all’interno del medesimo ufficio giudiziario priverebbe di effettività la citata garanzia. In termini tanto iperbolici quanto concreti si esprime il celebre adagio, secondo cui «impedire che un dato processo possa essere giudicato dal Tribunale di Catania invece che da quello di Ragusa non vale niente, se non resta impedito che si costituisca il Tribunale di Ragusa applicando ad esso i giudici del Tribunale di Catania»[14].

LA PRONUNZIA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

La questione è stata a lungo dibattuta anche in giurisprudenza, soprattutto costituzionale: se, infatti, la Corte di Cassazione, in maniera tranchant e contraria alla posizione della dottrina, ha riferito il citato principio al solo organo giudicante e non al giudice persona fisica[15], la Corte Costituzionale ha esaminato in maniera più penetrante il tema, rendendo varie pronunce non immediatamente sussumibili in un’unica e netta presa di posizione sulla questione. In via di sintesi (e nella consapevolezza che la tematica attinente alla determinazione dei confini del concetto di “giudice” necessiterebbe di un approfondimento monografico), la Corte Costituzionale ha oscillato tra la lettura della dottrina maggioritaria[16] e quella più restrittiva espressa dalla Cassazione: secondo taluni commentatori, tale apparente discrasia deriverebbe dalla necessità della Consulta di «coniugare l’interpretazione più garantista con l’esigenza di assicurare il buon andamento e l’efficienza del sistema giudiziario». Di conseguenza, «il giudice costituzionale è consapevole, infatti, che solo identificando il giudice naturale con la persona fisica si tutela in pieno la garanzia contenuta nell’articolo 25, primo comma, Cost.; tuttavia è altrettanto conscio del fatto che un’impostazione così rigorosa può pregiudicare l’adeguata organizzazione del servizio giustizia, interesse pure meritevole di attenzione. In definitiva, dalla giurisprudenza costituzionale emerge la necessità di un’attenta opera di bilanciamento dei diversi valori in gioco».[17]

FONDAMENTI DEL SISTEMA TABELLARE

In ogni caso, al netto delle incertezze interpretative in ordine all’effettiva estensione del principio di cui all’art. 25, comma 1 Cost., è lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura ad ancorare alla garanzia del giudice naturale precostituito per legge le proprie disposizioni regolamentari in materia di criteri di assegnazione dei procedimenti all’interno dei singoli uffici giudiziari. Ed infatti, come anticipato, su questo principio si fonda il cosiddetto «sistema tabellare»: secondo altri studiosi, è stato proprio il diffondersi del “sistema tabellare” e la successiva introduzione delle norme di cui agli art. 7 bis e 7 ter nella legge sull’ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 30.01.1941, di cui si dirà oltre) a legare in maniera più netta l’assegnazione dei giudici ai singoli uffici con il principio di precostituzione del giudice. A riprova di ciò, vi sarebbe il fatto che l’interpretazione più garantista della Corte Costituzionale risiederebbe in pronunce successive all’entrata in vigore delle citate disposizioni. La rilevanza della corretta e certa individuazione del giudice quale persona fisica appare tuttavia ancora più evidente sulla base di una considerazione di carattere statistico.

DILUITI I RISCHI DI SCOSTAMENTO DALLE REGOLE

Infatti, all’interno dell’ordinamento italiano (con particolare riferimento alla giustizia penale), attraverso le diverse fasi e gradi del procedimento, sono nettamente predominanti i “momenti” durante cui a decidere è un solo individuo anziché un collegio, anche in ragione della proporzione inversa tra gravità dei fatti di reato e frequenza di commissione. Laddove in presenza di un giudice collegiale potremmo ritenere diluiti i rischi connessi a uno scostamento dalle regole nell’individuazione di uno o più giudici, nel caso di composizione monocratica sarebbe ben più esposto a pericolo l’affidamento riposto da parte degli utenti del sistema giustizia. Infatti, i procedimenti penali presso i Tribunali Ordinari nel primo trimestre del 2023 ammontano a 1.005.982, dei quali il 57,47% sono pendenti innanzi al Tribunale in composizione monocratica, il 39,03% innanzi a Giudici per le indagini preliminari o Giudici dell’udienza preliminare (entrambi monocratici), mentre solo il 3,45% e lo 0,4% pendono rispettivamente innanzi al Tribunale in composizione collegiale e alla Corte di Assise. A tali numeri, inoltre, si possono aggiungere 72.040 procedimenti di competenza del Giudice di Pace. Includendo anche questi ultimi, si raggiunge una percentuale del 96,73% di procedimenti che vengono trattati, in almeno una delle loro fasi e gradi, da parte di un giudice monocratico. Si consideri, infine, che nel medesimo periodo i procedimenti pendenti presso le Corti di Appello e la Corte di Cassazione sono naturalmente molto inferiori, rispettivamente 247.588 e 17.697[18].

TABELLE DI ORGANIZZAZIONE DEGLI UFFICI GIUDICANTI

Originariamente, il sistema tabellare aveva la sua fonte esclusivamente nella disciplina secondaria delle circolari del CSM, ma nel 1988 fu poi seguito dall’introduzione nella legge sull’ordinamento giudiziario degli art. 7bis (oggi rubricato “Tabelle degli uffici giudicanti”) e 7ter (oggi rubricato “Criteri per l’assegnazione degli affari e la sostituzione dei giudici impediti”) e alle loro successive riforme. In base a tali disposizioni, le assegnazioni, dunque, vengono definite secondo un sistema di tabelle di organizzazione realizzate per ciascun ufficio, che sono determinate con cadenza quadriennale (prima triennale) con decreto del Ministero della Giustizia, sulla base delle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura (Circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti), in osservanza delle norme di ordinamento giudiziario. Infatti, il ruolo del CSM nella determinazione delle assegnazioni (ex art. 105 della Costituzione[19]) è espressione di garanzia nei confronti dell’ordine giudiziario, che in assenza di tale potere perderebbe di autonomia rispetto agli altri poteri dello Stato, ed in particolare l’esecutivo; quest’ultimo, infatti, potrebbe altrimenti decidere su nomine, trasferimenti, promozioni dei magistrati inficiandone l’indipendenza. Inoltre, pur basandosi sulle indicazioni della Circolare, il procedimento di formazione delle tabelle di ciascun ufficio giudiziario vive di un confronto ampio che parte dalle segnalazioni effettuate dai dirigenti degli Uffici giudiziari e che si arricchisce (tra i vari) dei contributi di tutti i magistrati che vi lavorano, dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati, dei Procuratori della Repubblica e dei dirigenti amministrativi e del parere del Consiglio giudiziario.

PRINCIPIO DI CERTEZZA E STABILITÀ DELL’ASSEGNAZIONE DEL MAGISTRATO

Pertanto, le tabelle sono frutto di un processo di realizzazione allargata, che però si ispira ad un principio di certezza e stabilità dell’assegnazione del magistrato: ed infatti, una volta approvata la tabella, si richiede un provvedimento motivato per consentirne la modifica, che ne limita fortemente la possibilità di intervenire arbitrariamente sulla scelta del Giudice da parte dell’Ufficio. D’altro canto, all’interno del sistema tabellare è cruciale anche il tema dell’assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi, che negli ultimi anni è divenuto un tema estremamente discusso. Infatti, da un lato i casi di cronaca riguardanti l’operato del CSM hanno acceso il dibattito nell’opinione pubblica, alimentando timori di scelte “pilotate” nella selezione degli incaricati e, di conseguenza, del loro operato nell’esercizio della funzione giurisdizionale[20]. Dall’altro, il sistema si è dimostrato fallace, laddove si sono palesati contrasti tra il CSM e la giurisdizione amministrativa: l’annullamento da parte del Consiglio di Stato di alcune nomine apicali operate dall’organo di autogoverno della magistratura (Primo Presidente e Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione) hanno posto importanti dubbi sui potenziali conflitti di poteri e sulla sindacabilità di talune decisioni di quest’ultimo[21].

SCARSA VERIFICABILITÀ E CARENZA DI STRUMENTI A TUTELA

Il rispetto della tabella: scarsa verificabilità in concreto e mancanza di strumenti di tutela: l’ordinamento italiano ha attribuito al principio del giudice naturale un ruolo di assoluto rilievo nella costruzione del proprio modello di ordinamento giudiziario democratico: lo stesso sistema tabellare, pur con le sue perfettibilità, è concreta manifestazione della ricerca di una piena attuazione del principio di cui all’art. 25 della Costituzione[22]. Ad una preminente e lodevole attenzione al dato formale, tuttavia, non è mai seguita una effettiva e condivisa pubblicità delle tabelle adottate dai singoli uffici giudiziari: dal punto di vista pratico, i soggetti titolari del diritto al giudice naturale (ossia i cittadini) non hanno reale conoscenza dei criteri e delle logiche di riparto ed assegnazione dei processi ai singoli giudici. Le tabelle, infatti, non sono oggetto di una strutturata e condivisa opera di pubblicazione in rete: queste talvolta non si riescono a rinvenire, in altri casi non sono correttamente indicizzate e, pertanto, non possono essere ricercate agevolmente dal singolo utente. Un difetto di trasparenza in assoluta controtendenza con l’attuale impianto (normativo e tecnico-organizzativo) delle pubbliche amministrazioni, che attraverso l’impiego delle risorse informatiche consentono una chiara ed univoca accessibilità informativa ai singoli utenti privati. L’origine di questa mancanza deve essere rinvenuta proprio in quel pensiero che anima la giurisprudenza in materia: il sistema tabellare è solo uno strumento organizzativo e non è espressione di alcun principio costituzionale. Se così fosse e tale lettura fosse corretta, sarebbe ovviamente trascurabile la necessità di consentire la verificabilità in concreto del rispetto delle tabelle da parte dei cittadini.

COSA È OPPORTUNO

È dunque opportuno chiarire che deve essere ribaltata la prospettiva di osservazione: le tabelle non sono una mera questione interna, derivante dell’interpretazione che viene fatta dei dettati legislativi e costituzionali; al contrario, è quest’ultimo orientamento ad essere servente conseguenza della volontà di mantenere il sistema tabellare, in fase di applicazione, quanto più possibile sotto l’esclusivo controllo della magistratura stessa. Questa carenza è ulteriormente e coerentemente acuita dalla mancanza di rimedi processuali effettivi, attraverso cui il soggetto parte del procedimento giurisdizionale possa concretamente azionare il proprio diritto al giudice naturale: di talché, quest’ultimo risulta oggi come il più classico esempio di «diritto di carta».[23] In altre parole, pur in presenza di un modello astratto garantista, che assicura nei suoi principi il rispetto della precostituzione del giudice, non c’è concreta e piena visibilità del modello adottato dal singolo ufficio e, dal punto di vista tecnico-giuridico, non esiste alcun rimedio che consenta al cittadino di attivare tale diritto nella sua «concezione forte».[24] Infatti, laddove vi è una partecipazione anche esterna alla magistratura che consente la condivisione (più o meno efficiente e virtuosa) in fase di approvazione, è proprio in fase di applicazione, come detto, che si palesa la maggiore criticità.

GIUDICE NATURALE E GIUDICE PERSONA FISICA

Dal punto di vista del cittadino, inteso quale fruitore e destinatario del “servizio” giustizia, ciò che ha maggiore importanza non è tanto che la tabella risponda ad esigenze di efficienza, ma sapere che verrà effettivamente rispettata[25] o, in alternativa, che esisterà uno strumento processuale per rivendicare il rispetto del proprio diritto al giudice naturale. Tale principio, dunque, sarebbe garantito, da un lato, dalla conoscibilità delle tabelle (per verificarne il rispetto) e, dall’altro, dalla previsione di idonei rimedi. In caso contrario, l’assegnazione degli affari giudiziari ai singoli giudici non potrà che rimanere un mero “fatto organizzativo” interno appannaggio dei soli assegnandi e non un diritto costituzionale degli individui. Secondo i più autorevoli studiosi del diritto costituzionale, tale impasse (e, in particolare, l’assenza di rimedi processuali) trae origine da una molteplicità di fattori, intersecati tra loro: alcuni legati all’interpretazione del concetto di «giudice naturale», altri connessi al necessario bilanciamento (di cui si è fatta portatrice la Corte Costituzionale in numerose pronunce) tra garanzie nell’esercizio della funzione giurisdizionale e buon andamento dell’amministrazione della giustizia. Tra questi profili, ce n’è uno che assume assoluta centralità: l’assenza di condivisione sul principio dell’identificabilità del giudice naturale con il giudice persona fisica (come già descritta) impedisce, di conseguenza, la protezione giurisdizionale, in termini di tutela piena, del diritto alla precostituzione del giudice.

REVOCA/MODIFICA

Infatti, se non viene pacificamente riconosciuto che l’art. 25 della Costituzione riguardi anche l’assegnazione al giudice persona fisica della specifica controversia (quindi la tabella e il suo rispetto), sarà impossibile ammettere che una parte processuale possa agire per richiedere il rispetto del criterio tabellare, qualora negato o pretermesso. Venendo al dato normativo, oggi la legge prevede sì che la revoca/modifica dei provvedimenti di assegnazione debba essere motivata e la stessa Corte Costituzionale è, in passato, intervenuta sul punto sottolineando come l’eventuale modifica di un atto di assegnazione dovrebbe essere limitata «ad obiettive esigenze dell’organizzazione dei servizi giudiziari. Né va pretermesso il dovere di una congrua motivazione, affinché di tali esigenze venga data adeguata enunciazione, ai fini di eventuale sindacato sui provvedimenti medesimi»[26]. Ciononostante, l’art 7 bis dell’Ordinamento giudiziario[27] (a seguito della riforma del 2007) stabilisce che «la violazione dei criteri per l’assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati»: pertanto, è possibile che i criteri di assegnazione vengano piegati ad esigenze contingenti dell’ufficio, determinando però il venire meno dell’oggettività del metodo di scelta che è a garanzia del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, senza che vi sia alcuna conseguenza processuale per gli atti e i provvedimenti che saranno adottati dal giudice. Ecco la carenza di tutela della “concezione forte” di tale diritto.

IL FULCRO DEGLI ATTUALI DIBATTITI

Questo tema costituisce, in effetti, il fulcro degli attuali dibattiti in ordine all’effettività, certezza, verificabilità e trasparenza dei criteri di assegnazione: infatti, come anticipato, l’utilizzo di un sistema tabellare predeterminato risponde sì ad una esigenza organizzativa (ad esempio, per consentire di ripartire equamente e con la maggiore efficienza possibile il carico di lavoro), ma dovrebbe altresì essere diretta applicazione del principio di precostituzione del giudice. Principio che verrebbe negato, qualora, pur in presenza di una regola chiara, ve ne sia una applicazione scostante e priva di certezza, realizzata, ad esempio, mediante il frequente ricorso ad assegnazioni in deroga alle ordinarie previsioni. In tal senso, la mancanza di sanzioni processuali per gli atti compiuti da un giudice composto (o assegnato) in deroga alle disposizioni e, altresì, l’assenza di rimedi esperibili non consente alle parti sostanziali ed agli avvocati stessi di «pretendere» il rispetto di quelle norme che dovrebbero essere state introdotte, almeno in quota parte, per garantire un loro diritto costituzionale. Ciò, perlomeno, stando a quanto afferma lo stesso CSM. L’introduzione della previsione citata all’interno dell’art. 7bis ha, nei fatti, sgomberato il campo da dubbi, elucubrazioni e tentativi di interpretazioni sistematiche con cui i protagonisti dell’attività giurisdizionale si erano confrontati, nel tentativo di individuare una “soglia minima” di tutela del principio di cui all’art. 25, comma 1 della Costituzione. Sul tema, è particolarmente significativo l’approccio in tema di giustizia penale[28]: tale preminenza nel dibattito sull’art. 25 Cost. non origina solo e tanto dalla generale rilevanza dei beni costituzionali coinvolti nel processo penale, ma deve essere ricondotta al fatto che, in tale settore della giustizia, il citato principio costituzionale ed il relativo modello di attuazione (il sistema tabellare) avessero subito una sostanziale negazione[29].

L’INTRODUZIONE DELL’ART.33 COMMA 2 C.P.P.

Dal punto di vista normativo, infatti, l’introduzione (con il codice di procedura penale del 1988) dell’art. 33, comma 2 c.p.p. (secondo cui «non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici») escludeva che un’eventuale errata assegnazione potesse mettere in discussione l’autorità giudicante e la sua capacità. L’interpretazione rigorosa di tale norma da parte della Cassazione aveva, in origine, confermato che l’ambito di applicazione dell’art. 25 Cost. fosse relativo alle sole regole del riparto di competenza tra uffici giudiziari, non riconoscendo mai espressamente l’identificabilità del giudice naturale con la persona fisica del singolo magistrato. Una lettura in aperta contrapposizione con la principale tesi della dottrina, che condusse ad una questione di legittimità costituzionale dell’art. 33, comma 2 c.p.p. in relazione all’art. 25, comma 1 della Costituzione, risolta dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 419 del 1998: con una sentenza interpretativa di rigetto, la Corte ebbe a specificare che la norma costituzionale indicata attribuisce ai cittadini «la garanzia che la competenza degli organi giudiziari è sottratta ad ogni possibilità di arbitrio. Al fine di assicurarne la imparzialità, è escluso che il giudice possa essere designato tanto dal legislatore con norme singolari che deroghino a regole generali quanto da altri soggetti con atti loro rimessi, dopo che la controversia è insorta»[30]; tuttavia, statuì che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti «pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili” non erano “necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacità del giudice, alla cui carenza il legislatore ha collegato la nullità degli atti».[31]

RILIEVO DELLA VIOLAZIONE DEI CRITERI DI ASSEGNAZIONE

Di conseguenza, per quanto fosse rilevante l’eventuale violazione dei criteri di assegnazione e per quanto dovesse essere oggetto di appositi meccanismi di tutela, questa non poteva riguardare la capacità del giudice. Tuttavia, la stessa Consulta aggiunge che «Questo non significa che la violazione dei criteri di assegnazione degli affari sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi».[32] Questa pronuncia, unitamente all’affermazione dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 della Costituzione, alimentò un tentativo di cambiamento anche nella giurisprudenza della Cassazione, che cercò di individuare quegli «appropriati rimedi» per le parti nei casi in cui la violazione dei criteri di assegnazione era talmente significativa da realizzare, di fatto, «la costituzione di un giudice ad hoc per decidere su una determinata controversia», tale da pregiudicare l’imparzialità del giudice. Il caso specifico[33] riguardava un procedimento cautelare in cui, su una misura emessa dal G.I.P. di Cosenza, si era pronunciato (revocando le misure cautelari disposte) il Tribunale di Catanzaro, composto (previa adozione di specifico provvedimento del Presidente della Prima Sezione del citato Tribunale e previa fissazione di un’udienza straordinaria) da un collegio appositamente costituito, da cui erano estranei tutti i giudici assegnati mediante le tabelle (nessuno dei quali era mancante o impedito) e a cui partecipavano il Presidente medesimo e due giudici non assegnati al riesame. Alla base di tale provvedimento, vi era il notevole carico della sezione di riesame. Con la sentenza n. 27055 del 7.05.2003, la Prima Sezione della Cassazione censurò tale provvedimento, affermando che «se è vero che le violazioni poste in essere in materia “tabellare” non possono essere ricondotte nell’alveo delle nullità assolute, giusta lo specifico dettato dell’art. 33 comma II c. p.p., è altrettanto vero che esistono e possono esistere atti e/o provvedimenti che solo formalmente sono riconducibili allo schema ora citato, ma che invece, proprio perché realizzati al di fuori dello stesso, vanno qualificati come posti in essere extra ordinem e, in quanto tali, rientranti nel novero di quelle nullità previste dagli artt. 178 n. 1 lett. a) e 179 comma 1° c.p.p. siccome in irriducibile contrasto con i precetti costituzionali in argomento».[34]

SOGLIA DI RILEVANZA PROCESSUALE

Tuttavia, quest’effettiva apertura alla valorizzazione della “concezione forte” del diritto al giudice naturale fu, negli anni successivi, limitata dalle ulteriori pronunce del medesimo giudice di legittimità che, da un lato, rigettarono (o dichiararono inammissibili) le successive questioni attinenti al tema del mancato rispetto dei criteri di assegnazione, dall’altro, introdussero ulteriori requisiti per individuare la “soglia di rilevanza processuale” delle violazioni in materia di sistema tabellare. Sintesi del lungo percorso giurisprudenziale successivo alla pronuncia del 2003 si rinviene nella recente sentenza Cass. Sez. IV, n. 32899 dell’8.01.2021, secondo cui le violazioni delle regole sull’assegnazione dei processi «incidono sulla capacità del giudice, con conseguente nullità ex art. 178 c.p.p., lett. a), solo quando hanno per scopo l’elusione o la violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (…), ossia quando risultino o siano comprovate situazioni extra ordinem, caratterizzate dall’arbitrio nella designazione del giudice e prodottesi al di fuori di ogni previsione tabellare, proprio per costituire un giudice ad hoc, situazioni dinanzi alle quali non può più affermarsi che la decisione della regiudicanda è stata emessa da un giudice precostituito per legge (…). Occorre, pertanto, che si determini uno stravolgimento dei principii e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti»[35] Di conseguenza, i requisiti introdotti in via interpretativa attengono, da una parte, all’assoluta eccentricità del provvedimento rispetto alle disposizioni di legge (ad esempio, assenza di motivazione del provvedimento di assegnazione) e totale pretermissione delle regole amministrative tabellari, e non alla loro «mera violazione»; d’altro canto, in ordine allo “stravolgimento dei principi”, questo deve costituire un perseguimento di finalità estraneo all’ordinario esercizio della funzione, simile alla categoria dello “sviamento di potere” propria del diritto amministrativo.

LA CAPACITÀ DEL GIUDICE

In tal senso, anche la recentissima sentenza Cass. Sez. II n. 3534 del 2023, pur riconoscendo lo sforzo ermeneutico della Corte Costituzionale (prima) e del giudice di legittimità (poi) per attribuire rilevanza endoprocessuale alla violazione delle disposizioni in materia di assegnazione e al bilanciamento tra la previsione di cui all’art. 33, comma 2 c.p.p. e i principi costituzionali e sovranazionali in materia di giudice precostituito per legge[36], ha sostanzialmente ricalcato l’orientamento in base a cui è vero che «anche la violazione delle regole amministrative “tabellari” può incidere sulla capacità del giudice», ma solo se «la stessa ha l’attitudine a stravolgere l’assetto ordinamentale, ovvero ad incidere sulla indipendenza ed imparzialità dello stesso, attributi decisivi per definire la ratio della tutela del diritto al giudice naturale». Tale attitudine si misura in relazione ai predetti requisiti (natura extra ordinem del provvedimento e finalità di sviamento del potere). In ogni caso, la sentenza Cass. Sez. II n. 3534 del 2023 ci tiene comunque a ribadire che può «essere confermato l’orientamento secondo cui la garanzia costituzionale del giudice naturale riguarda l’ufficio giudiziario, non la persona fisica del giudice». In termini più generali, entrambe le pronunce citate richiamano i più recenti arresti sul tema della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE): la prima, nella pronuncia Gudmundur Andri Astradsson c. Islandadel 1.12.2020[37], ha affermato «che la violazione da parte di un “giudice” delle disposizioni di diritto interno che disciplinano la costituzione e la competenza degli organi giudiziari comporta in linea di principio una violazione dell’articolo 6 § 1», così riconoscendo la rilevanza del principio e rivendicando che la Corte Europea è competente a decidere sul rispetto delle norme di diritto interno in materia.

CEDU E CGUE

Ciononostante, la Corte di Strasburgo ha comunque riconosciuto che «alla luce del principio generale secondo il quale spetta in primo luogo agli stessi giudici nazionali interpretare la legislazione interna, la Corte ha anche ritenuto di poter mettere in discussione la loro valutazione solo in caso di chiara violazione di tali norme». Al contempo, la CGUE[38], allineandosi alla giurisprudenza di Strasburgo, ha affermato che sebbene il diritto al giudice naturale «garantito tanto dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU quanto dall’articolo 47, comma 2, della Carta, è un diritto autonomo, esso è nondimeno assai strettamente legato alle garanzie di indipendenza e di imparzialità derivanti dalle due disposizioni in parola»; d’altra parte, ha specificato che «un’irregolarità commessa in occasione della nomina dei giudici in seno al sistema giudiziario di cui trattasi comporta una violazione dell’articolo 47, secondo comma, prima frase, della Carta, in particolare quando tale irregolarità sia di natura e gravità tali da generare un rischio reale che altri rami del potere, in particolare l’Esecutivo, possano esercitare un potere discrezionale indebito tale da mettere in pericolo l’integrità del risultato al quale conduce il processo di nomina, così suscitando un dubbio legittimo nei singoli quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici interessati, il che avviene qualora vengano in rilievo norme fondamentali che costituiscono parte integrante dell’istituzione e del funzionamento di detto sistema giudiziario». Nonostante le evidenti aperture della giurisprudenza sovranazionale, nell’ordinamento italiano (in particolare in materia di giustizia penale) il cono di rilevanza endoprocessuale dell’effettiva attivazione del diritto al giudice naturale precostituito per legge in relazione alle norme (primarie e regolamentari) in materia di assegnazione al giudice persona fisica è ampiamente ridotto dal testo dell’art. 33, comma 2 c.p.p. e, altresì, dai requisiti posti dalla giurisprudenza nell’interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso. Questo fa sì che l’accoglimento delle eccezioni processuali in relazione ad errate assegnazioni è, di fatto, una specie di “unicorno giuridico”.

L’UNICORNO GIURIDICO

Parallelamente, il tenore del citato art. 7bis non pare lasciare adito a diverse interpretazioni di carattere generale, nella misura in cui esclude recisamente la configurazione di qualsivoglia nullità dei provvedimenti adottati per mancato rispetto delle norme in materia di assegnazione. La volontà di riformare l’ordinamento giudiziario ha animato l’attività del Ministero della Giustizia e del Parlamento per diversi anni, fino a subire un’accelerazione decisiva proprio a causa dei fatti sopra accennati, con il timore da parte di alcuni che vi potesse essere una logica punitiva nei confronti della magistratura, originata dal particolare momento storico[39]. Nello specifico, un primo disegno di legge era già stato presentato nel 2020 dall’allora ministro Bonafede, che si concentrava sulla riforma del CSM[40]. Successivamente, con il ministro Cartabia, si è arrivati a concretizzare una delega per una riforma più ampia, che intervenisse sia sull’ordinamento giudiziario ordinario che su quello militare (concedendo per quest’ultimo un termine più lungo, pari a due anni). Nel 2022, dunque, è stata approvata la legge delega n. 71, che ha concesso al governo un termine fino al 21 giugno 2023 per riformare l’ordinamento giudiziario. Tuttavia, tale termine è stato poi prorogato di sei mesi, vista la necessità di ulteriore tempo manifestata dall’attuale ministro per apportare dei “correttivi” rispetto all’originaria delega[41].

PROSPETTIVE ATTUALI DI RIFORMA

La legge contiene già delle norme di immediata applicazione, in particolare l’elevazione a quattro anni del periodo di efficacia delle tabelle. Si tratta di una modifica che è già stata accolta con favore, vista la difficoltà che il periodo triennale comportava per la realizzazione degli obiettivi indicati dai progetti organizzativi degli uffici e il mancato allineamento con i periodi di permanenza dei Presidenti di Tribunali e Sezioni[42]. La riforma dovrebbe intervenire in maniera organica, rivedendo – tra le varie – i criteri di assegnazione di incarichi direttivi e semidirettivi secondo criteri di trasparenza e valorizzazione del merito, nonché alla modifica delle procedure di valutazione dei magistrati e, naturalmente, del procedimento di approvazione delle tabelle organizzative degli uffici giudiziari[43]. Per quanto attiene alla formazione di queste ultime, un obiettivo centrale dovrebbe essere quello di semplificare e velocizzare il procedimento di formazione e approvazione, mantenendo la possibilità di intervenire per modificarle in corso di quadriennio. Quest’ultima disposizione è fondamentale per adattare le tabelle alle necessità in evoluzione degli uffici, che richiedono interventi immediati ed efficaci ai fini di un corretto funzionamento del sistema e della ragionevole durata del processo[44]. Un sistema tabellare che presenti ampi margini di inefficienza, infatti, potrebbe non consentire il raggiungimento degli obiettivi proposti, soprattutto per quanto riguarda il principio del giudice naturale. La legge delega affronta questo problema e identifica due strumenti di miglioramento a monte: uno riguarda, come evidenziato, la semplificazione della redazione delle tabelle, stabilendo che i documenti organizzativi degli uffici, le tabelle e i progetti organizzativi debbano seguire modelli standard stabiliti dal CSM e trasmessi in via telematica, insieme alla definizione di modelli standard per i pareri dei consigli giudiziari, contenenti solo dati critici.

L’ALTRO STRUMENTO RIGUARDA LA SEMPLIFICAZIONE

L’altro strumento riguarda la semplificazione delle deliberazioni del consiglio, consentendo l’approvazione automatica delle previsioni tabellari a meno che il consiglio stesso non esprima pareri contrari entro un determinato periodo. Alcuni commentatori auspicano un’interpretazione ampia del concetto di “dati critici”, che dovrebbe essere basata su un’analisi approfondita delle scelte organizzative dell’ufficio, valutando la loro capacità di migliorare qualitativamente il rendimento[45]. In altre parole, i consigli giudiziari dovrebbero evitare di limitarsi a segnalare l’assenza di problemi evidenti. In termini operativi, sarebbe essenziale la semplificazione dell’apparato normativo, che attualmente appare troppo complesso (la sola circolare per la formazione delle tabelle si compone di 271 articoli), e considerare una normazione basata su principi generali per regole e procedure, anziché ripetere principi simili per ciascun aspetto della materia, nonché dei rimedi processuali effettivi a fronte di eventuali violazioni. Inoltre, sarebbe opportuno prevedere un fascicolo dell’ufficio che consenta a tutti gli attori interessati, inclusi gli utenti del sistema giustizia, di avere una visione completa della struttura e delle prestazioni dell’ufficio, anche attraverso dati statistici aggiornati online. Simili soluzioni potrebbero migliorare l’accesso ai dati e ai documenti, promuovendo la trasparenza nell’organizzazione giudiziaria e sostenendo il rinnovamento dell’ordinamento giudiziario, contribuendo così al miglioramento complessivo della giustizia e alla fiducia nella bontà dell’operato di chi vi lavora.

CONTESTO INTERNAZIONALE ED ESEMPI DI COMMON LAW

È opportuno volgere lo sguardo anche al contesto internazionale per osservare differenti prospettive di applicazione del principio del giudice precostituito per legge e delle sue declinazioni concrete nell’ambito delle assegnazioni dei processi. È interessante notare, come si vedrà più avanti, come talvolta queste siano una manifestazione della fiducia nutrita dalla collettività nei confronti del proprio sistema giudiziario. Esistono numerosi metodi per l’assegnazione dei processi ai giudici. A seconda del sistema giudiziario, si possono rinvenire modalità randomiche basate su algoritmi, rotazioni periodiche, assegnazioni basate sulla competenza specialistica del magistrato o sulla gravità e complessità del caso a giudizio. In particolare, i sistemi di common law, sommamente quello statunitense, consentono di apprezzare il ricorso a metodi che introducono un maggiore grado di discrezionalità dell’Ufficio nella scelta del Giudice. In ambito federale, ad esempio, come avviene nel nostro Paese, si cerca di conciliare efficacemente le esigenze di assegnazione equa (in termini di carico di lavoro) e le cautele nei confronti di eventuali judge shopping [46]. A differenza che in Italia, tuttavia, vi è maggiore libertà nel determinare le modalità concrete di assegnazione, facendo ricadere la scelta finale sul chief judge. Molti uffici ricorrono ad un’estrazione casuale, altri ad una rotazione dei giudici a disposizione. Ciò che accade, a volte, è che vengano selezionati per casi di particolare complessità giudici che abbiano maturato esperienze e competenze specifiche che li rendano maggiormente qualificati nella materia trattata.[47] È interessante, a tal proposito, una ricerca comparativa che ha indagato sulle differenti modalità di gestione dell’assegnazione dei giudici in sei Paesi europei: Paesi Bassi, Danimarca, Germania, Regno Unito (Inghilterra e Galles), Italia e Francia[48]. L’assegnazione dei giudici e del carico di lavoro differisce molto anche sulla base delle caratteristiche dei vari ordinamenti giudiziari.

DESTINAZIONE DEL GIUDICE

In particolare, per quanto attiene alla decisione sulla destinazione del giudice, in Inghilterra e Galles questa viene effettuata in maniera definitiva dal Lord Chancellor in accordo con il Presidente della Corte. Nelle corti superiori (High Courts) è possibile il trasferimento su richiesta del giudice e d’accordo con il Presidente della Corte. In Francia, la decisione sulla gestione dei giudici spetta al Presidente del singolo ufficio giudiziario attraverso un decreto organizzativo, che a seconda delle singole corti può non contemplare che vi sia sempre una ripartizione netta tra la giurisdizione penale e quella civile. È molto diffuso, inoltre, il ricorso all’istituzione di speciali task force per affrontare carichi gravosi di lavoro in determinate Corti o materie. In Francia è avvenuto soprattutto per affrontare casi relativi all’immigrazione, nei Paesi Bassi per smaltire l’arretrato, in Inghilterra e Galles per alleviare il sovraccarico di specifiche corti. L’assegnazione dei singoli processi, invece, varia notevolmente, anche sulla base della rilevanza che tale operazione assume rispetto all’ordinamento nazionale. Infatti, il principio del giudice naturale non è sempre considerato alla stregua di un diritto costituzionale come in Italia (seppur con i limiti che si diranno, proprio in relazione al giudice persona fisica). Tra i Paesi presi in considerazione, infatti, solo la Germania ha costituzionalizzato un principio simile (del giudice soggetto solo alla legge) [49].

PRIORITÀ E BILANCIAMENTI DEI CARICHI DI LAVORO

In Danimarca, l’assegnazione compete formalmente al Presidente dell’Ufficio, ma concretamente questa viene effettuata da un sistema automatizzato o dal personale di cancelleria secondo un criterio randomico. La Germania, invece, ricorre a decisioni del proprio Consiglio giudiziario locale effettuate annualmente con un procedimento che dura qualche settimana. In Francia, al contrario, la responsabilità ricade unicamente sul dirigente dell’Ufficio, senza un apparente controllo esterno. Nei Paesi Bassi, altresì, si può osservare un sistema ancora più decentralizzato, in cui sono i coordinatori delle singole sezioni ad effettuare l’assegnazione finale, con l’assistenza delle cancellerie. Solo in Germania, peraltro, si rinviene la possibilità di un intervento disciplinare simile a quello italiano in caso di difformità da quanto stabilito dal Consiglio giudiziario per le assegnazioni. Ciò che accomuna, prevedibilmente, tutti i paesi esaminati, è la priorità che viene concessa al migliore bilanciamento possibile dei carichi di lavoro tra i giudici. Ciò che invece stupisce è che in molti casi non si faccia alcun ricorso ad un sistema di ponderazione del carico derivante da ogni singolo processo (Inghilterra e Galles, Paesi Bassi, Danimarca con l’eccezione di Copenhagen). Curiosamente, in questi ultimi è anche frequente il ricorso allo “scambio informale” dei casi tra giudici: qualora dovessero intervenire necessità derivanti dal carico di lavoro o da questioni di opportunità, è possibile che un giudice trasferisca il processo a un collega senza particolari formalità o controlli esterni. In generale, laddove in Italia, Germania o Francia si riscontra un rispetto piuttosto costante delle regole di assegnazione, negli altri Paesi vi è una notevole flessibilità determinata dalle contingenze. Questa divisione si riscontra anche nel livello di dettaglio e di rigidità delle regole concernenti le incompatibilità e la conseguente astensione dei magistrati. Germania e Italia, da un lato, e Inghilterra e Danimarca, dall’altro, appaiono le manifestazioni estreme di due differenti approcci rispetto ai meccanismi a presidio dell’indipendenza e dell’imparzialità dei giudici. Infatti, laddove i primi hanno sentito la necessità, forse per ragioni storiche, di estrinsecare in procedure ben definite tali principi, i secondi considerano tali principi insiti e impliciti nella stessa natura dei giudici, con una maggiore attenzione agli aspetti di efficienza organizzativa piuttosto che di garanzia di diritti (non) costituzionalizzati.

LA SFIDUCIA NEL SISTEMA

Nell’ordinamento italiano, il rapporto tra sistema tabellare e principio del giudice naturale è pervaso da una duplice anima. Per un verso, la garanzia costituzionale rappresenta la base su cui l’ordinamento giudiziario fonda la propria opera di ripartizione certa, garantita e coerente degli affari all’interno dei singoli uffici giudiziari. A tale necessità si affiancano le esigenze di indipendenza interna dei singoli giudici e, altresì, il bisogno di perfezionamento dell’amministrazione della giustizia, in termini di allocazione delle risorse, efficienza e, in generale, di buon andamento dell’amministrazione medesima. Ed è in questa direzione che sembrano muovere i più recenti progetti di riforma. D’altra parte, invece, la legge e ancor di più la giurisprudenza non accolgono la visione più garantista e costituzionalmente orientata delle norme in materia di assegnazione tabellare, escludendo che i reali titolari del diritto al giudice naturale possano in concreto, salvo ipotesi eccezionali, agire affinché la loro prerogativa sia tutelata, laddove disattesa. In aggiunta a ciò, l’assenza di una condivisa e stabile trasparenza dei modelli tabellari adottati dai singoli uffici giudiziari impedisce, in ogni caso, una verificabilità delle specifiche regole adottate, rendendo così difficoltoso, per le parti di un procedimento, trovarsi anche solo nella condizione di riconoscere e individuare l’esistenza di una violazione delle tabelle medesime (sinanco in quelle ipotesi di rilevanza accolte dalla giurisprudenza perché extra ordinem e connotate da sviamento). Questo “paradosso” conduce, inevitabilmente, ad un progressivo disinteresse dei cittadini –destinatari finali degli effetti concreti di queste norme – per le regole che sovrintendono alla corretta distribuzione dei processi presso i singoli uffici e, conseguentemente, alla certa individuazione del giudice che deciderà delle sorti di una controversia. Banalmente, perché ci si dovrebbe preoccupare di conoscere una regola che si avrà difficoltà a individuare e, laddove disattesa, non potrà essere oggetto di ricorso alcuno per la parte processuale su cui la stessa incide?

DIBATTITO SULLA PERFETTIBILITÀ DEL MODELLO

Di conseguenza, il dibattito sulla perfettibilità del modello tabellare (e sulla sua concreta applicazione) è sempre più di esclusivo interesse dei magistrati, preoccupati (legittimamente) di migliorare l’organizzazione amministrativa dell’esercizio del potere giudiziario; all’opposto, non si ravvisa una apprezzabile volontà di implementare la trasparenza e la pubblicità dei sistemi di assegnazione, non foss’altro per il fatto che le eventuali violazioni sono costantemente relegate – pronuncia dopo pronuncia, a una dimensione disciplinare di “mero illecito amministrativo”, interno alla magistratura medesima. Tale condizione, peraltro, rischia di acuire la generale sfiducia degli individui nel funzionamento del sistema giustizia, le cui regole, oltre alle (fisiologiche e patologiche) inefficienze ed elefantiache complessità, vengono sempre più percepite come distanti, inaccessibili e autoreferenziali. Ebbene, lo status quo così fotografato non origina da specifiche responsabilità in capo a singoli attori del sistema giustizia, ma è frutto dell’apparente incertezza semantica che sembra pervadere l’intera materia, che riguarda i “confini” del principio del giudice naturale precostituito per legge e la sua applicabilità (o meno) anche al giudice-persona. Sancendo in maniera chiara un’estensione di tale principio anche al singolo giudice, si potrebbe azionare un meccanismo virtuoso, in base al quale attribuire nuova centralità al diritto dell’individuo al giudice naturale non solo in relazione alle norme di competenza relative al giudice-ufficio, ma anche alle regole di assegnazione al giudice-persona fisica. Peraltro, portare all’interno del sistema processuale la verificabilità e la possibilità di intervento sulle assegnazioni non comporterebbe alcuna lesione all’autonomia della magistratura. Si realizzerebbe, invece, una restituzione nei confronti del cittadino di un diritto che gli è sempre appartenuto e che, più o meno consapevolmente, è stato compresso se non sottratto, schermandosi dietro le pur legittime esigenze di efficienza gestionale. «Il potere, senza trasparenza, non è più indipendente ma più a rischio di devianze e di certo non ingenera fiducia in chi a quel potere è soggetto».

RIFERIMENTI

[1] Per un approfondimento sulla locuzione “giudice naturale precostituito per legge” si rimanda a Corte Cost. n. 29 del 1958, in cui la Corte ha riconosciuto che le due espressioni costituiscono a tutti gli effetti una endiadi.

[2] Cfr. Circ. n. 7671 del 14.05.1968.

[3] Cfr. nota 1.

[4] Art. 6 CEDU: “Ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito per legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta. (…)”

[5] Art. 47 Carta dei diritti fondamentali dell’UE: “(…) Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. (…)”

[6] “Nella corrente manualistica, fino alla vigilia dell’entrata in vigore del “nuovo” art. 111 Cost., si palesi costante il rinvio all’art. 25, comma 1, Cost. quale fonte primaria di tutela della garanzia dell’imparzialità del giudice: il principio del giudice naturale precostituito per legge – si osserva – mira a garantire la presenza di un giudice imparziale nel singolo processo.” (F. Zambuto, Da chi veniamo giudicati? Il giudice naturale precostituito per legge tra imparzialità, terzietà e capacità, Cammino Diritto, 15 gennaio 2016).

[7] R. Romboli, Il giudice naturale. Studio sul significato e la portata del principio nell’ordinamento costituzionale italiano, Giuffrè, 1981.

[8] Art. 71 Statuto Albertino: “Niuno può essere distolto dai suoi Giudici naturali. Non potranno perciò essere creati Tribunali o Commissioni straordinarie.”

[9] Art. 102 Costituzione: “La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura.

La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.”

[10] S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, in Consulta Online, 2022, Fasc. II, pag. 603, nota n. 18, secondo cui il successivo iter interpretativo dell’art. 25, comma 1 della Costituzione ha condotto ad una limitazione del carattere assoluto di tale principio, evidenziando la necessità di un contemperamento di tale esigenza con quelle di continuità e prontezza delle funzioni giurisdizionali (cfr. Corte cost. sent. n. 146 del 1969, ripreso in Corte cost. sent. n. 272 del 1998, in cui ha affermato che è necessario “contemperare l’obiettività ed imparzialità dei giudizi con le esigenze della continuità e prontezza delle funzioni giurisdizionali”.

[11] Cfr. Corte Costituzionale n. 502 del 1991.

[12] M. Chiavario, Diritto Processuale Penale, Utet, Milano, 2009.

[13] Cfr. S. BARTOLE, Indipendenza del giudice (teoria generale), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1989, XVI, 1 e ss; R. ROMBOLI, Teoria e prassi del principio di precostituzione del giudice, in Giur. cost., 1992, 3268. Rispetto alle sentenze della Corte costituzionale cfr. A. AGRÒ, N. LIPARI, La giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Quaderni del C.S.M., n. 66, Roma, 1993, 199 ss.; G. FILIPPO, Il giudice giusto tra Costituzione, Convenzione europea e sistema tabellare, in Dir. pen e Processo, 2004, 12, 1523; M. SMIROLDO, La garanzia costituzionale del giudice precostituito per legge nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti, in Riv. C. conti, 2006, 6, 245 ss.

[14] G. Foschini, Giudici in nome del popolo, non già commissari del capo della Corte, in Foro Italiano, 1963, II, p. 168.

[15] Sostenendo, infatti, che “per giudice naturale deve intendersi l’organo giudiziario e non il singolo componente dell’organo stesso”. Si veda in tal senso la celebre Cass. pen., Sez. I, sent. 22 novembre 1983, n. 161727, ma anche più recentemente Cass. pen., Sez. IV, sent. 16 luglio 2009, n. 35024.

[16] In particolare, con le sentenze n. 272 e 419 del 1998.

[17]  P. Villaschi, Il principio del giudice naturale precostituito nella giurisdizione contabile, Rivista del Gruppo di Pisa, 2021.

[18] Monitoraggio della giustizia penale – anni 2003 – I trimestre 2023

[19] Art. 105 Costituzione: “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati.”

[20] Per una sintesi della vicenda cfr. https://www.internazionale.it/notizie/2021/09/23/palamara-scandalo-csm. Per approfondire, cfr. A. Sallusti, L. Palamara, Il sistema. Potere, politica affari: storia segreta della magistratura italiana, Rizzoli, 2021.

[21] https://ilprocessocivile.it/articoli/news/il-consiglio-di-stato-annulla-le-nomine-dei-vertici-della-corte-di-cassazione

[22] Per un excursus sul tema, S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, in Consulta Online, 2022, Fasc. II, pag. 600, nota n. 5, in cui si richiama R. Romboli, S. Panizza, Ordinamento giudiziario, in Digesto delle discipline pubblicistiche, Vol. X, Utet, Torino, 1995, 371.

[23] S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, in Consulta Online, 2022, Fasc. II, pag. 601, nota n. 7, che richiama G. Pino, Il costituzionalismo dei diritti, Il Mulino, 2017, p. 63 e ricorda che l’espressione è stata introdotta nel dibattito italiano da R. Guastini, Diritti, Distinguendo. Studi di teoria e metateoria del diritto, Giappichelli, 1996, pag. 142.

[24] S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, cit., pag. 601

[25] G. Scarselli, Il sistema tabellare visto da un laico, Questione Giustizia, 2014, par. 6.

[26] Corte Cost., n. 173 del 2.12.1970.

[27] R.D. 30 gennaio 1941, n. 12.

[28] Secondo G. Lattanzi, Il principio di precostituzione del giudice nella giurisprudenza penale della Corte di Cassazione, in Quaderni del Consiglio Superiore della Magistratura, n. 66, 1993, p. 206, è da sempre stato considerato un vero e proprio “banco di prova” della tutela del diritto di un individuo parte di un procedimento al proprio giudice naturale precostituito per legge.

[29] S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, cit., pag. 607.

[30] Corte Cost. n. 419 del 1998.

[31] Corte Cost. n. 419 del 1998.

[32] Corte Cost. n. 419 del 1998.

[33] Per una trattazione estesa si rimanda a S. Rovelli, Azionabilità del diritto al giudice naturale, Rule of Law e dignità dell’ordine giudiziario, in Consulta Online, 2022, Fasc. II, pag. 612.

[34] Cass. Sez. I n. 27055 del 7.05.2003.

[35] Cass. Sez. IV, n. 32899 dell’.8.01.2021.

[36] Cfr. sentenza per un ampio excursus sulla giurisprudenza della Corte Edu e della CGUE sul tema.

[37] Anticipata anche da precedenti pronunce della medesima Corte, quali Corte EDU, 8 luglio 2014, Biagioli c. San Marino, §§ da 72 a 74, Corte EDU, 2 maggio 2019, Pasquini c. San Marino, §§ 100 e 101 nonché la giurisprudenza ivi citata.

[38] GCUE, Grande Sezione, 22 febbraio 2022, cause riunite C-562/21 PPU e C-563/21; CGUE, 26 marzo 2020, Riesame Simpson/Consiglio

[39] G. Campanelli, S. Panizza, Alcune osservazioni a prima lettura sulla riforma dell’ordinamento giudiziario del 2022, tra novità e questioni ancora aperte, Osservatorio Costituzionale AIC, Fasc. 1/2023.

[40] “Disegno di legge recante deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario e per l’adeguamento dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura” (ddl AC 2861 del 28 settembre 2020).

[41] https://ilmanifesto.it/ordinamento-giudiziario-slitta-la-riforma-cartabia

[42] F. Vigorito, Le tabelle degli uffici giudiziari giudicanti e i programmi di gestione nel “progetto Cartabia”. L’occasione di un cambiamento, Questione Giustizia, 2-3 2022.

[43] Inoltre, verrebbe prevista una restrizione della possibilità di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, limitando ad un solo passaggio da effettuare entro i primi 9 anni dall’ingresso in ruolo e, successivamente a tale periodo, ad una sola volta purché uno tra il ruolo di provenienza o di trasferimento non sia in ambito penale. Infatti, sarebbero possibili – trascorsi i primi 9 anni – solo:

– il passaggio dalle funzioni giudicanti alle funzioni requirenti, purché l’interessato non abbia mai svolto funzioni giudicanti penali;

– il passaggio dalle funzioni requirenti alle funzioni giudicanti civili o del lavoro, in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, purché il magistrato non si trovi, neanche in qualità di sostituto, a svolgere funzioni giudicanti penali o miste.

[44] L’art. 2 comma 2 della legge delega indica i parametri su cui si deve basare il procedimento, ed in particolare alla lett. a, indica che:

“a) prevedere che il presidente della corte di appello  trasmetta le proposte tabellari corredate di documenti organizzativi  generali, concernenti l’organizzazione delle risorse e la programmazione  degli obiettivi di  buon  funzionamento  degli  uffici,  anche  sulla  base dell’accertamento   dei   risultati   conseguiti   nel    quadriennio precedente;  stabilire  che  tali  documenti  siano   elaborati   dai dirigenti degli uffici giudicanti, sentiti il dirigente  dell’ufficio requirente corrispondente e il presidente del  consiglio  dell’ordine degli avvocati; prevedere che i  suddetti  documenti  possano  essere modificati nel corso del quadriennio anche tenuto conto dei programmi delle  attività  annuali,  (…),  e  dei  programmi  (…);

  1. b) prevedere che i documenti organizzativi generali degli uffici, le tabelle e i progetti organizzativi siano elaborati secondo modelli standard stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura e trasmessi per via telematica; prevedere altresi’ che i pareri dei consigli giudiziari  siano  redatti   secondo   modelli standard, contenenti i soli dati concernenti le criticita’, stabiliti con deliberazione del Consiglio superiore della magistratura;
  2. c) semplificare le procedure di approvazione delle tabelle di organizzazione   degli   uffici    previste    dall’articolo    7-bis dell’ordinamento giudiziario, di cui  al  regio  decreto  30  gennaio 1941, n. 12, e dei progetti organizzativi dell’ufficio  del  pubblico ministero, prevedendo che le proposte delle tabelle di organizzazione degli uffici e dei progetti organizzativi dell’ufficio  del  pubblico ministero e delle relative modifiche si intendano approvate,  ove  il Consiglio superiore  della  magistratura  non  si  esprima  in  senso contrario entro un termine stabilito in base alla data di  invio  del parere del consiglio giudiziario, salvo che  siano  state presentate osservazioni  dai  magistrati  dell’ufficio o che il parere del consiglio giudiziario sia a maggioranza.”

[45] F. Vigorito, Le tabelle degli uffici giudiziari giudicanti e i programmi di gestione nel “progetto Cartabia”. L’occasione di un cambiamento, cit.

[46] A. Botoman, Divisional judge shopping, Columbia, 07.2018.

[47] https://www.iand.uscourts.gov/content/how-are-federal-judges-assigned-cases

[48] https://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/7713/EJLS_2007_1_2_12_FAB_EN.pdf?sequence=1

[49]  Art. 97, Sezione I, Grundgesetz: «1. I giudici sono indipendenti e soggetti soltanto alla legge. 2. I giudici di carriera inquadrati a titolo definitivo nei ruoli non possono contro il loro volere essere esonerati prima della scadenza del loro periodo di servizio, né essere sospesi dal loro ufficio a tempo indeterminato o determinato o essere trasferiti in altro ufficio o collocati a riposo, se non in forza di una decisione giudiziaria e per i motivi e con le forme stabiliti dalle leggi. La legislazione può fissare limiti d’età, al cui raggiungimento i giudici nominati a vita sono collocati a riposo. In caso di modifica dell’ordinamento dei tribunali o delle loro circoscrizioni, i giudici possono essere trasferiti presso altro tribunale o rimossi dal loro incarico, ma solo a condizione della conservazione dello stipendio intero».

Condividi: