GIUSTIZIA, immigrazione e crimine. L’estradizione del rifugiato

Il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro dell’Unione europea è vincolante rispetto alla richiesta di estradizione avanzata nei confronti di un altro Stato membro? È questo il quesito sottoposto da un tribunale tedesco alla Corte di Giustizia dell’UE

a cura del professor avvocato Roberto De Vita e dell’avvocatessa Valentina Guerrisi, pubblicato su “Devita Law” https://www.devita.law/rifugiato-estradizione/ Il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro dell’Unione europea è vincolante rispetto alla richiesta di estradizione avanzata nei confronti di un altro Stato membro? È questo il quesito sottoposto da un tribunale tedesco alla Corte di Giustizia dell’UE.

L’ESTRADIZIONE DEL RIFUGIATO

Con ordinanza depositata in data 1.06.2022 il Tribunale Superiore del Land Hamm ha avanzato domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE (¹), chiedendo se l’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della Direttiva 2013/32/UE (²), in combinato disposto con l’articolo 21, paragrafo 1, della Direttiva 2011/95/UE (³), debba essere interpretato nel senso che il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato di una persona, ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, da parte di uno Stato membro dell’Unione europea sia vincolante, con riguardo alla procedura di estradizione in altro Stato membro richiesto di consegna, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale stabilito dal diritto dell’Unione (articolo 288, paragrafo 3, TFUE e articolo 4, paragrafo 3, TUE), con la conseguenza che l’estradizione di tale persona nel paese terzo o nel paese di origine sia necessariamente esclusa fino alla revoca o alla scadenza dello status di rifugiato.

LA VICENDA

Un cittadino turco, di etnia curda, otteneva in Italia nel 2010 il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 (⁴). Il soggetto aveva dichiarato di essere un perseguitato politico da parte delle autorità turche per il suo presunto sostegno al Pkk e dal 2019 risiedeva stabilmente nella Repubblica federale tedesca. Nel giugno del 2020, tramite segnalazione Interpol, la Turchia ha richiesto l’arresto del soggetto finalizzato all’estradizione per l’esercizio dell’azione penale nei suoi confronti, per l’omicidio colposo presuntamente commesso in danno della madre nel 2009.

A novembre 2020 il soggetto è stato arrestato e il successivo novembre 2021 il Tribunale tedesco ha dichiarato ammissibile la sua estradizione in Turchia, rilevando l’assenza di impedimenti ai sensi di quanto previsto sia dalla legge tedesca (⁵) che dalla Convenzione europea sull’estradizione (⁶). In particolare i giudici evidenziavano come, dall’esame della documentazione, non emergevano motivi concreti per ritenere che la domanda di estradizione fosse stata presentata per un reato comune con lo scopo di perseguire o punire il soggetto per considerazioni di opinioni politiche né che, in caso di trasferimento, la sua condizione rischiasse di essere aggravata per motivi di tale natura. Quanto allo status di rifugiato, il Tribunale tedesco sosteneva che questo non avrebbe implicato un divieto generale di estradizione, poiché la procedura di estradizione e la procedura di asilo – sia nazionale sia estera, come nel caso di specie – costituirebbero procedimenti separati e le decisioni prese dalle autorità amministrative e giurisdizionali non inciderebbero tassativamente sulla procedura di estradizione, bensì avrebbero solo un valore “indiziario” (⁷) rispetto all’esame autonomo delle condizioni generali stabilite dalla legge tedesca e dalla Convenzione europea sull’estradizione.

Il soggetto richiesto ha presentato ricorso alla Corte costituzionale federale tedesca la quale ha annullato la decisione del Tribunale per violazione del diritto fondamentale sancito dall’articolo 101 della Costituzione (GrundGesetz), secondo il quale nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Per la Corte, infatti, i giudici territoriali hanno omesso di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale di diritto europeo rilevante ai fini della decisione, ovvero se il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato effettuato dalle autorità italiane in data 19 maggio 2010 sia vincolante con riguardo alla procedura di estradizione nella Repubblica federale di Germania, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale stabilito dal diritto dell’Unione (articolo 288, paragrafo 3, TFUE e articolo 4, paragrafo 3, TUE), e osti pertanto necessariamente ad un’estradizione del soggetto in Turchia. Pertanto, poiché la risoluzione della questione è necessaria ai fini della decisione sulla ammissibilità dell’estradizione, il Tribunale del Land ha chiesto alla Corte di Giustizia europea di pronunciarsi in via pregiudiziale, evidenziando però la propria posizione in merito.

L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE TEDESCO

Secondo i giudici rimettenti, infatti, non sussisterebbe nel caso concreto alcuna ragione per impedire l’estradizione. Tuttavia, qualora la decisione delle autorità italiane – le quali hanno riconosciuto in via definitiva lo status di rifugiato proprio in ragione delle persecuzioni politiche operate dalla Turchia – fosse vincolante per le procedure di estradizione anche negli altri Stati membri dell’Unione, la persecuzione politica dovrebbe assumersi quale impedimento automatico all’estradizione (anche ai sensi della legge tedesca), fintanto che tale status non scada o non venga revocato.

Il Tribunale evidenzia, inoltre, come la medesima questione sia tuttora controversa anche in seno alla dottrina e alla giurisprudenza tedesche. La stessa Corte Costituzionale, nella propria decisione di annullamento, ha rilevato come esistano due posizioni contrastanti in merito, basate perlopiù sulla disciplina europea che si è susseguita nel tempo. Ed infatti, in base alla vecchia Direttiva 2005/85/CE (⁸) l’estradizione durante una procedura di asilo in corso poteva aver luogo solo all’interno dell’Unione, segnatamente in virtù di un mandato d’arresto europeo, o presso una corte o un tribunale penale internazionale. Tale norma però è stata sostituita dalla Direttiva 2013/32/UE, in base alla quale è possibile estradare una persona in un paese terzo durante la procedura di asilo solo se le autorità competenti hanno accertato che la decisione di estradizione non comporterà il «refoulement» diretto o indiretto, in violazione degli obblighi internazionali e dell’Unione di detto Stato membro (⁹).

Da tale nuova disciplina, secondo una parte della dottrina, deriverebbe il divieto di estradizione verso un paese terzo del soggetto cui è stato riconosciuto in via definitiva lo status di rifugiato, con conseguente obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale eventualmente contrastante. Secondo altra parte della dottrina, invece, la precedente formulazione della Direttiva dimostrerebbe l’intenzione dei legislatori europei di mantenere separate ed autonome le procedure di asilo e di estradizione. Il Tribunale rimettente aderisce a tale ultima tesi, ritenendo dirimente l’argomento secondo il quale in nessuna norma (né nella vecchia disciplina europea né in quale attualmente vigente) è previsto esplicitamente un effetto vincolante di una procedura rispetto all’altra. Peraltro, tra il riconoscimento dello status di rifugiato e l’avvio della procedura di estradizione potrebbe decorrere un significativo periodo di tempo, durante il quale le circostanze rilevanti ai fini del riconoscimento del diritto all’asilo potrebbero mutare. In tal caso, «qualora, nell’ambito dell’esame dell’ammissibilità dell’estradizione da parte dello Stato membro richiesto, il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato dell’imputato in un altro Stato membro dell’Unione – nel caso di specie: l’Italia – fosse vincolante, ma emergessero nuove circostanze idonee a giustificare una diversa valutazione della questione della persecuzione politica, dovrebbe svolgersi una prolissa procedura di revoca nell’altro Stato membro dell’Unione – nel caso di specie: l’Italia» (¹⁰)  e tale conseguenza non sarebbe compatibile con il principio di celerità dei procedimenti.

Infine, ad avviso del Collegio tedesco, l’estradizione di un soggetto verso il paese di origine dovrebbe essere comunque consentita, nonostante il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato, a meno che essa non violi il diritto internazionale e il diritto dell’Unione. Ciò sarebbe in linea con l’obiettivo, considerato legittimo dalla medesima Corte di giustizia dell’Unione europea, di evitare l’impunità delle persone che abbiano commesso o siano sospettate di aver commesso un reato e si muovano liberamente all’interno dell’Unione. Ed infatti, ove l’estradizione finalizzata all’esercizio dell’azione penale non dovesse essere consentita, senza ulteriori verifiche, sulla base del solo carattere vincolante del riconoscimento del diritto all’asilo, l’imputato rimarrebbe praticamente impunito nella maggior parte dei casi. Né la possibilità di instaurare un procedimento penale all’interno dello stato membro sembrerebbe efficace, attese le difficoltà che l’autorità giudiziaria incontrerebbe nel reperire ed assumere le prove in un paese terzo.

LA GIURISPRUDENZA ITALIANA

Una posizione analoga a quella espressa dai giudici tedeschi è stata assunta anche in seno alla giurisprudenza italiana, laddove la Corte di Cassazione ha più volte ribadito l’autonomia della procedura di estradizione da quella (squisitamente amministrativa) di riconoscimento dello status di rifugiato, evidenziando come quest’ultima impedisca la consegna solo «in presenza di un provvedimento della competente Commissione territoriale del Ministero degli interni, che abbia riconosciuto all’estradando lo “status” di protezione internazionale, per il pericolo di esposizione a trattamenti disumani e degradanti in caso di rientro nello Stato richiedente l’estradizione, ove quest’ultimo provvedimento sia riconosciuto dal giudice completo, certo ed affidabile». (¹¹)

Al contrario, la mera pendenza della procedura non spiegherebbe alcuna efficacia vincolante sulla richiesta di consegna poiché l’art. 7 del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 riconosce l’autorizzazione al richiedente di una domanda di protezione internazionale a «rimanere nel territorio dello Stato» fino alla decisione della Commissione territoriale, fatte salve talune eccezioni (come, ad esempio, coloro che devono essere estradati verso un altro Stato, in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo, o hanno presentato una prima domanda, reiterata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento dal territorio nazionale, o hanno manifestato la volontà di presentare un’altra domanda, reiterata a seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile o ha respinto una prima domanda); la norma citata, dunque, non farebbe divieto di concessione dell’estradizione, ma imporrebbe soltanto alle autorità nazionali di non effettuare la consegna fintanto che sia pendente la domanda. Pertanto, anche secondo la Corte italiana, la sola pendenza del procedimento volto all’esame della richiesta di protezione internazionale non determinerebbe «alcuna forma di pregiudizialità rispetto a quello estradizionale, in quanto la sospensione della consegna o l’eventuale successivo riconoscimento della protezione internazionale saranno valutati nell’ambito dei poteri demandati al ministro della Giustizia ex articolo 708 c.p.p.». (¹²)

La Corte di Giustizia è chiamata ad operare un delicato bilanciamento tra l’esigenza, da un lato, di proteggere i diritti dei rifugiati e, dall’altro, di evitare l’impunità di autori di gravi delitti, garantendo al contempo l’interpretazione e l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione europea. Tuttavia le argomentazioni addotte dai giudici nazionali non paiono dirimenti per una soluzione in senso negativo, sia perché afferenti a discipline normative superate (come quelle ancora oggi richiamate dal Tribunale tedesco a sostegno della propria decisione), sia perché non sembrano considerare appieno il complesso scenario giuridico dei paesi terzi richiedenti, i quali non sempre garantiscono i medesimi principi di autonomia e imparzialità del potere giudiziario né il rispetto concreto dei diritti fondamentali dell’individuo.

RIFERIMENTI

(¹) Domanda di pronuncia pregiudiziale del 19.05.2022, depositata il 01.06.2022, Causa C-352/22.

(²) Direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione).

(³) Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13.12.2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (rifusione).

(⁴) Convenzione di Ginevra sullo statuto dei rifugiati del 28 luglio 1951.

(⁵) Articolo 6, paragrafo 2, del Gesetz über die Internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale – IRG).

(⁶) Articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Convenzione europea di estradizione firmata a Parigi il 13 dicembre 1957.

(⁷) Come risultante anche dall’articolo 6, secondo comma, dell’Asylgesetz (legge in materia di asilo, l’«AsylG»).

(⁸) Art. 7 della Direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1 o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.

(⁹) Cfr. Articolo 9, paragrafo 3, della Direttiva 2013/32/UE.

(¹⁰) Cfr. Domanda di pronuncia pregiudiziale del 19.05.2022 – C ausa C-352/22.

(¹¹) Cfr. Cassazione Sez. VI, 6 aprile 2020 n. 11374. Conforme Cass. Sezione VI, 18.12.2013 n. 3746.

(¹²)  Cfr. Cassaz. Cit.. Conforme Cass. Sezione VI, 12.06.2019 n. 29910.

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