CAUCASO, Nagorno-Karabakh. Ennesima aggressione in una repubblica ex sovietica

Dall’analisi di Giuseppe Morabito emerge un quadro complessivo all’interno del quale le dinamiche dell’approvvigionamento energetico inducono i Paesi europei a forme di pragmatismo «rafforzato» anche di fronte a situazioni delicate quali quella in atto nella regione caucasica dopo il cessate il fuoco tra Armenia e Azerbaigian

a cura di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano in ausiliaria attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Nei giorni scorsi il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha dichiarato che l’Azerbaigian conduce una «politica palese di pulizia etnica» e obbliga gli armeni che vivono nella regione del Nagorno Karabakh ad andarsene.

IL BLOCCO DEL CORRIDOIO DI LATCIN

Da più di un mese gli azeri sostengono arbitrariamente di voler tutelare l’ambiente e bloccano il corridoio di Latcin, un corridoio umanitario strategico che collega l’Armenia alla regione del Nagorno Karabakh abitata da armeni e a causa del blocco, nella regione montagnosa con i circa 120.000 abitanti iniziano a scarseggiare cibo, medicine e carburante. Pashinyan ha altresì reso noto come si tratti «ovviamente, di una politica palese di pulizia etnica. E devo dire che se fino ad ora la comunità internazionale è stata scettica in merito alle nostre preoccupazioni riguardanti le intenzioni dell’Azerbaigian di sottomettere gli armeni del Nagorno Karabakh alla pulizia etnica. Ora vediamo che questa percezione si rafforza lentamente ma costantemente nella comunità internazionale. In base alle informazioni di cui disponiamo, il piano di Baku è il seguente: esercitare massima pressione economica e psicologica in Nagorno Karabakh e poi aprire il corridoio (di Lacin) per diversi giorni nella speranza che gli armeni del Nagorno Karabakh, la gente del Karabakh lascino in massa le loro case. Circa 6.000 bambini degli asili, circa 19.000 studenti delle scuole medie e 6.800 studenti universitari sono privati da circa un mese di uno dei diritti più importanti del 21esimo secolo: il diritto allo studio, perché gli asili, le scuole e le università sono chiuse da un mese in Nagorno Karabakh».

ARMENIA E ITALIA

L’Italia e il suo Parlamento non sono rimasti sordi a quanto accade nella regione caucasica, tanto è vero che il giorno 24 gennaio la Commissione Affari esteri della Camera dei Deputati ha invitato per un’audizione l’ambasciatrice della Repubblica di Armenia, signora Tsovinar Hambardzumyan, che si è detta fiduciosa di collaborare nel prossimo futuro quale rappresentante di una nazione amica che come l’Italia può vantare antichissime radici, valori comuni e secolari relazioni bilaterali. Oggi Armenia e Italia godono di un buon livello di dialogo politico, con visite reciproche e collaborazioni multilaterali in campo economico. Nonostante la condanna della storia (il genocidio degli armeni da parte turca), si deve  purtroppo constatare come una politica e una metodologia di persecuzione da parte di Turchia e Azerbaigian verso gli Armeni sia ancora pienamente in atto. Come indicato, dallo scorso 12 dicembre, la regione del Nagorno Karabakh è bloccata dall’Azerbaigian. Al momento, i cosiddetti “attivisti ambientalisti” su istruzione del governo di Baku stanno bloccando il corridoio di Lachin, unico collegamento del Nagorno Karabakh con l’Armenia e il resto del mondo.

CRISI UMANITARIA

La crisi umanitaria in Nagorno Karabakh peggiora ogni giorno che passa. La scarsità di beni di prima necessità, cibo e medicinali si fa sempre più evidente. Il pericolo della carestia è tangibile e la situazione è aggravata dal taglio del gas (in pieno inverno), della rete elettrica e della connessione a Internet operato dal governo di Baku appoggiato da Ankara. Alcuni osservatori confermano che anche gli asili nido e scuole sono chiuse, gli ospedali hanno sospeso le operazioni chirurgiche e non c’è più latte in polvere per i bimbi. Va ricordato che con il termine «genocidio armeno», meglio conosciuto come «olocausto degli armeni» o «massacro degli armeni», si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni  perpetrate dall’ tra il 1915 e il 1919, dai turchi (allora Impero Ottomano) che causarono circa 1,5 milioni di morti. Sono passati cento anni da quei fatti, ma gli armeni della diaspora in tutto il mondo non hanno dimenticato.

MINACCE ALLA STABILITÀ REGIONALE

Gli Stati Uniti d’America, l’Unione europea, il segretario generale delle Nazioni Unite e più di una dozzina di Stati hanno chiesto all’ Azerbaigian di sbloccare la strada per il Nagorno Karabakh. Da ultimo, il Parlamento europeo a larghissima maggioranza ha votato una risoluzione in tal senso. In risposta a queste sollecitazioni internazionali, il presidente azero non ha esitato a confermare che gli «attivisti» che hanno bloccato il collegamento lo hanno fatto su sua istruzione aggiungendo che chi non vuole essere cittadino dell’Azerbaigian può tranquillamente andarsene e il blocco del corridoio verrà aperto per loro in caso decidessero di abbandonare la loro terra. Il conflitto del Nagorno Karabakh, che da trenta anni costituisce la sfida principale per la sicurezza e per la stabilità della regione caucasica, ora presenta una serie di minacce di natura politica e militare per l’Armenia, per l’intera regione e di conseguenza per la stabilità dell’Europa stessa.

RADICI DEL CONFLITTO

Le radici di questo conflitto risalgono all’epoca sovietica. Il Nagorno Karabakh (o Artsakh), storicamente armeno, venne incluso a forza nella Repubblica socialista sovietica dell’Azerbaigian con lo status di regione autonoma per decisione di Stalin nel 1921. Nei settant’anni dell’era sovietica l’unico lasso temporale in cui il Nagorno Karabakh ha fatto parte dell’Azerbaigian è stato segnato da massacri, deportazioni, discriminazioni e altre forme di intolleranza nei confronti degli armeni. Basti solo pensare che nel 1920 nel Nagorno Karabakh abitavano circa 300.000 persone, oltre il 95% delle quali erano armeni, mentre nel 1988 ne erano rimasti solo 140.000 (oggi ridottisi a 120.000). Nel 1988, nell’ultimo periodo di esistenza dell’Urss, gli armeni del Nagorno Karabakh iniziarono a protestare e a rivendicare diritti che furono loro sempre negati.

LA DISSOLUZIONE SOVIETICA

L’Azerbaigian, non gradendo quelle proteste, rispose con la repressione degli armeni nelle città di Sumgait, Baku e Kirovabad. Furono proprio i massacri di Sumgait ad avere un ruolo decisivo nello scoppio del conflitto del Nagorno Karabakh, in un contesto che evocava tristemente il passato. Nel 1991, con il collasso dell’Urss, al posto della ex repubblica sovietica azera si formarono due entità statali separate: la Repubblica dell’Azerbaigian e quella del Nagorno Karabakh. In risposta, l’Azerbaigian lanciò una guerra su larga scala che durò dal 1992 al 1994, che provocò  più di 30.000 morti su entrambi fronti. Gli armeni riuscirono a resistere mantenendo l’indipendenza del piccolo Stato appena formatosi e a garantirne la sicurezza dello stesso prendendo il controllo di alcuni territori circostanti.

LA «GUERRA DEI 44 GIORNI»

L’Armenia la cui maggioranza della popolazione è di religione cristiana monofisita orientale, ha raggiunto la propria indipendenza in condizioni terribilmente difficili a seguito del crollo dell’Urss, l’economia smantellata, il cambiamento del sistema politico, il blocco da parte di Azerbaigian e Turchia, paesi islamici. Inoltre, l’intera Armenia settentrionale venne rasa al suolo da un devastante terremoto nel 1988 che provocò 25.000 vittime. Per quanto riguarda la «guerra dei quarantaquattro giorni» combattuta tre anni fa, fu un conflitto devastante nel corso del quale vennero impiegate armi di nuova generazione, vi fu un coinvolgimento diretto della Turchia con i suoi aerei e i droni Baraktyar (gli stessi venduti all’Ucraina). L’Azerbaigian pare abbia fatto largo uso di armi proibite dalle convenzioni internazionali come bombe a grappolo e al fosforo bianco, inoltre si sospetta che la Turchia abbia reclutato migliaia di mercenari (probabilmente ex jihadisti di Islamic State) trasferendoli in Azerbaigian per farli combattere contro gli armeni.

IL CESSATE IL FUOCO

Il 9 novembre 2020, con la mediazione della Federazione russa è stata firmata una dichiarazione trilaterale che ha fermato i combattimenti. Essa tuttavia non ha portato la pace nella regione e ancora oggi l’Azerbaigian, approfittando della situazione internazionale ancora incerta e dell’appoggio ricevuto da Ankara, prosegue nella sua politica aggressiva attraverso infiltrazioni e attacchi anche in territorio armeno. Purtroppo, quanto sta accadendo dimostra come la leadership azera non sia in alcun modo interessata alla pace e alla stabilità nel Caucaso meridionale. Il presidente azero, forte del riconoscimento di “partner energetico affidabile” per l’Europa, persegue la sua politica sostenuto da Ankara. Il Nagorno Karabakh non è soltanto un territorio, bensì un popolo pronto a seguire la formula europea per la soluzione del problema ma bisognerebbe porre fine immediatamente al blocco del corridoio di Lachin e permettere l’accesso alle organizzazioni internazionali.

GAS E POLITICA INTERNAZIONALE

In conclusione vanno sottolineati gli evidenti freni economici che impediscono la condanna di  Baku, perché la bozza d’intesa firmata tra Unione europea e Azerbaigian prevede l’impegno di quest0ultimo a raddoppiare la capacità del Corridoio meridionale del gas, in modo da trasportare almeno 20 miliardi di metri cubi ogni anno in Europa entro il 2027. Quanto precede assicurerà un contributo agli obiettivi di diversificazione indicati dal piano RePowerEu e faciliterà il distacco dell’Europa dalle forniture di gas russo. Infatti, l’ Azerbaigian ha già aumentato le consegne di gas all’Ue nel 2022. L’importante è che nessuno possa dire un giorno «non lo sapevo», quando per liberarci dal ricatto per la carenza energetica seguente all’aggressione russa all’Ucraina ci troveremo a ammettere di aver sottovalutato i danni causati da un altro aggressore, produttore di quel gas che tanto interessa alle economie occidentali.

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