Il protocollo pontificio assume un’importanza fondamentale nella comunicazione, soprattutto in tempi caratterizzati da ambiguità spesso fuorvianti. Infatti, ogni gesto e simbolo esprimono il primato del romano pontefice, la sua autorappresentazione in funzione della effettiva piramide del potere clericale.
SIMBOLI FORTI E INCERTE PROSPETTIVE
Si tratta di elementi che sovente (forse necessariamente) stampa e commentatori riducono a immagini al limite del folcloristico e dell’oleografico, ma in fondo essi sono chiamati a svolgere l’indefettibile duplice ruolo di mediatori e persuasori, in una società come quella attuale che è della comunicazione, dell’immagine e della sensazione a scapito del ragionamento. Ed ecco, allora, l’accendersi dei riflettori sulla mozzetta candida indossata sulle spalle da Papa Francesco in occasione del suo ultimo incontro con il suo predecessore, il rinunziatario Benedetto XVI; due papi vestiti di bianco, simbolo di innocenza e carità, e il rosso, invece evocativo del sangue di Cristo, ma soltanto Bergoglio coperto dalla simbolica mantellina pontificia. O, ancora, sempre per restare a un Bergoglio dato per precario sullo scranno petrino, le marcate sottolineature del fatto che un pontefice «non guida la Chiesa con il ginocchio malato, bensì con il cuore e con la mente».
LA PAURA CHE LA RINUNZIA DIVENGA PRASSI
C’è dell’altro di sostanziale a giustificare questa prolusione alla cronaca della presentazione di un libro sui papi e il diritto canonico, poiché quello che ha avuto recentemente luogo a Roma, presso la sede della Società Dante Alighieri, è sì, stato un evento certamente di interesse, tuttavia anche molto di più: la puntualizzazione dettagliata di un potere e di una situazione, una interpretazione autentica, si direbbe, dei fondamenti canonici alla base della rinunzia al pontificato, una sottolineatura vigorosa che ha preso strumentalmente spunto dai pochi (e diversi tra loro) casi del genere verificatisi concretamente nella storia di questa istituzione bimillenaria. Lo spunto è stato l’ultimo di essi, quello che ha visto protagonista Joseph Aloisius Ratzinger e la sua cerchia più stretta di collaboratori, un evento dirompente che ha alimentato grandi timori oltre Tevere, poiché nessuno è in grado di escludere che possa essersi trattato del precedente che potrebbe dare avvio a un prassi, che la rinunzia divenga una regola. E il prossimo «papa stanco» potrebbe essere il gesuita Francesco.
PAPA, NON PIÙ PAPA: GLI ATTUALI LIMITI DEL CANONE 332
Effettivamente, il titolo del libro curato Amedeo Feniello e Mario Prignano, edito per i tipi di Viella, evoca richiami poi neanche così lontanamente apocalittici: Papa, non più papa: la rinuncia pontificia nella storia e nel diritto canonico. Il volume raccoglie gli atti di una convegno svoltosi nel dicembre del 2021 a L’Aquila (città di Papa Celestino V), un testo che affronta un tema molto scomodo e divisivo, oltreché estremamente attuale, poiché partendo dalla vicenda ratzingeriana risulta possibile prefigurare tutta una serie di dinamiche che potrebbero avviarsi e compiersi nei prossimi anni. Quello della rinunzia è un aspetto che non ha trovato mai una completa regolamentazione, dato che il canone 332 si limita a prevedere che il romano pontefice possa rinunciare al suo ufficio, senza tuttavia precisarne i termini concreti della condizione successiva a tale grave scelta; non definisce le prerogative e l’autorità del pontefice rinunziatario, come egli debba abbigliarsi, insomma, su cosa egli diventa (…)
Di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale del convegno di presentazione del volume “Papa, non più papa” (A499)