SOCIETÀ, condizione femminile. E ‘l modo ancor m’offende: Dante «secondo lei»

Dante, la violenza di genere, le disparità e gli stereotipi tra i sessi, l’impegno delle istituzioni per contrastarli. Conversazione con Cecilia Piccioni, del Ministero degli Affari esteri e la Cooperazione internazionale (*)

A cura di Giuliana Poli (**), pubblicato sul sito web della Società Dante Alighieri: https://blog.dante.global/e-l-modo-ancor-moffende In un suo scritto, Italo Calvino cerca di rispondere alla domanda: che cosa sono i classici? Una delle possibili risposte è: sono testi che tendono a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non possono fare a meno.

Nell’anno che celebra Dante sono state molte le prospettive e le lenti di lettura scelte per raccontarlo ed esaltarne il ricordo, secoli dopo. Noi vorremmo spingerci un po’ oltre e renderlo materia viva. Abbiamo deciso di partire da alcuni dei personaggi raccontati nella Commedia per parlare di questioni tanto drammatiche quanto cogenti: violenza di genere, stereotipi sulla sessualità e disparità tra i sessi nel mondo del lavoro. Lo abbiamo fatto con Cecilia Piccioni del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. Ella è una diplomatica e, dopo varie missioni all’estero, ha fatto ritorno in Italia per dirigere gli uffici che si occupano di promozione della cultura e della lingua italiana. Ci racconterà la sua visione sulle questioni di genere in Italia e in ambito internazionale e soprattutto quali strumenti le istituzioni stanno adottando in merito a questi temi.

GIULIANA POLI – Nel suo viaggio all’interno della Commedia, Dante incontra una serie di personaggi femminili che, secondo la tradizione storiografica, sono morti di morte violenta per mano altrui. Quello della violenza di genere sembra essere, dunque, un tema che trascende i secoli e che oggi più che mai trova spazio nella ribalta della cronaca. Qual è il suo pensiero a riguardo?

CECILIA PICCIONI – Devo purtroppo darle ragione, il tema della violenza di genere occupa ormai quasi ogni giorno uno spazio all’interno delle cronache. I dati su femminicidi e abusi fisici e psicologici ci chiamano a un profondo riesame a tutti i livelli e in tutti gli ambiti. È un fenomeno che ha in prima battuta un impatto diretto sul piano giuridico, è indubbiamente un tema politico, ma forse, e più di tutto, è una questione che richiede di essere affrontata sul piano culturale.

Per noi della Farnesina la cultura non è una monade avulsa dal resto, non è solo strumento per mostrare le nostre eccellenze e quelle del nostro territorio, che pure ci sono e sono tante. Riteniamo che la cultura debba essere fortemente ancorata alla nostra coscienza critica. L’arte per l’arte, la bellezza per la bellezza, ci interessano poco. In tutte le nostre iniziative per la promozione del Paese cerchiamo di adottare un approccio integrato: questo vuole dire prestare particolare attenzione e valorizzare gli aspetti che legano a doppio filo scienza, innovazione, cultura, imprenditoria al tessuto sociale. E questa integrazione che ricerchiamo fortemente è anche funzionale a smontare molti pregiudizi e manipolazioni che alimentano un modello sociale non più attuale!

In effetti a me sembra che in qualche modo ci si sia accomodati dentro un’educazione che straborda di stereotipi. Spesso per pigrizia e per quieto vivere lasciamo passare espressioni, frasi che tendono ad avallare pregiudizi e a giustificare atteggiamenti spesso vera e propria matrice, in alcuni contesti, della violenza di genere.

A questo proposito, parlando di Dante, stiamo celebrando da mesi la sua figura e la sua opera e continueremo a farlo in occasione dei settecento anni dalla sua scomparsa. Lo abbiamo esplorato in molti modi e, come recita lo spot che abbiamo ideato per le iniziative dantesche, «settecento anni fa le sue parole, oggi le nostre». Dante e la sua opera ci ricordano, da un lato, l’importanza della semantica, «del linguaggio che regge l’essere del mondo» che è il riflesso più autentico dei nostri modelli sociali e, dall’altro, come ammiccamenti e laissez faire dinanzi a battute e stereotipi possano avere nel lungo termine un impatto devastante specie se schermati dietro la banalità.

La lezione di Dante è però importantissima. Perché, se il tema della violenza è lo stesso da settecento anni, la sensibilità moderna e la genialità del poeta trasformano queste donne, colpevoli secondo i canoni dell’epoca, in personaggi storici indimenticabili, che ci interrogano ancora oggi sull’ingiustizia da loro subita. Dante dà voce a Francesca da Rimini o Pia dé Tolomei, mentre oggi non solo la voce, ma anche la dignità delle vittime di violenza di genere è spesso negata da ricostruzioni e informazioni che tendono a privilegiare presunte provocazioni delle vittime e la momentanea pazzia autoassolutoria dei carnefici. Non è, dunque, un caso se oggi uno dei filoni più innovativi degli studi danteschi si stia concentrando proprio sui personaggi femminili assumendo una prospettiva di genere. È interessante per noi osservare le molte donne della Commedia e il modo in cui Dante racconta le loro storie e quali interpretazioni ne dà.

Il canto V dell’Inferno si svolge nel secondo cerchio, dove vengono puniti i lussuriosi. Nei versi 55-64 sono menzionate alcune donne che hanno in comune due aspetti: il primo è aver avuto una condotta giudicata «libertina» o in qualche modo fuori dai condizionamenti sociali del proprio tempo; il secondo è l’essere state sovrane ed aver avuto una posizione di potere.

Questo ci porta al tema di come la società guarda al rapporto tra le donne e il potere. Secondo lei una donna che oggi occupa posizioni apicali subisce una valutazione in merito alle sue scelte personali e sentimentali, fino al punto di essere stigmatizzata più rigidamente rispetto a un collega uomo?

Ha colto il punto. Virgilio indica a Dante una serie di personaggi morti di morte violenta, per mano propria o altrui, per ragioni amorose. Tra di essi i personaggi che Dante indica sono perlopiù donne: Didone che, abbandonata da Enea, si toglie la vita; Cleopatra che si uccide dopo aver saputo della sconfitta di Antonio, per non cadere prigioniera di Ottaviano; Elena che viene uccisa (ci sono diverse tradizioni storiografiche e letterarie sulla sua morte). Si tratta di figure con storie diverse, ma ciò che è interessante sottolineare è la scelta di Dante di collocarle non solo tra i dannati (per il fatto di essere suicide), ma nel cerchio dei lussuriosi, per la sola ragione di aver scavalcato i parametri comportamentali del loro tempo.

Non possiamo pensare di giudicare con i nostri parametri queste storie appartenenti ognuna ad epoche e a strutture sociali diverse. Però possiamo riflettere su un punto: nonostante la diversità delle circostanze, quelle donne vengono stigmatizzate tutte per la stessa ragione, per le loro scelte sentimentali. Possiamo, anzi, dobbiamo chiederci: quale relazione intercorre tra genere-potere e come possiamo trasformare il nostro sguardo su questo?

E, in seconda battuta, occorre chiedersi come i pregiudizi sulle donne di potere e gli stereotipi di genere, che sentiamo e viviamo tutti i giorni nella quotidianità e sui media, legittimino le asimmetrie di potere nel mercato del lavoro.

I dati parlano chiaro, e sono talmente netti da rendere evidente come il problema sia strutturale. Pochi giorni fa un rapporto Istat ha certificato ancora una volta che in Italia le donne sono più istruite degli uomini (le donne laureate sono il 23% contro il 17% degli uomini). Perché questo non si rispecchia sulla loro vita lavorativa? Perché hanno difficoltà maggiori a raggiungere le stesse opportunità di carriera dei colleghi uomini?

Ecco perché dobbiamo interrogarci e discutere a tutti i livelli questo problema, a maggior ragione quando si parla di letteratura e di forme artistiche che hanno un ruolo chiave nel dare forma all’immaginario collettivo. La grande modernità di Dante sta proprio nell’offrirci, a settecento anni di distanza, una galleria di personaggi femminili che con le loro storie testimoniano di come il tema dell’affermazione della parità di genere sia stato nei secoli declinato sempre in modo “conflittuale” e a tratti violento. Oggi la mutata consapevolezza della centralità di tale argomento e l’accresciuta maturità della collettività internazionale ci lasciano sperare in un futuro più ambizioso e roseo!

È in qualche modo confortante sapere che dalla lettura della Commedia possano scaturire ancora così tante riflessioni sul presente. Ma qual è il personaggio femminile della Commedia che la colpisce di più?

Ce n’è più di una. Mi piacciono molte storie, alcune reali ed attestate e altre raccontate solo nella Commedia. Mi hanno sempre incuriosito figure come quella di Sapìa Salvani, presente nel XIII del Purgatorio, nobildonna senese. Un personaggio che veicola messaggi politici, come qualcuno ha detto, che viene raccontato da Dante per essersi posta contro la sua stessa comunità, ma che in realtà le fonti storiche raccontano come una filantropa, che con il marito fondò l’ospizio di Santa Maria per i Pellegrini sulla Via Francigena, a cui donò in seguito tutte le sue ricchezze. E poi come non avere empatia con storie come quella di Didone, rappresentata dal Poeta nella sua complessità di donna più che di regina, che non è stata fedele a Sicheo ma di certo a se stessa? O come non ammirare la leggendaria fierezza e dignità di Cleopatra? E non provare tenerezza per Pia dé Tolomei e Piccarda Donati? La galleria delle donne dantesche ci pone davanti alla complessità del reale e ad una cifra umana senza pari.

Lavora da tanti anni per il Ministero degli Affari esteri, sia in Italia che all’estero. Quali sono secondo lei le priorità quando si parla di parità di genere in Italia? Quali invece quelle a livello internazionale? Penso ad esempio alla crisi in Afghanistan che ha portato al centro dell’attenzione soprattutto l’emergenza di preservare i diritti fondamentali delle donne nel Paese…

A mio parere va data priorità a una serie di temi riconducibili a tre grandi macro-aree: 1. allargamento della partecipazione delle donne agli organi apicali; 2. strumenti a supporto della genitorialità; 3. lotta agli stereotipi di genere. Se riusciremo a garantire una vera e piena interazione delle competenze e delle abilità declinate non soltanto al femminile ma attraverso un armonico coordinamento di tutte le risorse umane a nostra disposizione, potremo ambire a fare dell’Italia un’eccellenza anche in questo settore.

Questo ovviamente è il mio personale auspicio, ma soprattutto il frutto di una riflessione da funzionaria a capo di uffici della Pubblica Amministrazione (che dovrebbero essere il motore propulsivo del nuovo impulso qualitativo e quantitativo all’incremento dell’occupazione femminile previsti dal PNRR). Non si tratta solo di una questione di equità e di etica: le evidenze econometriche dimostrano che le disuguaglianze sono un ostacolo significativo alla crescita economica del nostro Paese, oltre a mostrarci all’estero come un Paese ancora afflitto da ritardi storici e culturali. A livello internazionale, le sfide sono molteplici, coinvolgono molti attori e da multilateralista convinta vedo come fondamentale un rafforzamento del coordinamento di tipo multiattore.

L’Afghanistan è solo uno dei contesti in cui i diritti delle donne vengono costantemente violati e il loro apporto alla società negato. Non è certo l’unico, ma la prospettiva del burqa che ricade su giovani donne indifese, cancellando quanto di positivo è stato fatto in venti anni per gettare semi di pluralismo e libertà, ha il potere anche simbolico di far capire come un mondo che esclude le donne dalla vita economico-sociale è un mondo più povero, privo di equilibrio e di talenti, più facilmente incline a posizioni estreme.

Il tema dell’empowerment femminile a ogni latitudine reca molto spesso con sé la chiave per il superamento di numerose diseguaglianze, anche in ambito regionale. Penso fra tutte alle aree geografiche prioritariamente interessate, ad esempio all’Africa subsahariana, come anche alle piccole isole del Pacifico e dell’area Caraibica o alle aree rurali del centro e Sudamerica, tutte realtà ove un avanzamento verso il conseguimento del 5 e 10 SDG farebbe veramente la differenza a livello locale e regionale, contribuendo significativamente al vincere questa sfida globale.

Come sarà la donna del futuro? Qual è il ruolo che più le si attaglia?

La donna del futuro è già nata. Sono moltissime le donne che per nostra fortuna occupano meritevolmente e in maniera esemplare posizioni apicali e che a loro volta stanno contribuendo a modificare l’immaginario collettivo: per le bambine e le ragazze di oggi e le donne di domani. Perché alla fine è lì che si gioca il nostro futuro. Quando i nostri bambini e le nostre bambine guardano la televisione e sono esposti a un parterre di uomini senza una presenza femminile noi stiamo dicendo loro: questa è la normalità. La bambina in particolare sarà abituata a pensare che determinati incarichi non saranno per lei, non crederà fino in fondo alla possibilità di raggiungerli e non si preparerà ad affrontare le sfide che la attendono con la stessa grinta e sicurezza in sé stessa di un ragazzo.

E, quel che forse è ancora peggio, i bambini daranno per scontato che alcuni ruoli siano destinati unicamente agli uomini, continuando così a riprodurre quel modello culturale che vogliamo invece scardinare. Si tratta di un compito che non possiamo portare a termine senza la loro consapevolezza e il loro coinvolgimento attivo.

E, allo stesso tempo, ogni volta che mostriamo queste scene alle nostre bambine è un po’ come se dicessimo loro: non sperare, non sognare, non desiderare troppo. Non è questo che vogliamo. La donna del futuro è già nata, ora tocca a noi, a tutti noi, aiutarla a crescere.

(*) Cecilia Piccioni è Direttore centrale per la promozione della cultura e della lingua italiana, della Direzione generale per la promozione del sistema paese del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale. È stata ambasciatrice ad Hanoi ed ha prestato servizio a Praga, Washington e alla Rappresentanza permanente presso l’Onu a New York.

(**) Giuliana Poli è giornalista, ricercatrice di antropologia culturale, scrittrice di Tradizione, scrittrice di monografie e testi su opere d’arte, analista ed esperta d’iconografia ed iconologia di opere d’arte. Analisi semantica del linguaggio dell’arte e della parola.

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