TURCHIA, cristiani e basiliche. UNESCO «preoccupata» per la trasformazione di Santa Sofia e San Salvatore in Chora in moschee

I due templi adibiti al culto dei fedeli di religione cristiana erano stati trasformati in musei a seguito della rivoluzione di Kemal Atatürk, che stabilì lo Stato moderno in Turchia. Il «cauto» silenzio della Santa Sede

L’UNESCO ha assunto una precisa posizione riguardo alla decisione del Governo turco di trasformare la chiese di Santa Sofia come moschee. I due templi adibiti al culto dei fedeli di religione cristiana erano stati trasformati in musei a seguito della rivoluzione di Kemal Atatürk, che stabilì lo Stato moderno in Turchia. Oggi – secondo Andrea Gagliarducci di ACI Stampa – «le due antiche chiese si trovano al centro di un contenzioso con la storia: possono, ancora, essere patrimoni dell’umanità se parte della loro identità è stata cancellata?»

Sempre secondo il giornalista dell’agenzia di stampa cattolica, «sullo sfondo c’è la decisione della diplomazia pontificia di rimanere silente, guardare gli sviluppi della situazione e lasciare le reazioni alle Chiese locali. C’è stato un pronunciamento di Papa Francesco, piuttosto vago al termine di un Angelus, c’è stata una dichiarazione delle Chiese cristiane di Turchia più forte e c’è anche la consapevolezza di voler mantenere un dialogo, perché il piccolo gregge cristiano non ha nemmeno un riconoscimento giuridico in quel Paese».

LO SCONTRO TRA UNESCO ED ERDOĞAN

Riveste dunque particolare interesse anche per la diplomazia pontificia lo scontro in atto tra l’UNESCO (agenzia ONU per la cultura) e la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdoğan, che ha quale oggetto la decisione assunta lo scorso anno da Istanbul di trasformare in moschee sia la basilica di Santa Sofia che la chiesa di San Salvatore in Chora, entrambe situate a Istanbul.

Il Comitato del patrimonio mondiale dell’UNESCO, che in precedenza aveva inviato degli ispettori in Turchia, ha espresso la sua preoccupazione e il suo dissenso riguardo alla scelta di trasformare in moschee Santa Sofia e San Salvatore in Chora. Il Comitato, che rappresenta ventuno Stati e che si è riunito il 23 luglio scorso, nella sua dichiarazione finale ha espresso «rammarico» alla luce della decisione turca, nonostante gli appelli di salvaguardare lo statuto di museo aperto a tutti, dicendosi preoccupato su come l’uso universale dei due siti venga messo a rischio dalla loro sottoposizione a un’autorità islamica.

L’UNIVERSALITÀ DI SANTA SOFIA

Per questo, ha chiesto ad Ankara un rapporto sulla manutenzione dei due monumenti, che dovrà essere fatto pervenire all’organismo internazionale entro il febbraio del 2022. Sempre l’UNESCO ha inoltre ribadito come il riconoscimento di bene universale imponga agli Stati di non modificare lo statuto sul valore (universale) del bene senza un dialogo preventivo. «Dato che il dialogo – lamentano a Parigi, città dove ha sede l’organismo – non c’è stato, Santa Sofia potrebbe non essere più riconosciuta come patrimonio dell’umanità».

Andrey Azoulay, che ne è il direttore generale, ha sottolineato che «Santa Sofia è un capolavoro architettonico e una testimonianza unica dell’incontro tra Europa e Asia nel corso dei secoli. Il suo statuto di museo riflette l’universalità della sua eredità e ne fa un potente simbolo di dialogo».

IL SILENZIO OLTRE TEVERE

Dalla Santa Sede non sono pervenuti invece pronunciamenti al riguardo, infatti, la diplomazia vaticana è rimasta molto cauta sull’argomento. D’altro canto la Turchia lamenta una violazione della sovranità operata dai pronunciamenti dell’UNESCO, mentre i vescovi turchi hanno deciso di fare un passo indietro, sottolineando come a loro manchi persino uno statuto giuridico che gli consenta di pronunciarsi, quando il Patriarca armeno di Istanbul aveva proposto che si mantenesse Santa Sofia come luogo di culto e che esso potesse essere usato sia dai musulmani che dai cristiani.

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