ECONOMIA, Recovery Plan. Chi decide e come? La sovranità della politica in materia e l’indefettibile contributo dei tecnici

Mentre sull’esecutivo in carica si addensano nuvole plumbee – manca poco al Consiglio dei ministri che dovrà approvare il cosiddetto «Recovery Plan», con tutte le incognite di natura politica derivanti dal possibile “sfilamento” del partito di Matteo Renzi dalla maggioranza giallo-rossa – a insidertrend.it viene ripreso il discorso sull’economia grazie al contributo fornito dal professor Mario Baldassarri (già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale) e da Radio Radicale

Stabilire l’allocazione delle risorse derivanti dal Recovery Fund presuppone ovviamente una scelta politica, tuttavia questo processo non deve caratterizzarsi per la cervelloticità, bensì deve venire guidato dall’analisi dei costi e dei benefici e dei conseguenti effetti sull’economia nazionale.

A questo punto Baldassarri è ritornato sulla vexata quaestio delle specifiche competenze attribuite in materia, che vengono ricondotte alle strutture tecniche del Ministero dell’Economia, all’Ufficio parlamentare di Bilancio e via discorrendo. Quindi, secondo il presidente del CSER, la contrapposizione fra tecnico e politico risulta mistificatoria, «la sovranità della politica è essenziale – ha egli aggiunto -, ma essa deve rispondere ai cittadini nei termini della valutazione».

Recovery (F): altro che un problema lessicale…

Da mesi, riferendosi ai potenziali aiuti finanziari europei, tutti ricorrono al termine «Recovery Fund», in realtà, più che di un “fondo” (appunto Fund) si dovrebbe parlare di «Facilities», cioè di una sorta di sportello bancario messo a disposizione dall’Unione europea allo scopo di finanziare progetti di investimento e di riforme.

«Non si tratta di una differenza meramente lessicale – sottolinea Baldassarri -, perché essa è invece sostanziale: non è un pozzo di San Patrizio dal quale estrarre con un secchio denaro per poi spenderlo a proprio piacimento, ma è come se si andasse a chiedere di accendere un mutuo in banca, dove la prima cosa che viene richiesta dall’impiegato allo sportello è se esiste un rapporto ragionevole tra il reddito dichiarato e il mutuo richiesto e, di fronte a evidenti sproporzioni, qualche dubbio la banca se lo pone».

Nel caso dell’Unione europea una parte di quelle risorse verrà concessa a fondo perduto, ma l’altra nella forma di prestiti.

Ai piedi di Pilato

È noto che le condizioni economico-finanziarie nelle quali attualmente versa l’Italia sono estremamente precarie, di risulta Bruxelles erogherà i propri fondi solo in funzione dei bisogni, finanziando maggiormente questo Paese in quanto esso si trova in condizioni più difficili e ha oggettivamente maggiore bisogno di aiuti.

Tuttavia – restando nella metafora del mutuo -, l’utilizzo che di questi soldi lo Stato intenderà fare dovrà venire indicato con precisione e dovrà trattarsi di investimenti razionali e produttivi in funziona della crescita.

E qui si ritorna sulla progettualità dell’esecutivo in carica e sugli scontri intestini alla maggioranza sull’elenco della distribuzione delle risorse potenzialmente disponibili, «ma da questo punto di vista – ha rimarcato Baldassarri – siamo ancora in enorme ritardo, perché si deve passare dalla generica indicazione di aree di assegnazione a “nomi e cognomi” di specifici progetti e a tempi e metodi certi di realizzazione, però ci si è finora ci si limitati a questo».

Il ponte sullo Stretto di Messina

Al riguardo, l’ex ministro dell’Economia ha fatto degli esempi pratici indicando alcune priorità sul piano infrastrutturale: il completamento della linea ferroviaria ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria e l’impostazione dell’alta velocità e alta capacità della rete ferroviaria siciliana. «Soltanto allora – ha egli chiosato – il ponte sullo Stretto di Messina avrebbe un senso, poiché collegherebbe due moderne arterie dalla valenza non soltanto locale e italiana, ma europea».

Ammesso che l’Italia riesca a ottenere l’anticipo del 10% sulla somma totale degli aiuti, questo non significherebbe però che Bruxelles poi bonifichi dall’oggi al domani sul conto corrente di Palazzo Chigi 209 miliardi di euro, poiché essa lo farà solo e quando gli verranno presentati gli stati di avanzamento dei lavori di sviluppo dei progetti approvati, semestre dopo semestre, ancorché siano stati precedentemente deliberati a copertura di quegli specifici progetti.

I tempi della politica

«La causa dei ritardi nella presentazione del Recovery Plan va rinvenuta nelle perduranti liti avvenute negli ultimi mesi su questioni di “lana caprina”: dapprima la famosa “task force” del presidente Conte, che avrebbe dovuto contare trecento esperti e sei direttori generali, dimenticandosi che lui è anche il presidente del CIPE, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, cioè la “naturale” cabina di regia del Governo in materia di investimenti pubblici e per l’impiego di qualsiasi fonte di finanziamento nazionale, europea e internazionale».

A oggi – ad avviso di Baldassarri – quello che eventualmente verrà deliberato dal Consiglio dei ministri e verrà sottoposto al vaglio del Parlamento, «non è un vero e proprio Recovey Plan, ma permane ancora un indice per titoli di capitoli di spesa, privo di progetti concreti».

Il monito della Banca d’Italia

Baldassarri è poi ritornato alle prospettive economiche del Paese illustrate nell’ultimo rapporto della Banca d’Italia dell’11 dicembre 2020 (anticipazione del Bollettino economico del gennaio 2021), una serie di possibili scenari esaurientemente delineati nelle precedenti trasmissioni (A287, A289, A291).

Ora, nel caso di una linea piatta o negativa sul diagramma della crescita nel 2021 e in assenza di consistenti rafforzamenti della Legge di bilancio approvata prima di natale, ritenuta insufficiente a far riprendere la crescita, oltre che di un pieno utilizzo di tutte le risorse europee disponibili (MES sanitario incluso), è ovvio che si determinerà l’andamento della curva degli occupati in Italia.

Oggi i dati ufficiali forniti alla voce «disoccupati» da ISTAT ed EuroSTAT si riferiscono a coloro i quali hanno perduto il lavoro e ne stanno cercando uno nuovo, tuttavia si tratta di cifre sottostimate rispetto alla reale massa di persone prive di una occupazione.

Disoccupazione in crescita: a marzo che succederà?

Il totale degli occupati è diminuito di circa 400.000 unità, ma a queste persone vanno sommate quelle 5-600.000 che per varie ragioni sono uscite dal mercato del lavoro, una cifra calcolabile facendo riferimento al cosiddetto «tasso di partecipazione», che include nel computo anche tutte quelle persone che nel corso dell’anno 2020 hanno smesso di cercare un lavoro, o perché non lo trovavano, oppure perché le condizioni oggettive create dalla pandemia hanno peggiorato il già critico quadro della situazione.

Dunque un milione di occupati in meno rispetto al 2019, ai quali si deve però aggiungere l’esercito di cassaintegrati, che non risultano disoccupati nelle statistiche, ma che tuttavia non lavorano e fruiscono dell’ammortizzatore sociale.

Cosa succederà il prossimo mese di marzo, quando scadranno i provvedimenti di ammortizzazione sociale come la cassa integrazione e il cosiddetto «divieto di licenziamento»?

A quel punto sarà innescato il detonatore sociale costituito dal oltre due milioni di persone senza lavoro, un inquietante aspetto che rende oltremodo evidente come sia di fondamentale importanza perseguire quel livello di crescita del prodotto interno lordo almeno pari al 3,5%, favorendola mediante una politica economica che incida sule basi dello sviluppo, auspicando contestualmente la ripresa del ciclo economico mondiale.

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale della trasmissione (A292)

A292 – ECONOMIA, RECOVERY PLAN: I TEMPI DELLA POLITICA. Mentre sull’esecutivo in carica si addensano cupe nuvole plumbee, a insidertrend.it riprendiamo il discorso sull’economia grazie al consueto contributo fornito dal professor MARIO BALDASSARRI, già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale (11 gennaio 2021)
Stabilire l’allocazione delle risorse derivanti dal Recovery Fund presuppone ovviamente una scelta politica, tuttavia questo processo non deve caratterizzarsi per la cervelloticità, bensì deve venire guidato dall’analisi dei costi e dei benefici e dei conseguenti effetti sull’economia nazionale.
Da mesi, riferendosi ai potenziali aiuti finanziari europei, tutti ricorrono al termine «Recovery Fund», in realtà, più che di un “fondo” (appunto Fund) si dovrebbe parlare di «Facilities», cioè di una sorta di sportello bancario messo a disposizione dall’Unione europea allo scopo di finanziare progetti di investimento e di riforme.
A oggi – ad avviso di Baldassarri – quello che eventualmente verrà deliberato dal Consiglio dei ministri e verrà sottoposto al vaglio del Parlamento, «non è un vero e proprio Recovey Plan, ma permane ancora un indice per titoli di capitoli di spesa, privo di progetti concreti».
Cosa succederà il prossimo mese di marzo, quando scadranno i provvedimenti di ammortizzazione sociale come la cassa integrazione e il cosiddetto «divieto di licenziamento»?
Tutti temi affrontati, come di consueto al lunedì a Radio radicale, dal professor MARIO BALDASSARRI, presidente del Centro studi economia reale e già viceministro dell’Economia, stavolta in compagnia della giornalista CRISTINA PUGLIESE, che ha sostituito temporaneamente il proprio collega Claudio Landi nella trasmissione “Capire per Conoscere”, andata in onda l’11 gennaio 2021 sulle frequenze dell’emittente organo della Lista Marco Pannella.
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