CRIMINALITÀ, mondo di mezzo. Confisca dei beni ai condannati in via definitiva, ma è polemica sul piano del Diritto

Buzzi: «Ennesima ingiustizia subita, poiché la confisca è avvenuta in virtù di leggi antimafia sebbene io sia stato assolto da questo reato», tuttavia il Tribunale riconosce ai condannati la «pericolosità semplice» o «generica», dunque la sentenza penale non produce effetti sulla misura di prevenzione

Effettuata la confisca definitiva dei beni riconducibili, direttamente o indirettamente, alle persone condannate in via definitiva nei processi noti dapprima come «mafia capitale» e in seguito, dopo la sentenza di primo grado, soltanto come «mondo di mezzo», sviluppo di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma, che hanno portato all’esplosione di uno scandalo che ha visto coinvolti esponenti dell’Amministrazione comunale capitolina, politici, vertici di cooperative e ambienti della criminalità comune.

I nomi delle destinatarie del provvedimento sono noti, si tratta infatti di Massimo Carminati, Salvatore Buzzi, Roberto Lacopo e delle altre persone arrestate nel quadro dell’inchiesta nel dicembre del 2014 dai carabinieri del ROS.

Epilogo delle indagini patrimoniali. L’atto in oggetto costituisce l’epilogo delle indagini patrimoniali svolte a carico degli indagati e dei loro prestanome, che erano state delegate dalla Direzione distrettuale antimafia della capitale al Nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza ai sensi del cosiddetto «Codice antimafia», cioè il D.Lgs. 159/2011, in coordinamento sul piano investigativo con l’Arma dei Carabinieri.

Gli specialisti del GICO (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) hanno ricostruito il curriculum criminale dei proposti accertando la sussistenza dei requisiti di pericolosità sociale e della rilevante sproporzione tra i redditi dichiarati e i patrimoni accumulati nel tempo, necessari affinché il Tribunale emettesse i decreti di sequestro, su richiesta della Procura della Repubblica, che sono stati eseguiti a partire dalla fine del 2014.

Nel tempo, parallelamente all’iter giudiziario avente a oggetto i reati contestati agli indagati, sono stati celebrati i vari gradi di giudizio dell’autonomo procedimento per la misura di prevenzione, che si è concluso con la pronuncia della Corte di Cassazione dello scorso 22 ottobre, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dalle parti, rendendo così definitiva la confisca dei beni a loro riconducibili.

I beni confiscati. Si tratta di quattro società operanti nei settori immobiliare e del commercio di prodotti petroliferi, tredici unità immobiliari e un terreno situati a Roma e in provincia, tredici automezzi, sessantanove opere realizzate da importanti esponenti della scena artistica della seconda metà del XX secolo (Pop Art, Nouveau Réalisme, Futurismo e Surrealismo), oltre a numerosi rapporti finanziari.

Il valore complessivo stimato è pari a ventisette milioni di euro.

A Massimo Carminati sono state confiscate, tra l’altro, la sua villa di Sacrofano e opere d’arte per un valore di oltre dieci milioni di euro, mentre un’altra villa sita nella medesima località è stata affidata in comodato d’uso gratuito per vent’anni, all’Asl Roma 4 per la realizzazione di una importante struttura sociosanitaria desinata al sostegno delle famiglie di pazienti affetti da autismo.

Nei confronti di Salvatore Buzzi la misura patrimoniale ha avuto a oggetto due immobili situati a Roma, nonché le quote e il patrimonio di due società, per un valore stimato di 2,6 milioni di euro.

Indipendentemente dall’esito del giudizio penale, la confisca dei beni è stata disposta anche nei confronti di quello che è stato considerato il “braccio destro” di Carminati, Riccardo Brugia e, anche dell’altro sodale Fabio Gaudenzi, nonché degli imprenditori Roberto Lacopo – con riferimento, tra l’altro, alla società che gestiva il famoso distributore di carburante Eni sito in Corso Francia a Roma, noto per essere stata la base operativa del sodalizio facente riferimento all’ex Nar – Agostino Gaglione, Cristiano Guarnera e Giovanni De Carlo.

Le proteste di Buzzi. Dal canto suo Salvatore Buzzi, in un messaggio postato su Facebook in mattinata ha parlato di «una ennesima ingiustizia subita», in quanto la stampa «pubblica oggi l’ennesima versione della Procura sul sequestro dei miei beni».

«Ho già fatto un post su fb – ha egli proseguito – lo scorso 24 ottobre e un comunicato alla stampa il 27 ottobre per spiegare la ingiustizia subita, in quanto la confisca è avvenuta in virtù di leggi antimafia sebbene io sia stato assolto da questo reato. La Corte di Cassazione lo scorso 22 ottobre per non entrare nel merito delle questioni ha confermato la confisca dei beni. Che opera in virtù della sentenza della Corte di Appello dell’11 settembre 2018, cassata senza rinvio per il reato di mafia dalla Corte di Cassazione».

Buzzi ha quindi concluso affermando di non comprendere «come mai la stampa riporti oggi notizie vecchie di quasi un mese e non abbia mai pubblicato una riga sulla stravaganza della pronuncia».

I toni aspri dell’ex presidente della Cooperativa 29 Giugno riconducono così la questione nell’ambito della polemica sul piano del Diritto

Le argomentazioni contrarie. I procedimenti relativi alle misure di prevenzione seguono propri iter sono completamente autonomi dai procedimenti penali e non si applicano esclusivamente nei confronti dei mafiosi, che dalla Legge vengono annoverati tra i soggetti «pericolosi qualificati» (categoria che include anche altre specifiche figure criminali di elevato profilo, come ad esempio i terroristi e i trafficanti di droga), ma anche nei confronti dei soggetti a «pericolosità semplice» o «generica», ed è in questa seconda categoria che sono stati fati rientrare Buzzi, Carminati e gli altri.

Più semplicemente, il Tribunale nella sua sentenza non li ha riconosciuti «mafiosi» (ex articolo 416bis del Codice penale), tuttavia gli ha attribuito egualmente il requisito della pericolosità, seppure generica, che dunque non inficia la confisca.

Secondo la Cassazione, infatti, Buzzi, Carminati e Lacopo pur non rientrando nella categoria dei pericolosi qualificati, per effetto delle condanne subite per gli altri reati loro ascrittigli – art. 416 (associazione a delinquere semplice) unitamente agli altri «reati fine» – rientrano comunque nella categoria dei soggetti destinatari delle misure di prevenzione, in qualità di «pericolosi semplici», mutando soltanto la qualificazione soggettiva rispetto al grado di pericolosità sociale espresso dal soggetto.

In sostanza: la sentenza penale non produce effetti sulla misura di prevenzione.

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