ECONOMIA, finanze pubbliche. La «fake news» dei tagli alla Sanità e la convenienza del ricorso al MES

Nel 2000 sono stati spesi 71 miliardi per la Sanità pubblica, nel 2019 120, quindi c’è stato un aumento del 70% a fronte di un’inflazione del 50%, in termini reali il potere d’acquisto è dunque aumentato del 20%; sono stati sì tagliati personale e ospedali, ma non forniture di beni e servizi, non sempre «chiare». Il quadro della situazione illustrato dall’economista Mario Baldassarri, che argomenta inoltre la convenienza al ricorso al MES

di Mario Baldassarri, già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale; pubblicato da “Il Sole 24 Ore” il 20 agosto 2020 – Nel 2000 la spesa pubblica totale per la Sanità è stata pari a 71 miliardi di euro, nel 2019 essa è salita a 120 miliardi, quindi un aumento del 70%, questo a fronte di un’inflazione del 50 per cento.

In termini di reale potere d’acquisto è quindi aumentata del 20%, poiché dai 71 miliardi del 2000 si è passati a 116 miliardi nel 2010, poi, nel biennio successivo, è stata registrata una riduzione di circa due miliardi, quindi, lentamente, la spesa è risalita fino ai 120 miliardi stanziati nel 2019.

Pertanto, dopo il picco del 2010 c’è stata una frenata che ne ha fortemente rallentato l’aumento, tuttavia, parlare genericamente di «tagli» alla Sanità non corrisponde quindi ai numeri ufficiali del MEF.

Allora è tutto a posto?

Assolutamente no. Forse si doveva spendere di più, ma soprattutto si doveva spendere “meglio”.

Infatti, ciò che è avvenuto è molto più grave e sta… negli “addendi”, cioè dove sono andati a finire i miliardi nelle specifiche voci di spesa.

Ecco allora che la politica della Sanità pubblica appare perversa e autolesionistica, per di più fortemente diversificata sui vari territori regionali.

Infatti, le Regioni hanno speso il 99,7% del totale e soltanto lo 0,3% è stato speso direttamente dallo Stato, quindi il nostro non è un SSN (Sistema sanitario nazionale) bensì un SSR, cioè un sistema sanitario «regionale».

Sappiamo tutti che in questi venti anni si sono chiusi ospedali, tagliati posti letto e lasciati a sé stessi territori e medici di base, un fitto reticolo di presidi e di professionisti che andrebbero invece messi in una rete Internet nazionale per fare da segnalatori tempestivi ed efficaci di tutte le tipologie di malattie al fine di fronteggiarle in tempi rapidi, specialmente all’inizio della diffusione di ogni infezione, frenando sul nascere ogni possibile epidemia.

Facciamo allora parlare i numeri degli “addendi”.

Innanzitutto sono stati dimezzati gli investimenti, passati in media da circa il 3,5% del totale tra il 2000 ed il 2011 a meno dell’1,5% negli ultimi quattro anni, ma oltre a questo pesante taglio di investimenti, ciò che appare ancor più perverso è l’andamento delle diverse voci di spesa corrente.

Due in particolare: gli stipendi per il personale – medici, infermieri, personale ospedaliero e in servizio presso gli ambulatori, eccetera, chiamati da noi tutti «angeli» durante la pandemia – si sono ridotti dal 40% al 30% del totale; erano 27 miliardi nel 2000, ma sono stati 36 miliardi nel 2019, quindi registrando un aumento nominale del 32%, cioè ben inferiore all’inflazione, che nel medesimo periodo considerato è stata pari al 50%, conseguentemente, in termini di potere d’acquisto quindi si sono ridotti del 18 per cento.

Gli acquisti di beni e servizi (consumi intermedi della Sanità) sono invece aumentati dal 19% del totale della spesa corrente nel 2000 al 30% nel 2019; cioè, se venti anni fa erano 14 miliardi, nel 2019 sono saliti a 36, con un aumento nominale del 157%, che al netto dell’inflazione del 50% indicano un aumento “reale” del 107 per cento.

Come noto, nella prima Repubblica si pensava di raccogliere consenso politico assumendo postelegrafonici alle Poste e medici, infermieri e portantini negli ospedali.

Questa seconda o terza Repubblica sembra invece pensare di raccogliere consenso politico dagli acquisti, dalle forniture e dagli appalti.

Certo, qualcuno potrà subito dire che gli acquisti di beni e servizi della Sanità aumentano a causa dell’invecchiamento della popolazione, delle tecnologie che migliorano farmaci e macchinari diagnostici e di intervento e così via, ma queste tendenze non possono spiegare un balzo di costi così imponente in un tempo relativamente breve. E comunque avremmo dovuto avere almeno una riduzione delle degenze medie ospedaliere oltre a una riduzione notevole delle file di attesa, mentre in realtà abbiamo avuto quell’aumento di costi senza incassare neanche quei due benefici.

È evidente, allora, cosa bisogna fare subito: esattamente l’opposto di quello che è stato fatto negli ultimi venti anni.

È altrettanto evidente, però, che per avere più medici e infermieri, per avere più presidi territoriali, per avere una rete Internet di tutti i medici di base, occorrono soldi (venti o trenta miliardi come chiesto dal ministro Speranza?) e occorrono subito prima che esploda una altra pandemia.

Questi soldi ci sono e sono disponibili subito a interessi zero e senza condizioni, se non quella di spenderli nella Sanità.

Ecco perché è ancora più perverso e autolesionistico non accedere ai fondi del MES.

Qualcuno continua a sostenere che «comunque le risorse possono essere trovate emettendo direttamente sui mercati titoli di Stato italiani… senza condizioni», ma costoro non si rendono conto che emettere titoli sul mercato è più costoso ed enormemente più rischioso proprio perché i mercati possono togliere la fiducia in pochi giorni e attivare una crisi del debito.

Con il MES e la Commissione europea si potrà invece sempre trattare e discutere e, comunque, tra quattro anni o forse mai.

Per di più, se non accediamo al MES, con quale credibilità possiamo pensare di accedere ai 209 miliardi del Recovery Fund? Fondi che verranno erogati soltanto a partire dalla prossima primavera e, in ogni caso, legati a doppio filo alle riforme strutturali e ai piani di investimento, non certo a quote di accaparramento dei diversi ministeri.

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