ECONOMIA, coronavirus. Gli effetti sulla povertà e le disuguaglianze nel Paese: l’importanza di un’analisi multidimensionale

In una intervista rilasciata a Giacomo Galeazzi del quotidiano Online Interris.it, il vicecapo del Dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini analizza le conseguenze sociali della pandemia che stanno trasformando il tessuto socio-economico

«Le famiglie italiane hanno dovuto fronteggiare un crollo dell’economia d’intensità mai sperimentata. Nei primi sei mesi del 2020 il prodotto interno lordo è sceso dell’11,4% rispetto all’anno precedente. Il numero degli occupati è calato di 577.000 unità, mentre il numero di ore lavorate in media alla settimana è sceso da 34 a 31», ha affermato  nel corso dell’intervista rilasciata a Giacomo Galeazzi di “Interris.it”.

Brandolini, economista attualmente a capo del Dipartimento di economia e statistica della Banca d’Italia, in passato rappresentato l’Istituto di Via Nazionale nelle Commissioni d’indagine sulla povertà dei Governi italiani dal 1994­ al 2007, ed è nel gruppo di lavoro sul reddito minimo istituito dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali. Ha inoltre pubblicato numerosi saggi sulla povertà, la distribuzione di reddito e ricchezza e la misurazione del benessere, oltreché, più in generale, su questioni di economia del lavoro e sulla storia del pensiero economico.

Rispondendo alle domande postegli da Galeazzi, egli ha rilevato che l’eccezionale contrazione dell’attività economica si è riflessa soltanto in parte sui redditi familiari grazie ai massicci trasferimenti pubblici, poiché tra il mese di marzo e quello di luglio il Governo ha varato una serie di misure a sostegno del reddito per un ammontare pari a 28,6 miliardi, un ammontare pari al 2,5% del reddito delle famiglie nel 2019, mentre il decreto di agosto ha stanziato altre risorse.

Tuttavia, afferma Brandolini, «gli effetti dell’epidemia sono stati pesanti e diffusi, ma non gli stessi per tutti», questo perché l’occupazione si è ridotta del 7% tra i giovani, del 3% tra i lavoratori di età tra i 35 e i 49 anni ed è leggermente aumentata tra quelli con 50 anni e più; per due terzi la riduzione ha riguardato dipendenti a termine, con un calo delle ore di lavoro settimanali degli autonomi che è risultato il doppio di quello dei dipendenti.

Sollecitato dall’intervistatore, egli ha poi portato un esempio di quanto accaduto. «Durante il lockdown – ha spiegato -, i redditi da lavoro sono diminuiti di più tra le famiglie con redditi bassi. In questi nuclei, infatti, sono più frequenti gli occupati nei settori momentaneamente sospesi o in mansioni non effettuabili a distanza. Il reddito familiare si è ridotto per metà delle persone. Anche tenendo conto degli eventuali sussidi pubblici. In larga misura, le ripercussioni sociali riproducono disuguaglianza preesistenti. Colpendo chi ha occupazioni precarie e temporanee, maggiormente i giovani. E presumibilmente, gli stranieri. Ma coinvolgono anche attività autonome più tradizionali».

Riguardo invece ai settori della popolazione maggiormente esposti alle insicurezze del quadro generale determinatosi a causa della pandemia, ha sottolineato come i trasferimenti pubblici abbiano mitigato l’aumento della disuguaglianza dei redditi. «Vi è stato tuttavia un rimescolamento lungo la scala dei redditi. Un fenomeno che non è colto dagli indici di disuguaglianza. Molti lavoratori sono stati colpiti dalle limitazioni all’attività. Nel commercio, nel turismo, nei servizi alla persona. Altri hanno avuto la possibilità di svolgere il proprio lavoro a distanza. O nei settori definiti essenziali. I lavoratori impiegati nei settori essenziali non hanno presumibilmente subito cadute del reddito. Ma questa categoria comprende sia «riders» e operai della logistica che dirigenti pubblici e bancari. In sintesi, lavoratori con redditi fortemente diversi».

Ma Le disuguaglianze non riguardano solo il reddito, poiché alcuni occupati nei settori essenziali sono meno esposti al rischio di contrarre la malattia, mentre altri, invece, come i citati riders o i medici, lo sono in maniera considerevole.

«Quando avremo più dati – ha concluso l’economista della Banca d’Italia – sarà necessaria un’analisi dettagliata degli effetti dell’epidemia. Un’analisi attenta alle molteplici dimensioni del benessere. Quanto duraturi saranno tali effetti dipenderà dalle capacità di ripresa del Paese».

Alla domanda su cosa si può ipotizzare riguardo agli scenari socio-economici del prossimo futuro in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso, ha risposto che l’esperienza maturata di recente è in grado di frenare il processo di globalizzazione sommandosi alle spinte protezionistiche già in atto.

«È possibile che le filiere produttive globali si accorcino. E che diminuisca la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di beni essenziali. Ciò si è visto per i medicinali. Gli effetti positivi del rientro di alcune produzioni sarebbero controbilanciati da una riduzione dei benefici associati alla specializzazione produttiva. E alla diversificazione delle reti dei fornitori».

Egli ha inoltre affrontato gli aspetti relativi all’emergenza sanitaria, con le restrizioni agli spostamenti delle persone per contenere i rischi di contagio che potrebbero modificare norme e comportamenti, limitando i flussi migratori e quelli turistici.

«È anche prevedibile che acceleri il ricorso alle tecnologie digitali. La rapida diffusione del lavoro a distanza e degli acquisti online può influenzare permanentemente i comportamenti delle imprese e delle persone. Modificando l’organizzazione del lavoro. La struttura della distribuzione commerciale. L’organizzazione della rete dei trasporti. La fornitura di servizi pubblici. Il mercato immobiliare. Alcune conseguenze potranno essere positive».

Si riferisce a una più facile conciliazione tra lavoro ed esigenze familiari o un recupero delle aree interne, ma anche a quelle altre che, invece, «andranno monitorate con attenzione». Per esempio il potenziale impoverimento dei centri storici delle grandi città e il rischio che il potere di mercato si concentri sempre più nelle mani di pochi grandi operatori.

I nuovi poveri, molte delle fasce più colpite erano a rischio povertà già prima della pandemia, per esempio i giovani e i lavoratori a termine. Anche le famiglie più numerose, secondo Brandolini hanno una probabilità maggiore di divenire povere, poiché per molte, all’insufficienza del reddito si è sommata l’inadeguatezza di strumenti oggi indispensabili, quali i computer e la connessione a Internet e degli ambienti adatti all’istruzione a distanza dei figli.

«È un altro esempio dell’importanza di un’analisi multidimensionale delle conseguenze sociali dell’epidemia».

«Ciò che essa ha reso evidente – ha aggiunto l’economista – è il ruolo fondamentale del risparmio nell’attutire cadute estreme e repentine del reddito. Nel 2016 l’80% delle persone appartenenti a nuclei con capofamiglia con meno di sessantacinque anni non aveva risparmi sufficienti. Ossia risorse per rimanere al di sopra della soglia di povertà per più di nove settimane. In assenza di attività finanziarie liquide, può essere arduo mantenere standard di vita accettabili. Rendendo necessarie misure straordinarie quali l’indennità Covid-19 per i lavoratori autonomi o il reddito di emergenza».

Più che cercare di individuare i «nuovi poveri» su cui calibrare interventi specifici – ha egli poi concluso -, è necessario riflettere sul disegno complessivo della rete di protezione sociale italiana, nella direzione di un superamento dell’attuale impostazione “categoriale” in favore di tutele sociali universali commisurate ai bisogni delle persone, indipendentemente dalla loro inclusione in una determinata categoria di popolazione.

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