CRIMINALITÀ, camorra. Penetrazione dei clan nella capitale e nel Nord Italia: colpito il clan Senese

Operazione congiunta di Polizia di Stato e Guardia di Finanza: eseguite 28 misure cautelari e sequestrati beni e aziende per un valore di oltre 15 milioni di euro. I Senese, storicamente collegati al clan Moccia di Afragola, si sono insediati stabilmente a Roma negli anni Ottanta

Si tratta dell’Operazione «affari di famiglia», che ha visto alle prime ore di questa mattina i militari del Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza e il personale in forza alla Squadra Mobile di Roma – supportati da altre unità operative sia delle Fiamme gialle che della Polizia di Stato – dare esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di ventotto persone, oltre a un sequestro preventivo di beni per quindici milioni di euro.

Sedici delle misure cautelari sono state eseguite in carcere nei confronti di alcuni esponenti del clan Senese e di altre persone ritenute dagli inquirenti loro sodali, responsabili a vario titolo e in concorso tra loro – secondo l’impianto accusatorio – dei reati di estorsione, usura, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, con l’aggravante di aver agito con metodo mafioso agevolando la galassia criminale della camorra campana che, dalle zone di origine, si è nel tempo delocalizzata.

Un fenomeno iniziato  a partire dagli anni Ottanta che ha interessato oltre al Lazio anche altre regioni italiane.

A essere stata disarticolata è stata la famiglia Senese, più volte coinvolta in indagini di criminalità organizzata e facente riferimento al pluripregiudicato Michele Senese (detto «Michele o’ pazz»), attualmente detenuto presso la casa di reclusione di Catanzaro, dove sta scontando una condanna quale mandante dell’omicidio del “boss della Maranella” Giuseppe Carlino.

I Senese, storicamente collegati al clan Moccia di Afragola, si sono insediati stabilmente nella capitale negli anni Ottanta, dove si sono in seguito ritagliati un loro spazio tra le più influenti realtà criminali romane, dedicandosi principalmente al traffico di stupefacenti, alla gestione delle piazze di spaccio e al riciclaggio di proventi illeciti, accrescendo comunque il proprio potere criminale ed economico e agevolando la persistenza e la pervasività dell’associazione mafiosa di riferimento. La capitale è divenuta così il centro nevralgico fondamentale alla tessitura di relazioni e contatti con il resto del territorio nazionale, utile per controllare le attività illecite e convogliare gli ingenti profitti ricavati in settore economici nei quali è più facile investire denaro contante senza che esso venga però tracciato.

La famiglia ha costituito cosi un sistema criminale organico, strutturato e collaudato che, anche grazie alla loro notorietà negli ambienti criminali, ha potuto agire liberamente senza necessariamente ricorrere con frequenza all’uso della violenza per imporsi, infatti, è stato accertato come fosse sufficiente spendere il nome della famiglia per caricare di forza intimidatrice la condotta illecita perpetrata.

Le indagini, avviate nel marzo 2017 sono state condotte anche attraverso l’esecuzione di numerose operazioni di intercettazione (telefoniche e ambientali), attività di videoripresa supportate da servizi dinamici sul territorio, nonché mediante lo sviluppo di molteplici e convergenti segnalazioni di operazioni sospette, la ricostruzione dei flussi finanziari e gli approfondimenti economico-patrimoniali di persone fisiche e giuridiche, anche interposte.

Essa è stata concentrata sia sulla ricostruzione minuziosa dei più recenti fatti delittuosi sia sui canali di investimento, individuati dalla famiglia Senese – soggetti del tutto incapienti e privi di reddito – e dai soggetti che gravitavano attorno a essa per ripulire e far fruttare le ingenti somme di denaro accumulate nel tempo e almeno in parte occultate, in maniera frazionata, in luoghi non convenzionali, spesso ricavati all’interno di diversi immobili nella disponibilità della famiglia.

Più in dettaglio, le indagini hanno svelato una serie di condotte volte a dissimulare l’illecita provenienza del denaro mediante:

la consegna del denaro contante a imprenditori collusi per specifici investimenti nelle proprie attività commerciali, con il riconoscimento di un tasso d’interesse usurario (anche del 10% mensile) alla famiglia Senese sul capitale prestato fino alla sua intera restituzione, e un ulteriore ritorno sotto forma di “utile” e altri benefit (vacanze, soggiorni, pagamenti spese mediche, assunzioni, mantenimento di familiari di detenuti ecc.);

la fraudolenta interposizione di persone fisiche e intestazione fittizia di persone giuridiche, anche di diritto estero, per immettere il denaro sporco nel sistema finanziario e nei circuiti dell’economia lecita, mediante apparenti contratti di prestiti/finanziamenti e altri documenti artificiosamente redatti, per eludere gli obblighi della normativa antiriciclaggio;

cambi frequenti di prestanome con ripetute operazioni di cessioni di quote societarie. In tal modo, Michele Senese, attraverso il figlio Vincenzo, è stato in grado di poter dare avvio – dopo gli arresti di alcuni complici nel settore del commercio romano attivi nel settore delle auto – a consistenti investimenti, per circa 500.000 euro, nel commercio all’ingrosso dell’abbigliamento, mediante società ubicate in provincia di Frosinone e Verona.

Altri 400.000 euro sono stati reimpiegati in Lombardia attraverso il supporto di due imprenditori di origine campana, perfettamente al corrente dell’origine delle finanze illecite, che sono state utilizzate, tra l’altro, per acquistare partite di capi d’abbigliamento a marchio “Colmar” e “Disquared”.

Altre somme illecite, quantificate in un milione di euro, dapprima trasferite in Svizzera e gestite attraverso due soggetti giuridici esteri appositamente costituiti da un colluso imprenditore italiano residente nella Confederazione elvetica, sono state impiegate per finanziarie attività imprenditoriali di una società milanese con unità operative in Campania, riconducibile a due persone contigue al clan.

In questo senso, le evidenze investigative hanno dato contezza dei significativi collegamenti e dei flussi finanziari illeciti da e verso la Svizzera, con inquinamenti di settori dell’economia lombarda e veneta, frutto dell’interposizione di società costituite ad hoc nel Nord Italia, luogo dove immettere nel circuito economico legale risorse finanziarie di origine criminale.

Si è trattato di una strategia pianificata, tesa a fare business laddove sussistevano maggiori opportunità di profitto.

Parallelamente, i Senese sono riusciti a far confluire le risorse del gruppo criminale, con investimenti illeciti per oltre 230.000 euro, in note attività di ristorazione nella Capitale e in un importante stabilimento di produzione casearia sito in provincia di Latina, ricorrendo sempre a prestanome.

Particolarmente significative, inoltre, le condotte usurarie ed estorsive poste in essere nei confronti di un ex imprenditore romano attivo nei settori dell’autonoleggio e della produzione cinematografica che, dal 2017, a causa di un perdurante stato di indebitamento, ottenne in cinque tranches un prestito di 130.000 euro a un tasso usurario del 120% annuo, con la conseguente impossibilità di restituzione.

Gli investigatori hanno evidenziato il persistente stato di assoggettamento della vittima, determinato da continue pressioni e minacce sia nei suoi confronti che dei relativi familiari.

Un rapporto debitorio caratterizzato da continue e improvvise richieste di incontri per verificare l’attendibilità alla restituzione del denaro, minacce di morte, richieste estorsive per 15.000 euro non rientranti nel rapporto usurario di più ricariche postepay e trasferimenti di denaro mediante money transfer, oltre a pagamenti di spese per viaggi di lavoro e di piacere dell’usuario, nonché il prestito forzoso della sua autovettura.

A danno dello medesimo imprenditore sono emerse ulteriori condotte illecite commesse da altri due soggetti romani (padre e figlio) consistenti nell’erogazione di un ulteriore prestito usurario di 138.000 euro, consegnati in quattro tranche con tassi del 120% annuo, con reiterate minacce di possibili violenze nei suoi confronti e dei familiari.

Anche in questo caso, parte dei soldi dovuti a titolo di interesse venivano versati dalla vittima su carte di credito prepagate.

Con il medesimo provvedimento restrittivo, attesa la puntuale ricostruzione patrimoniale, è stato altresì disposto ed eseguito il sequestro preventivo delle disponibilità finanziarie di alcuni indagati, di beni e società per un valore stimabile in oltre quindici milioni di euro.

Si tratta del complesso aziendale di dieci società, tra cui quattro attive nella ristorazione (tutte con sede a Roma), cinque nel commercio all’ingrosso e dettaglio di abbigliamento (ubicate a Frosinone Verona, Milano, Brescia e Bergamo) e il citato caseificio avente il proprio stabilimento produttivo a Pontinia, in provincia di Latina, cinque unità immobiliari (quattro in provincia di Milano e una a Napoli) e una imbarcazione da diporto.

L’odierna operazione, che ha interessato anche le province di Milano, Verona, Napoli, Frosinone e L’Aquila, si inserisce nel quadro delle azioni poste in essere dalla Guardia di Finanza e dalla Polizia di Stato, con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Roma, volte al contrasto dell’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, nonché all’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.

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